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Intervista a Claudio Sadler

Nato nel 1956 a Milano, da padre trentino e madre mantovana, Claudio Sadler è titolare dell’omonimo ristorante sui Navigli a Milano, premiato con due stelle Michelin. Ha aperto il suo primo locale a Pavia (“Locanda Vecchia Pavia”)  nel  1982. Nel 1986 ha inaugurato l’ “Osteria di Porta Cicca”, in Ripa di Porta Ticinese a Milano, per poi fondare, nel 1995, l’attuale Sadler che per 11 anni ha avuto sede in via Troilo, prima di spostarsi nella vicina via Ascanio Sforza, dove lo chef ha inaugurato anche il più informale (e meno costoso) Chic’n Quick.

Conosco Claudio Sadler da quando, nel 2007, ha trasferito il suo ristorante da via Trolio in via Ascanio Sforza, sotto casa mia. E’ uno in gamba, preciso, votato al business, che misura le parole e spesso le cosparge di spolverate di ironia. Al punto che non sai mai se parli sul serio oppure no.

Definire uno chef un artista non è esagerato e un po’ offensivo nei confronti di chi pratica l’arte per mestiere?

Niente affatto, anche la nostra è una forma d’arte che deve rispettare molti più sensi di pittura e scultura: forma, temperatura, profumi, densità, gusto. Il tutto per realizzare un piatto che ha durata limitata.

Ora vogliamo dire che anche mia nonna, che è una brava cuoca, ma non sa dipingere nemmeno un fiore, è un artista?

Per essere definito un artista in cucina bisogna possedere un forte senso estetico, anche se io amo più il gusto dell’aspetto.

E tu pensi di avere senso estetico?

Si, soprattutto perche prima di creare un piatto lo disegno a pastello, per vedere l’abbinamento dei colori e delle linee.

Conoscendoti, mi stai prendendo in giro

Guarda (e tira fuori dal cassetto dei suoi pastelli intitolati “Calamaretti farciti di guanciale di bue” o “insalata di scampi con carciofi stufati e sughetto di pesto alla maggiorana”)

Più che opere d’arte sembrano scarabocchi di un bambino di prima elementare, ma quello che conta è l’impegno. E a quale artista ti paragoneresti?

Non saprei. Mi piacciono molto i pittori moderni e contemporanei: gli Impressionisti, per i colori e la fantasia dei quadri e Kandinsky. Amo poco i figurativi.

E di pittura classica non capisci nulla?

Diciamo che mi piace meno.

Dillo come vuoi, il senso è quello. Vedo però che esponi dei quadri contemporanei nel tuo ristorante e li cambi periodicamente.

Si, sono molto amico di vari galleristi che mi consigliano delle opere da esporre. E’ anche capitato che dei clienti le acquistassero. Un giapponese una volta comperò un quadro di Enrico Baj.

Quindi, questo locale è frequentato da galleristi, che con i soldi che hanno possono permettersi il tuo conto

Amano la bella vita e di conseguenza la buona tavola.

E’ vero invece che i collezionisti sono dei gran tirchi?

Diciamo che sono più concentrati nell’acquistare quadri che nello spendere in ristoranti.

E gli artisti possono permettersi una cena da te? Riescono a pagare?

Spesso sono miei ospiti, o di altre persone. A volte pagano in natura. Non fraintendetemi…Una volta un artista mi pagò un pranzo di nozze con dei suoi quadri.

Era famoso almeno?

No, non ne ho mai sentito parlare.

Quindi ci hai anche rimesso?

Temo di si.

Ma gli artisti, con la fame perenne che hanno, riescono a sfamarsi con le porzioncine della tua nouvelle cousine?

Sicuramente preferiscono le osterie e i bistrot.

E’ vero che amano bere e ogni tanto alzano il gomito?

Amano i piaceri della vita.

Quali personaggi del mondo dell’arte frequentano il tuo locale?

Giorgio Marconi, che è un mio caro amico, Mimmo Rotella, Arnaldo Pomodoro e molti altri. Anche Enrico Baj era un mio cliente.

Quale artista del passato avresti voluto vedere seduto ai tuoi tavoli?

Pablo Picasso, anche se era sicuramente più un tipo da bettola.

Meno male che lo dici tu. Hai mai realizzato dei piatti che rievocano opere di artisti?

Molti. Uno per esempio ispirato ai collage di Enrico Baj, un altro a un viso di Paul Klee, uno a un quadro di Jackson Pollock.

Hai mai fatto un piatto che hai definito un capolavoro d’arte?

Spesso.

Modesto

Mi riferisco ai miei classici: il Birramisù, o la padellata di crostacei, il riso nero con foglie d’oro. Purtroppo, noi chef non abbiamo il copyright.

I vostri piatti non hanno nemmeno il dono dell’immortalità, rispetto a un’opera d’arte. Bel guaio, come rimediate?

Con i libri di ricette e le pubblicazioni.

Ecco perché le librerie sono piene di volumi del genere e anche in tv non si fa altro che parlare di cucina.

Quelli che vanno in televisione spesso sono falsi profeti dell’arte culinaria e rovinano la reputazione dei veri chef.

Il “boss delle torte” che imperversa su Sky non sarebbe felice di sentire queste parole.

Non mi riferivo a lui in particolare, ma….

 

A quelli della sua specie, che magari insegnano alla gente a cucinare e a non spendere più 200 euro (minimo, a cranio) da Sadler per una cenetta a lume di candela.

Quello dello chef qualificato è un mestiere serio, è una sorta di alto artigianato.

Un artigianato che chi non ama l’arte può apprezzare?

Si, non è detto che chi non sia appassionato d’arte non  possa gustare e godere la cucina elaborata. Si tratta sempre di gusto, ma in declinazioni differenti

Quali artisti non vorresti che esponessero mai nel tuo ristorante?

Quelli che realizzano opere tristi e cruente. Non vorrei mai vedere appeso alle mie pareti l’Urlo di Munch.

E i bambini di Cattelan?

Nemmeno.

Anche se sono opere super quotate?

No, non li vorrei nel mio ristorante.  Spaventerebbero i clienti.

E li farebbero scappare….magari senza pagare il conto

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