L’uomo di neve, il thriller nordico con Michael Fassbender, è un omaggio a Dario Argento che poco aggiunge alla lunga tradizione del noir tra le nevi.
È arrivato anche nelle sale italiane l’attesissimo L’uomo di neve, annunciato come un thriller terrificante. Sembrava strano che fino ad ora la grande macchina di Hollywood non avesse allungato le sue mani sulla fortuna letteraria di Jo Nesbø, autore di thriller che vanta lettori appassionati in tutto il mondo.
Dopo il fortunato Headhunters, il film norvegese tratto dal romanzo Il cacciatore di teste e diretto da Morten Tyldum (che in seguito ha trovato fama mondiale grazie a The Imitation Game), ecco invece arrivare la prima riduzione internazionale tratta da uno dei suoi lavori: L’uomo di neve.
Per l’occasione -e per replicare al cinema la fortuna letteraria- la produzione è di tutto rispetto. Alla regia è stato chiamato Tomas Alfredson (Lasciami entrate, La talpa) e a comporre il cast una sfilza di superstar.
A dare volto e corpo all’ispettore Harry Hole (il più fortunato dei personaggi di Jo Nesbø, ad oggi protagonista di sette romanzi) è Michael Fassbender, e va bene così.
Al suo fianco Rebecca Ferguson (già vista in Mission Impossible Rogue Nation),Charlotte Gainsbourg, il redivivo Val Kilmer e gli onnipresenti Chloë Sevigny e Toby Jones.
L’uomo di neve è, in buona sostanza, un film di Dario Argento ambientato a Oslo. Il guanto nero dell’assassino è un emblema inconfondibile. Non può che sembrare una citazione palese anche lo strumento di morte scelto per compiere alcuni degli efferati omicidi che costellano la vicenda. Lo stesso usato in Trauma, film americano di Dario Argento con Piper Laurie e Asia Argento – in entrambi i casi tra l’altro tutto ruota attorno alla maternità (negata, voluta, proibita).
Di terrificante però c’è poco, qui e là qualche scena un po’ schifosa, ma comunque sempre molto compassata.
I più svegli intuiranno l’identità dell’assassino 15 minuti dopo l’inizio del film, gli altri si potranno godere il paesaggio. Gli unici guizzi di regia sembrano infatti dedicati a questo protagonista non accreditato.
Vero protagonista della pellicola difatti resta proprio lui, il paesaggio. Distese di neve a perdita d’occhio su panorami mozzafiato, in bilico tra l’angoscia e la poesia. Un felice connubio che ha reso questo immaginario scenografico il punto di forza di una lunga serie di thriller ambientati alle longitudini dell’estremo nord.
Il più riuscito sicuramente Millenium di David Fincher (che vanta sugli altri una visione registica di prima grandezza), da non tralasciare però la trilogia originale (Uomini che odiano le donne, diretto da Niels Arden Oplevma, La ragazza che giocava col fuoco e La regina dei castelli di carta diretti invece da Daniel Alfredson). Altro riuscitissimo remake hollywoodiamo è quello di Insomnia (Christopher Nolan, 2002), dall’omonima pellicola del 1997 di Erik Skjoldbjærg.
Ricordiamo anche In ordine di sparizione di Hans Petter Moland e L’Ipnotista di Lasse Hallström. Per il piccolo schermo da non perdere Fortitude, The Killing (nella versione originale danese e nel suo adattamento americano) e Svartsjön (Black Lake).
Grande nord ok allora me lo recupero in modalità Geo&Geo, perche’ i libri del Nesbo io li divoro.