Un approfondimento sull’opera del pittore francese Claude-Joseph Vernet raffigurante una “Gara sportiva lungo il fiume Tevere”, un olio su tela della Galleria Cesare Lampronti (Londra e Roma). Il testo di seguito è stato redatto da Giancarlo Sestieri per l’expertise dell’opera. Sestieri si è laureato in Storia dell’ Arte Moderna con G. C. Argan all’Università di Roma, dedicandosi allo studio della pittura e del disegno dell’età barocca, in particolare delle scuole romana e napoletana. Ha curato diversi cataloghi di mostre antiquarie di dipinti e disegni, scritto libri e redatto schede di mostre italiane e straniere.
«Sicuramente Claude-Joseph Vernet (Avignone 1714 – Parigi 1789) fu uno dei pittori più famosi del suo tempo e, probabilmente, anche il più prolifico. Infatti basta scorrere i suoi “livres de raison”, una sorta di nuovo “Libro della Verità” sulle tracce di Claudio di Lorena, ma molto più ampio e circostanziato, in cui sono annotate tutte le commissioni espletate da poco dopo il suo arrivo a Roma nel 1734 sino alla morte, per rendersi conto della sua indefessa e lunga attività, quasi subito stimolata da un crescente numero di richieste, che aumentarono col suo trionfale ritorno in Francia a Parigi, sancito dalla già avvenuta commissione regale di Luigi XV dei Ports de France.
In effetti la sua ambientazione a Roma – dove poté recarsi grazie allo sponsor di Joseph de Seytres, Marchese di Caumont, che apprezzò il suo primo operato nella città natale tra cui una serie di ‘soprapporte’ con paesaggi – fu quanto mai favorevole, propiziata anche dalle introduzioni nei circoli papali, di cui certo poté avvalersi qual cittadino di Avignone, al tempo ancora in territorio papale. Grazie al ben accetto accesso nell’Accademia di Francia, divenne subito intimo del qualitativo milieu francese a Roma, venendo poi già nel 1743 accolto nell’Accademia di San Luca. Il suo primo importante mecenate a Roma fu Paul-Hippolyte de Beauvilliers, Duca di Saint-Aignan (1684-1776), al quale seguirono presto diversi altri committenti, dai diplomatici francesi ai partecipanti al Grand Tour, inclusi poi i nobili e gli ecclesiastici romani.
Indubbiamente la fama e la fertilità produttiva furono due peculiarità direttamente connesse tra loro, e proprio dal suo immediato incalzante successo il Vernet si dovette sentire stimolato a stilare un libro in cui annotare sempre le commissioni. Un ‘promemoria’ che risulta utile per distinguere l’autografia delle sue opere da quelle dei numerosi imitatori e seguaci, fervidamente attivi quando egli era ancora in vita. Sebbene il Vernet sia generalmente ricordato quale pittore di “marine”, egli dipinse sin dai primi anni quaranta un piccolo numero di lavori topografici, ai quali ritengo che attenga il messaggio più attuale e progressivo del suo operato, oltre i conseguimenti del Canaletto e del Panini, e non inferiore al Bellotto, per una parallela seppure diversificata moderna proiezione nel secolo successivo.
In tale specializzazione – preceduta ed affiancata da un’attività grafica, focalizzata sulle antichità romane – Vernet ebbe modo di affilare le sue doti di vedutista in alcune prove magistrali – di cui la presente “Veduta del Tevere con sullo sfondo Castel Sant’Angelo e il ponte omonimo” (dipinto a olio su tela, cm 94 x 137), costituisce un’opera emblematica – superando la precisa obiettività delle vedute vanvitelliane, per sovrapporvi un nuovo sentimento della luce e dell’atmosfera che trasfigura la realtà con accenti preromantici.
Inoltre nella raffigurazione della gara sportiva tra gli equipaggi di due imbarcazioni – due contendenti sulla prue si affrontano con lunghe alabarde e piccoli scudi – sulle acque del fiume, con una grande partecipazione di folla di varia estrazione, dai barcaioli e i popolani agli aristocratici, egli esplica l’altra sua originale prerogativa di moderno vedutista, che considera i parametri figurativi sullo stesso piano di quelle vedutistici, ai fini di offrire originali tagli compositivi, come nel ‘nostro’ con la ‘panoramica’ in primo piano di partecipanti e spettatori con l’aggiunta di una banda e soprattutto con la inserzione dell’emergente terrazza, ospitante una elite aristocratica dell’occasione, protetta da una squillante tenda a strisce e con uno stendardo, issato su un’asse che si protende nel cielo, che occupa, come abitualmente nelle opere del Vernet, una porzione uguale o superiore a quella della intera scena.
Proprio l’analisi del cielo consente di puntualizzare le poche diversità con l’altra versione della National Gallery di Londra – di cm. 99,1 x 135,9, quindi meno alta ma poco più lunga della presente versione – che fu ordinata dal marchese de Villette nel 1749 ed esposta al Salon di Parigi nel 1750, in cui tutti gli elementi risultano uguali a quelli del quadro qui preso in esame, tranne appunto lievi differenze nelle nuvole del cielo e la illuminazione che s’irradia attraverso di esse, suggerenti una differente condizione atmosferica, nonché anche una diversa ora del giorno. Peculiarità quest’ultima che contrassegna in genere tutte le opere del Vernet dalle “vedute” alle “marine”, con una pertinente attinenza realistica. I raggi che filtrano tra le nuvole meno scure e diverse da quelle del dipinto londinese, indicano nel ‘nostro’ dipinto una probabile sua puntualizzazione atmosferica nel primo pomeriggio. Mentre più approssimativa risulta l’indicazione che si può trarre dal grigiastro cielo nuvoloso del quadro della National Gallery.
