Mario Baistrocchi nacque in Argentina nel 1892 da una famiglia di origine parmense, studiò giurisprudenza presso l’Università di Genova. Mario aveva l’aspirazione di portare allegria e gioia in un clima politico rigido che poi sfociò nella prima guerra mondiale. Chi meglio dei giovani può avere abbastanza entusiasmo per portare un sorriso sul viso dei genovesi? Nel 1913 fondò la compagnia universitaria che in seguito avrebbe preso il suo nome.
Malgrado sia riuscito a curare la produzione teatrale solo per due anni, poiché in seguito alla partenza per il fronte durante la prima guerra mondiale perderà la vita nel 1917, la compagnia è diventata la più antica in Italia ancora in attività. Il suo coraggio e la sua determinazione sono stati premiati attraverso il conferimento della medaglia d’argento al valore militare alla memoria quale esempio di fede patriottica e ardimento nella battaglia che precedette la campagna sulla Bainsizza.
Quest’anno alla fine di ogni serata, prima che si chiuda il palcoscenico, il generale Granfranco Francescon alla guida del comando ligure recita una lettera per ricordare Mario. Il generale afferma: “di lui sappiamo che fu generoso, eclettico e che non si è risparmiato negli studi universitari di giurisprudenza all’Università di Genova, nella goliardia e nel servizio alla patria quale ufficiale dell’esercito. La sua breve esistenza fu vissuta tutta intensamente”.
Lo spettacolo è ricco di sketch e gag che intervengono all’interno di una trama principale costruita sulla falsa riga dei promessi sposi. Il lato satirico è sempre in agguato infatti i protagonisti sono Matteo Salvini, Elisa Isoardi, Silvio Berlusconi, Matteo Renzi e tanti altri. Come se si trattasse di una storia vera, un giornalista attraverso un servizio del “TG Bai”, interviene sul palcoscenico e introduce l’inizio della storia dei Promessi Spesi. Tuttavia la particolarità è che non si tratta di un attore che interpreta un giornalista ma di un giornalista che fa l’attore, infatti si tratta del giornalista di La7 Paolo Colombo. Splendida sia la performance di Francesco Martignone che interpreta Freddie Mercury in “I want to break free” sia quella di Giovanni Battista Olivari che interpreta Tina Turner in “The Best”. Fa sicuramente morire dal ridere la gag tra paziente e psicanalista interpretata da Edoardo Quistelli, che cura la regia e la sceneggiatura dell’intero spettacolo, e dal cantante Andrea Murgia. Prima dell’esibizione abbiamo avuto la fortuna di intervistare Edoardo.
Qual è il ruolo sociale di questa compagnia?
Il suo ruolo sociale è quello di aiuto, perché abbiamo fatto un po’ di conti per capire, e siamo su qualche milione di euro di beneficienza raccolti lungo questi oltre 100 anni di attività.
Come mai sei entrato nella compagnia?
Io sono entrato quando Piero Rossi faceva il coreografo. Io ero un pivellino e lavoravo come insegnante di tennis. Mi candidai per entrare. Piero mi chiese se ero universitario e io risposi di si e sono entrato. Ho cominciato a collaborare con loro, hanno visto che ero un “cialtrone” e mi hanno chiesto se potevo recitare un po’, allora ho cominciato a recitare e poi ho detto: faccio qualche anno e poi smetto. In realtà gli anni sono tantissimi anche se intermezzati da tanti altri spettacoli. Poi ho continuato e ho rubato un po’ il mestiere a chi ne sapeva, e adesso mi trovo da qualche edizione a fare l’autore, il regista, e anche uno degli attori principali dello spettacolo.
Attraverso lo spettacolo cosa vuoi comunicare?
