La UNA Galleria di Piacenza presenta la bipersonale SPIT or SWALLOW. Dal 26 gennaio al 23 marzo gli artisti Stefano Serretta e Alessandro Sambini porranno le loro opere in un dialogo serrato sull’esistenza e la sua rappresentazione.
Quanto l’immagine di una cosa ci racconta di essa? Quanto su di essa ci mente?
Oggi siamo così abituati a confidare ciecamente – si, spesso in fondo nemmeno le vediamo, sorpassano la retina e il loro messaggio arriva direttamente al cervello – nelle immagini da non interrogarci sulla loro validità. Ma a pensarci bene già Platone, per affidarci ad un discorso consolidato, diffidava dall’immagine, intesa come una riproduzione della realtà, che già a sua volta è declinazione del mondo ideale. Forse queste due dimensioni non sono allora così complementari, naturali nel loro co-partecipare alla manifestazione dei fenomeni.
Il filosofo francese Jean-Luc Nancy si spinge addirittura oltre sostenendo che:
“L’immagine è l’imitazione di una cosa, solo nel senso in cui l’imitazione è l’emulazione della cosa: essa rivaleggia con la cosa, e la rivalità non riguarda tanto la riproduzione quanto la competizione per la presenza. L’immagine contende alla cosa la presenza”
Quindi tra immagine e cosa non c’è compresenza, non cooperano nel manifestare la realtà ma si pongono in antitesi, rivaleggiano per primeggiare nell’immaginario collettivo. Ma a che scopo?
Provano a rispondere gli artisti Stefano Serretta e Alessandro Sambini, nella mostra SPIT or SWALLOW, la bipersonale curata da Andrea Tinterri alla UNA Galleria di Piacenza. Entrambi sono interessati alle nuove strutture linguistiche, ai nuovi canali, alle nuove scritture attraverso cui comunicare e filtrare il mondo. Si interrogano sulle immagini consumabili, spesso rapidamente, che il pubblico fruisce ma forse non comprende.
Serretta in particolare approfondisce il solco della ricerca iconografica e storica, concentrandosi sul metodo con cui l’entertainment occidentale ha traslato alcuni dei fondamentalismi contemporanei. Racconta infatti di monumenti e siti archeologici portati dalla loro riproduzione visiva sul confine tra la conservazione (del ricordo) e la cancellazione totale. L’artista si interroga proprio sulla possibilità di un (pilotato?) slittamento semantico tra la cosa e la sua riproduzione.
Anche Sambini evidenzia le possibili diffrazioni tra reale e riproduzione visiva. Lo fa sfruttando un algoritmo, liberamente accessibile su internet, che genera casualmente una serie di immagini plausibili, ma privi di una concreta ancora con la realtà. Nei suoi Spelling Book non è impossibile imbattersi in una serie di immagini indipendenti e sfuggevoli (piramide, Marte, Gesù, scheletro) che spingono l’osservatore ad indagarne la natura e i possibili collegamenti reciproci.