La paternità del Vernet per il presente dipinto, che ho potuto esaminare direttamente con attenzione, oltre ad essere supportata pienamente dal suo alto tasso qualitativo, perfettamente in linea con quello sempre alto del Vernet e di certo non inferiore a quello della versione londinese, è inoltre direttamente attestata dalla firma e data “Joseph Vernet / Rome 1750”, apposta sul secondo masso del muro sul lato sinistro, tra l’uomo seduto con giacca verde e quello sulla barca con camiciola bianca, che risulta. Firma che risulta perfettamente innervata nel tessuto pittorico con una grafia tipica dell’artista e che è del tutto uguale alla firma e data presenti nella versione londinese, con un’identica collocazione. Con ogni probabilità il ‘nostro’ quadro fu occasionato da un committente che aveva visto il quadro londinese appena terminato, in attesa di essere spedito a Parigi. Ma non è da escludersi l’ipotesi inversa.
Infine giova precisare che la prima riapparizione moderna della presente versione fu all’asta del 20 dicembre 1957 (lot 46) della Christie’s di Londra, dove fu presentata come opera pienamente autografa e fu acquistata da Mrs. Patrick Poer O’Shee per 520 ghinee, pari a 546 sterline, cifra assai alta per l’epoca, non inferiore alle quotazioni del tempo dei Canaletto.
D’altronde il Vernet per eseguire una versione esattamente uguale all’altra, tranne le varianti delle nuvole e della diversa intensità luminosa, doveva agire avendo la visione diretta della prima eseguita. Può anche darsi, se si avvalla l’individuazione dello stesso autore con la consorte Carlotta Cecilia Virginia Joachina Parker, sposata nel 1745, nella elegante coppia in primo piano sul lato destro, seguita da una bambina – la figlia allora di pochi anni – accompagnata da una dama, che lo stesso Claude-Joseph abbia eseguito una replica per la sua collezione.
Il Vernet dopo essere stato avviato alla pittura dal padre Antoine, modesto decoratore ed avere frequentato lo studio di Philippe Sauvan, si spostò presto ad Aix-en-Provence per studiare sotto la guida del pittore di marine Jacques Viali, avendo così anche la possibilità di conoscere opere di Gaspard Dughet, Salvator Rosa e Claudio di Lorena, presenti nelle collezioni di Aix e di Avignone. Nel 1734 cade il suo citato arrivo a Roma e le citate tappe del suo rapido successo. Nell’Urbe soggiornò per due decenni, tranne diverse lunghe permanenze a Napoli, dove diede vita a un fiorente seguito, con validi maestri dal Delacroix e il Volare al Bonavia a il Fidanza. A Roma fu probabilmente allievo del lionese Adriaen Manglard, specialista già affermato del settore, che probabilmente lo avviò alla pittura delle “marine”. Ma a tale proposito sarebbe interessante recuperare la personalità di Bernardino Fergioni che, a detta del Lanzi, fu l’iniziatore in Roma della pittura di marine e che alcune fonti danno addirittura come maestro di Claude. Comunque più che dal Manglard egli dovette trarre più proficui spunti dalle opere del Panini e del Locatelli, ispirandosi anche alla lezione che gli potevano fornire le tele di Claudio di Lorena e di Salvator Rosa, allora numerose in Roma. Ad ogni modo il successo quale pittore di “marine” fu sicuramente assai rapido, con una fama presto internazionale, come si può arguire dalla caricatura che gli fece nel 1739 P.L. Ghezzi, colla dicitura “Monsieur Vernè Francese Pittore …di Marine con Figure”, e dalla sua entrata all’Accademia di San Luca nel 1743.
Come già accennato la sua fama da Roma, poco dopo il suo arrivo giunse anche a Parigi. Cosicché nel 1746 fu accolto all’Accademia Reale di Parigi, di cui divenne membro nel 1753, anno in cui ritornò in Francia. Nel 1750 aveva ricevuto nel suo studio la visita di Abel-François Poisson de Vandières, futuro Marchese di Marigny, tramite il quale ebbe l’incarico da Luigi XV di dipingere i “Porti di Francia”. Impresa alla quale lavorò, con l’aiuto del Volare, dal 1753 al 1765, quando la interruppe dopo averne compiuti quindici dei ventiquattro previsti. Forse egli desistette per i ritardi nei pagamenti e più probabilmente per le forti spese che doveva affrontare, spostarndosi con la famiglia da un porto all’altro.. Tuttavia egli rimase attivo sino alla morte, anche se dopo il 1770 si può rilevare nella sua ultima produzione, , un ripiegamento su formule collaudate talvolta con iterazioni, problema quasi inevitabile per un artista dalla carriera così lunga ed intensa, come già notato dal Diderot».
EXPERTISE
G. Sestieri, 28 Febbraio 2017
GALLERIA CESARE LAMPRONTI
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