Sulla scorta delle esperienze kandinskyane la sua pittura si sviluppava in un astrattismo lirico con forti inflessioni organiche, sempre lontano d’ora in poi da gruppi o correnti del momento
“Bruno Munari? Un uomo geniale senza dubbio, un grande inventore, ma un modesto pittore. Alberto Burri? Un ottimo pittore, insieme a Fontana e Melotti uno dei maggiori rappresentanti dell’arte italiana. Giorgio Morandi? Grande pittore, ma non un inventore: aveva poche idee, ha fatto delle bottigliette, dei brutti autoritratti. Renato Guttuso? Un vero pittore. I suoi quadri giovanili erano bellissimi come pittura tout court, poi ha continuato con delle figurazioni sempre più accademiche, esempio i grandi nudi”. Più di tante parole dette da noi, sono quelle dette da lui a Luigi Mascheroni, le sue preferenze fra colleghi spesso coetanei, a dirci molto sul Gillo Dorfles pittore. Già perché come noto c’era anche la pittura fra i tanti impegni del grande intellettuale scomparso oggi a 107 anni: una qualifica, quella di “intellettuale”, che Vittorio Sgarbi rifiuta sdegnosamente con la sua abituale veemenza, ritenendola generica e debole, ma che è forse l’unica a poter riunire le infinite qualità del grande Gillo, storico dell’arte, docente, giornalista, filosofo, critico d’arte, curatore, saggista, e anche appunto artista lui stesso. Nato a Trieste nel 1910, laureato a Roma in medicina nel 1935, dagli anni ’30 risiedeva a Milano. Specializzatosi in psichiatria, coltivava parallelamente studi filosofici e critici, iniziando poi a dipingere. I suoi interessi artistici si erano del resto già manifestati nel 1930 durante un viaggio in Germania e nei paesi del Nord, dove aveva avuto modo di conoscere le opere degli espressionisti, in particolare di Klee e di Kandinsky. Nel 1948, a Milano, fu tra i fondatori, con Gianni Monnet, Bruno Munari, Atanasio Soldati, del M.A.C., il Movimento Arte Concreta. “Non ho mai fatto parte di una tendenza ufficiale: il Mac era ‘contro’ la pittura del momento; una volta che quell’esperienza si è esaurita, ho continuato a essere contro l’avanguardia del momento”, puntualizzava Dorfles intervistato da Silvia Sperandio.
La sua opera pittorica cominciò comunque a farsi conoscere attraverso le mostre collettive con i compagni del M.A.C., e poi con le prime personali presso la Libreria Salto di Milano e la Galleria George Wittenborn di New York nel 1949. La fine dell’esperienza del Movimento Arte Concreta nel 1958, con la scomparsa di Gianni Monnet, ed i crescenti impegni accademici, lo indussero a rallentare la propria attività creativa, che sulla scorta delle esperienze kandinskyane si sviluppava in un astrattismo lirico con forti inflessioni organiche, sempre lontano d’ora in poi da gruppi o correnti del momento. “Non credo che oggi, magari domani, si possa fare un’arte contemporanea col ritratto, il paesaggio e la natura morta”, confidava ancora a Luigi Mascheroni. “Dopo la fotografia, il cinema e la televisione, la figurazione non ha più senso”. Ma la sua attività espositiva riprende a pieno ritmo verso la fine degli anni Ottanta: tra le tante esposizioni, vanno ricordate la mostra al PAC di Milano (Gillo Dorfles. Il Pittore clandestino) nel 2001, a cura di Martina Corgnati, la grande mostra antologica al Palazzo Reale di Milano nel 2010, in occasione dell’uscita del volume “Gillo Dorfles. Catalogue Raisonné”, a cura di Luigi Sansone, e quella del novembre del 2015 – Gillo Dorfles Essere nel tempo – al MACRO di Roma, a cura di Achille Bonito Oliva e Fulvio Caldarelli. “La cosa che mi diverte di più è ‘fare’ con le proprie mani, ho sempre realizzato dei lavori in parallelo con la mia attività di docente…”, confessava sempre a Silvia Sperandio. “Poi, negli ultimi anni, ho avuto molto più tempo libero di quando insegnavo all’università e ho intensificato questa attività. Certo, non mi sono mai preoccupato dell’aspetto pratico del mercato, e non mi illudo che questo mercato sia da subito favorevole alle mie pitture”. Nella fotogallery, una serie delle sue opere…