Il messaggio è che ci si può divertire parlando di tutto e di tutti. La nostra compagnia poi è particolarmente irriverente, a noi scappa qualche parolaccia, anzi ultimamente ne diciamo meno, perché abbiamo visto che ormai i cominci per far ridere ne dicono tante e allora noi facciamo ridere dicendone meno. Noi andiamo sempre contro corrente. La gente viene per vedere le gambe pelose delle nostre ballerine perché siamo tutti uomini, ma alla fine vogliamo incassare un po’ di soldi per aiutare chi ne ha bisogno e in questi anni abbiamo aiutato tanto tanto tanto e continueremo a farlo fino a che riusciremo a rimanere in piedi.
Qual è il tuo rapporto con l’intimo femminile?
È molto buono! Io ho la fortuna di essere un cinquantenne con una moglie giovane e due figli piccoli. Io e mia moglie proviamo di tutto, insomma ogni tanto sono io che si mette la roba da donna. (sorride)
All’interno della compagnia c’è spazio anche per i giovani…
Altro che! Soprattutto per i giovani! Infatti noi vogliamo che questa tradizione non muoia mai, però con le nuove proposte televisive, prima chi entrava in compagnia, entrava e soffriva anche un pochino prima di diventare personaggio, adesso i ragazzi vogliono tutto subito! Come al Grande Fratello: vai lì a fare le ospitate, ma cosa sai fare? I reality hanno reso famose le persone senza in realtà nulla di artistico. Io ho studiato, ho studiato tanto, quest’anno abbiamo un attore che è rientrato, è Adolfo Margiotta, e anche lui è uno che ha studiato tanto, poi abbiamo giornalisti famosi come Paolo Colombo. Lui ha accettato volentieri e adesso non riusciamo più a levargli i vestiti da donna, ha deciso che vuole andare a vivere in Scozia, dove almeno può mettere liberamente la gonna. (sorride)
Tu hai notato negli anni che tutti i giovani comunque avevo un buon rapporto con l’intimo femminile?
Dentro ognuno di noi, un lato femminile c’è sempre, quindi vedersi con un paio di scarpe con i tacchi, una giarrettiera, e magari due tette finte, in certi momenti non ti dispiace neanche, è una cosa un po’ diversa, non è la monotonia della vita sempre uguale, con i pantaloni, mettiamoci qualche gonna! Facciamo vedere le gambe!
Edoardo, qual è la cifra aggiuntiva che ha dato la tua presenza come regista nella compagnia? La tua presenza come ha arricchito lo spettacolo?
Piero era l’ultimo regista che l’ha fatto per anni, ed era molto tradizionalista e abbracciava un certo tipo di pubblico. Io ho voluto cercare di aprire anche ai più giovani, allora ho svecchiato un po’ la rivista, ho messo delle canzoni un po’ più moderne, una scenografia un po’ più comoda, non voglio fare grandi sorprese. Infatti quando la gente entra in teatro, il sipario è aperto, per scelta, io voglio che la gente arrivi e goda in bene o in male, anche criticando, della scenografia che poi vedrà. Ho scelto una scenografia fissa aiutata quest’anno da un maxi schermo, un vidiwall, che ci aiuta con le immagini a raccontare tante cose. Raccontiamo con foto e facciamo delle piccole performance dove c’è sempre uno sfondo dietro. Facciamo delle scene dove prima eri obbligato a portare sedie, fare traslochi, invece adesso con questo vidiwall, abbiamo risolto e troviamo che sia molto più moderno e anche meno dispendioso.
Da cosa ti fai ispirare maggiormente?
Guarda io sono folle! Mentre giro per Genova, che è una città che puoi girare solo con lo scooter, quando sono chiuso dentro quel casco, penso…. Ma la cosa assurda è che quando la settimana scorsa abbiamo debuttato a Camogli, guardando la scenografia ho pensato: si, non male! Inoltre ho già in mente le modifiche per l’anno prossimo. Purtroppo non riesco a fermarmi, non so se sia un bene o un male, ma non riesco a fermare la mente che mi galoppa! Io credo che l’importante non è la cornice ma il contenuto di un quadro e noi dentro questo quadro abbiamo messo tanti giovani in gamba, tanti giovani che hanno voglia di crescere, tanti giovani che ci credono e noi crediamo in loro.