Il percorso del Museo del Novecento di Milano termina con una sala dedicata ad alcuni tra i maggiori esponenti dell’Arte Povera, da Luciano Fabro a Mario Merz, da Gilberto Zorio a Giuseppe Penone.
L’Arte Povera è una corrente artistica che nasce nell’ambito della cosiddetta arte concettuale in aperta polemica con l’arte tradizionale, della quale rifiuta tecniche e supporti per fare ricorso, appunto, a materiali “poveri” come terra, legno, ferro, stracci, plastica, scarti industriali, con l’intento di evocare le strutture originarie del linguaggio della società contemporanea dopo averne corroso abitudini e conformismi semantici. Un’altra caratteristica del lavoro degli artisti del movimento è il ricorso alla forma dell’installazione, come luogo della relazione tra opera e ambiente, e a quella dell”azione” performativa.
Germano Celant, il critico d’arte al quale si devono il nome, afferma che l’arte povera si manifesta essenzialmente “nel ridurre ai minimi termini, nell’impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi”. Gran parte degli artisti del gruppo – Giovanni Anselmo, Jannis Kounellis, Mario Merz, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto – manifestano un interesse esplicito per i materiali utilizzati mentre alcuni – segnatamente Alighiero Boetti e Giulio Paolini – hanno fin dall’inizio una propensione più concettuale.
L’obiettivo di questi artisti è quello di superare l’idea tradizionale secondo cui l’opera d’arte occupa un livello di realtà sovratemporale e trascendente.
Luciano Fabro: “Contatto. Tautologia” (1967-2001)
Fabro è uno dei protagonisti più significativi del rinnovamento artistico sviluppatosi a Milano negli anni sessanta. La sua ricerca prende le mosse dal superamento dello spazio bidimensionale della tela proposto da Lucio Fontana.
Nelle opere di quegli anni l’artista s’interroga sulla rappresentazione del mondo fondata sulla scatola prospettica rinascimentale e imposta una sua personale via di approfondimento che ricava stimolo e linfa dall’arte del passato, invece di opporsi, con i modi più esteriori dell’avanguardia, alla tradizione.
Gino Marotta: “Natura Modulare” (1966)
Artista molisano di fama internazionale, pioniere delle sperimentazioni sull’arte installativa e sui nuovi materiali, protagonista riconosciuto delle neoavanguardie, non solo italiane. La vocazione all’uso di materiali inediti è continua nelle sculture ritagliate nel metacrilato che ben presto si trasformano in Environment.
Mario Merz: “Zebra (Fibonacci)”, 1973
Le striature di una zebra sono uno dei casi di applicazione numerica in natura della serie di Fibonacci: dati due numeri come 1 e 2, si ottiene la somma 3 che, a sua volta si somma all’ultimo addendo 2, dando 5; e così via. Appassionatosi alla serie dal 1969, Merz armonizza la sua prassione artistica con i ritmi biologici e prolificanti della natura. E’ simbolo dell’energia autorigenerante della natura.