Vivere lavorando giocando: è questa la frase con cui Salvo (1947-2015) descrive il suo rapporto personale e artistico con Alighiero Boetti (1940-1994) e da cui prende il titolo la mostra presente al LAC di Lugano in Svizzera dal 9 aprile al 27 agosto 2017. 150 opere -allestite dalla curatrice Bettina Della Casa- ripercorrono il rapporto dei due artisti. In copertina, una foto del 1976 di Boetti e Salvo che si guardano negli occhi sorridendo mentre si sfidano a braccio di ferro. Un legame scaturito da un’amicizia intellettuale e competitiva che converge soprattutto sul confronto. Prima artisti, poi amici. Il loro fare arte non è un gioco. Prendono talmente sul serio la vita da farla diventare più leggera. Hanno La volontà di sdrammatizzare e di porre il gioco dell’ironia al posto della profondità della riflessione. Questo è ciò che li accomuna.
La prima parte dell’allestimento, infatti, si concentra sul dialogo concettuale tra i due, avvenuto dal loro stretto rapporto tra il ’69 e il ’71, che consiste in lavori fotografici, lapidi e ricami. La seconda parte invece pone l’accento sul distacco che avviene nel ’72, quando Boetti parte per Roma, lasciando Torino e la Galleria Stein, a quell’epoca punto di ritrovo dell’arte povera torinese.
Iniziando dalla prima sala della mostra, lo spettatore può già capire le caratteristiche che accomunano Boetti e Salvo. Entrambi si interrogano sulla rappresentazione del sè, seppur attraverso metodi differenti. Boetti preferisce indagare sulla duplicazione della propria figura, diventando il proprio doppio che potrebbe essere interpretato come altro o come opposto, come individuo e come artista. Nel fotomontaggio Gemelli del 1968 Boetti si duplica: ci sono adesso due Alighieri che si tengono per mano con un’unica differenza: uno si è fatto lo shampoo e l’altro no. Cosa significa? Pulito opposto a sporco? Prima diverso al dopo?
Le fotografie di Salvo invece si concentrano sulla moltiplicazione del sè, nella trasmigrazione da un ruolo all’altro. L’artista che può avere infiniti ruoli diversi, può essere ciò che vuole: un eroe, un santo, un poeta. Questo è ben visibile in una delle sue più famose fotografie in bianco e nero Benedizione di Lucerna del 1970: qui l’artista nelle sembianze di Santo con una mano ci benedice, con l’altra presenta se stesso: il gesto è uguale a quello del benefattore, ma con una sigaretta in mano. Quella di Salvo però non è arroganza, sicuramente è narcisismo, ma un narcisismo ironizzato più che celebrato. Tendeva a fuggire dalle adulazioni. Era sicuro della sua arte anche se un elogio in sua presenza lo ha sempre imbarazzato.
A seguire nella seconda sala l’allestimento affronta la tematica di Fare frasi intrapresa da entrambi. Boetti, dopo un soggiorno in Afghanistan, delega ad alcune ricamatrici afghane la realizzazione di arazzi colorati rappresentanti griglie quadrate con all’interno lettere che compongono frasi da lui inventate (fuso ma non confuso, segno e disegno). Salvo sceglie invece di incidere le frasi tratte da favole e storie antiche su delle lapidi, con riferimenti spesso a se stesso (Io sono il migliore). La sua autorità si ritrova anche nei suoi lavori seguenti, come in quelli presenti nella sezione della mostra dedicata al tema Tautologia. Qui ci sono ad esempio copie manoscritte di favole classiche dove il nome dell’eroico protagonista viene sostituito con quello dell’artista stesso. L’arte tautologica di Boetti invece si manifesta in maniera differente: con la tecnica del ricalco realizza I Cimenti del 1970, ovvero ripassa con la matita la quadrettatura prestampata della carta con tratti che ne ripercorrono diversamente le aggregazioni lineari.
