“Vincent van Gogh. L’odore assordante del bianco” di Stefano Massini. Fino al 2 dicembre al Teatro Manzoni di Milano, con Alessandro Preziosi
L’impressionismo è un movimento artistico che deve la sua nascita a tre precedenti fenomeni che hanno rivoluzionato l’universo artistico: il romanticismo, il realismo e l’avvento della fotografia.
Il romanticismo stimola gli artisti a ricercare l’ispirazione non più nella razionalità e nella bellezza classica, tipici dell’illuminismo e del neoclassicismo, ma nella spiritualità e nell’immaginazione. Il realismo rende l’arte uno strumento di denuncia sociale, gli artisti non vogliono più realizzare un’allegoria della realtà ma pretendono di fotografarla così come essa è davvero. Basti pensare al quadro di Giuseppe Pellizza “Il quarto stato”, per capire la rivoluzione portata da questo flusso culturale. Infine la tecnologia porta con sé nuove invenzioni e così viene sviluppata la prima macchina fotografica. L’impressionismo conduce gli artisti a rappresentare sulla tela l’impressione che l’oggettività della natura stimola in loro. Attraverso i colori e le forme, gli artisti rappresentano la realtà che li circonda, come paesaggi urbani e naturali oppure figure umane. In conseguenza a questo movimento artistico, qualche tempo dopo nasce l’espressionismo. Se nell’impressionismo ciò che rappresenta l’autore è l’emozione provata contemplando la realtà, al contrario nell’espressionismo, l’autore rappresenta come appare la realtà plasmata dalla sua spiritualità. Il movimento è dal dentro verso il fuori.
Vincent van Gogh è l’esito di questo lungo e meraviglioso percorso. Il suo stile pittorico si pone, in un certo senso, a metà strada tra l’impressionismo e l’espressionismo. Lui era un uomo depresso che colorava il mondo esteriore con i colori della sua anima. Ciò che gli dava la forza di vivere e di sopportare i traumi della vita era la consapevolezza che attraverso l’utilizzo del suo pennello avrebbe arricchito la realtà che viveva.
Nello spettacolo “Vincent Van Gogh. L’odore assordante del bianco” di Stefano Massini, in programma fino al 2 dicembre al Teatro Manzoni di Milano, Alessandro Preziosi interpreta l’artista. Alessandro non è truccato, non porta nulla che ricordi Van Gogh, tuttavia l’attore si trasforma in lui. Preziosi racconta l’emozione dell’artista che, essendo rinchiuso in manicomio, non può più dipingere. Attraverso la sua mimica facciale, Preziosi fa immaginare la dilaniante disperazioni che provò Vincent. Alessandro urla, piange e ride, è un pazzo perché pazzo era van Gogh. Spesso il matto è allontanato dalla società, perché questa non è capace di leggere la profondità altrui. L’artista è un pazzo che celebra la sua pazzia. Questo ci racconta Preziosi. Alessandro attraverso la sua contorsione fisica rappresenta la tortura mentale vissuta da van Gogh durante il periodo in cui fu ricoverato all’interno del manicomio. Per l’artista olandese il bianco delle pareti della sua camera d’ospedale e del suo camice, sono la trasfigurazione dell’assordante assenza di colore che ha la sua anima rinchiusa in prigione. Con questo lavoro l’attore ha sicuramente realizzato lo spettacolo più maturo della sua carriera.
Alessandro durante la conferenza stampa ha affermato: “Ho lavorato tantissimo sul corpo, forse in modo anche eccessivo. Nello studio del personaggio ho cercato di capire cosa significhi dipingere quello che si prova dentro lo stomaco quando si vede qualcosa di straordinario. Per me comprenderlo è stata un’esperienza bellissima. Io ho cercato di rappresentare cosa era van Gogh rispetto all’arte. Vorrei fare comprendere la giustizia della sua arte e il suo valore espressivo”.
Poi ha continuato asserendo: “Utilizzo il pretesto dello spettacolo per poter raccontare che cosa è un processo creativo e che cosa comporta avere a che fare con l’arte. La semplificazione che si fa oggi dell’arte è irritante. L’artista è una persona che rischia la sua vita per l’arte”.
Il testo di Massini è magistrale, la regia di Alessandro Maggi appropriata e valorizzante le capacità dell’attore. La grande abilità nell’utilizzo sia delle luci (Valerio Tiberi e Andrea Burgaretta) sia delle musiche (Giacomo Vezzani) hanno reso le scene intense e profonde.