Le ultime due sezioni della mostra designanti la comunicazione intellettuale tra Boetti e Salvo sono dedicate alla loro concezione dello spazio e del tempo. Qui sono esposti i famosi dipinti di Salvo che fanno riferimento all’iconografia classica dei grandi maestri dell’arte passata come il quadro S. Giorgio e il Drago del 1970. Relative al concetto di spazio invece, si trovano appese le iconiche mappe dei due. La visione boettiana rende conto delle modifiche geopolitiche avvenute in tutto il mondo con le bandiere dei vari territori all’interno del planisfero. Le mappe di Salvo si concentrano su un aspetto spaziale più limitato, la penisola italiana e la Sicilia, terra di origine dell’artista, elencandovi all’interno delle rispettive un excursus di nomi di uomini famosi (filosofi e poeti) terminando con il nome di Salvo, che non può mai mancare.
Dopo aver percorso questi anni in cui le tematiche artistiche dei due poveristi sono profondamente vicine, la mostra inizia un viaggio differente, determinato dall’anno ’72, quando Boetti decide di lasciare Torino e partire per Roma. Da qui il tema Infinita varietà del tutto. Le strade dei due amici si dividono: Alighiero continua con la sua arte concettuale, questa volta più colorata e più attenta ai numeri, al caso, alle permutazioni, ai giochi d’infanzia. Con l’opera Tutto del 1989 ad esempio, l’artista e la figlia si divertono a mettere insieme oggetti semplici trovati in casa e a riempire gli spazi vuoti che si creano tra di essi, delineando una figurazione che in questo caso viene tramutata in un ricamo su tela. Boetti non abbandona mai l’arte del ricamo, venutagli dalla madre che, quando viene lasciata dal marito senza denaro, si improvvisa commerciante, commissionando ricami in provincia per poi rivenderli alle sartorie torinesi. “E sai dove li custodiva i ricami?” Racconta Alighiero. “Nelle buste da lettera usate, capisci? Ecco da dove vengono i miei ricami e i miei lavori postali”. Boetti non dipinse mai, non si riconobbe mai come pittore. Una volta gli chiesero “cosa fai nella vita?” e lui rispose “l’artista.” “Cioè il pittore?”“No, l’artista”.
La pittura invece diventa la protagonista dell’arte di Salvo dagli anni ‘70 in poi. I suoi dipinti sono coloratissimi ed il suo stile è inattuale ed ordinario. Scorci urbani e paesi esotici un po’ irreali si sottraggono a nuove convenzioni con i mezzi della vecchia convenzione! Un atto d’avanguardia nel senso migliore.
Avanguardia, gioco, sperimentazione, riflessione. E’ la curiosità inarrestabile a guidare il loro genio creativo. La curiosità di conoscere se stessi, gli altri, il fare, la vita.
Accanto alla mostra dedicata a Boetti e Salvo viene proposta l’esposizione Torino 1966-1973, dal 9 aprile al 23 luglio 2017, allestita presso lo “Spazio -1. Collezione Olgiati”, adiacente al LAC e parte del circuito del Museo d’arte della Svizzera italiana. Lo scopo di tale Mostra è quello di spiegare meglio l’ambiente artistico torinese che si viene a creare intorno alle gallerie Sperone e Stein in questi anni e da cui nasce la figura di Boetti e di Salvo. E’ proprio nel ’67 infatti che il critico d’arte Germano Celant denomina questo nuovo movimento artistico Arte Povera. La collezione presenta 30 opere di artisti quali Michelangelo Pistoletto, Giuseppe Penone, Mario e Marisa Merz, Giovanni Anselmo, oltre agli stessi Boetti e Salvo. Ognuno ha un proprio percorso, ma pur sempre condizionato da una vena collaborativa inevitabile. Ciascuno guardando la propria arte, non può evitare di gettare un occhio su quella dell’altro. Pistoletto disse una volta che non c’è cosa peggiore di un artista nel vedere un altro artista e dire “avrei voluto farlo io”.
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