Print Friendly and PDF

La casa di Jack, la discesa agli inferi di Lars Von Trier

La casa di Jack, la discesa agli inferi di Lars Von Trier

La casa di Jack, la discesa agli inferi di Lars Von TrierDopo aver sconvolto il Festival di Cannes, arriva in Italia La casa di Jack, la straordinaria discesa agli inferi partorita dalla mente contorta di Lars Von Trier. Con Matt Dillon, Uma Thurman e Bruno Ganz. Finalmente in sala l’ultimo film dell’autore più strafottente del cinema contemporaneo. Dal 28 febbraio al cinema

Tac. La notizia giunge inaspettata da un comunicato stampa di Videa (che, per intenderci, si è occupata della distribuzione cinematografica del Suspiria di Luca Guadagnino): La casa di Jack (The House That Jack Built), l’ultimo film di Lars Von Trier, verrà distribuito in due versioni VM 18. Nel dettaglio: una versione doppiata in italiano porterà le cicatrici dei tagli alle scene più disturbanti, mentre una seconda versione in V.O. rispetterà l’integrità dell’opera. Queste le parole di Sandro Parenzo, il Presidente di Videa Spa: «Da alcuni anni detesto Lars Von Trier […] così come ho detestato a suo tempo Céline che ha però lasciato uno dei grandi capolavori della letteratura del 900. Con questo spirito distribuisco oggi il suo ultimo film, per raccontare ancora una volta quanta distanza una società civile sappia porre tra uno scellerato autore e la sua opera.
Perché nella Casa di Jack c’è più cinema, più delirante passione che nel 90% dei film che normalmente escono. Nonostante il detestabile Lars, divorato dai suoi demoni, che mai incontrerò».

Ahi, ahi. Ma invece di abbandonarci a fin troppo facili moralismi intellettuali, facciamo un passo indietro: perché La casa di Jack è così sconvolgente?

È Lars Von Trier, folks. Il suo cinema non è mai stato, come dire?, ad alta digeribilità. Fra i padri del Dogma 95 (il movimento cinematografico fondato insieme a Thomas Vinterberg nel 1995, la cui morte è stata dichiarata a distanza di 10 anni dagli stessi fondatori), i suoi film sono da sempre botte allo stomaco, schiaffi sul viso, colpi al cuore. Anche per i fan più affezionati, che (prevedibilmente) sono tanti e infinitamente devoti. Forse perché, rispetto ad altri colleghi del cinema danese, l’innegabile talento di Lars Von Trier è il più accessibile. Non a caso è stato a suo tempo riconosciuto dalle giurie di Cannes: del 2000 la Palma d’Oro per Dancer in the Dark, ma nel corso degli anni il suo lavoro ha collezionato diversi altri premi sulla Croisette (Grand Prix du Jury per Le onde del destino, i premi alle attrici Charlotte Gainsbourg per Antichrist e Kirsten Dunst per Melancholia).La casa di Jack, la discesa agli inferi di Lars Von TrierDate queste premesse, La casa di Jack non dovrebbe fare scalpore. Ma alla sua premiere (proprio all’ultima edizione del Festival di Cannes) il pubblico, come da copione, si è spaccato in due: chi è uscito danzando sulle note di Hit The Road Jack, chi ha abbandonato la sala con il mal di stomaco.

Siamo in America e sono gli anni Settanta. Fame!, rimbomba David Bowie. Jack (Matt Dillon) sembra un uomo qualunque, su cui fare affidamento – e anche da prendere un po’ giro – se dovesse raccoglierci dal bordo della strada, trovandoci in disperato bisogno di aiuto con un crick rotto e un’auto in panne. Ma Jack è un soggetto psicolabile che proprio grazie a noi, così ingenui sul bordo della strada, scopre una straordinaria vocazione all’omicidio seriale. Per lui, ogni delitto è un’opera d’arte. E nonostante l’intervento della polizia, non riesce a fermarsi: al contrario, più la sente avvicinarsi, più si trastulla con il rischio di farsi scoprire.
Fame!, continua a suonare David Bowie. Ahimè, “all good things come to an end” – e la fine, anche per Jack, è inevitabile. Così, quando giunge il momento dell’eterna dannazione, è proprio lui a raccontarci la sua storia. O meglio, a raccontarla a Virgilio (Bruno Ganz), sua guida verso il Tartaro. Jack si concentra sugli omicidi (che lui chiama “incidenti”) di cinque donne. Ed è proprio questo curioso dibattito, un botta e risposta che alterna il racconto dei delitti a una miscela grottesca di sofismi e apologia, che lo accompagna (letteralmente) fino alla bocca dell’Inferno. Quella vera.

Per l’occasione, Von Trier chiama a raccolta alcune delle sue attrici più iconiche. Torna Uma Thurman, l’indimenticabile Signora H di Nymphomaniac (2013). Tornano Siobhan Fallon Hogan, già vista in Dancer in the Dark (2000) e Dogville (2003) – e Sofie Gråbøl da Il grande capo (2006). Ma ci sono anche le new entry, come Riley Keough – ormai sempre più lanciata nel cinema d’autore, dopo il successo di American Honey di Andrea Arnold (2016) e La truffa dei Logan di Steven Soderbergh (2017). E soprattutto Bruno Ganz, l’angelo de Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders (1987) e l’indimenticabile Führer de La caduta – Gli ultimi giorni di Hitler (2004), che qui ci regala la sua ultima performance sul grande schermo.
Ma la new entry più cool è il protagonista: Matt Dillon, fra gli attori più talentuosi della sua generazione, in grado di passare da Tutti pazzi per Mary alla candidatura all’Oscar® per Crash – Contatto fisico. L’interprete perfetto per portare sul big screen questa macabra rivisitazione della “leggenda” di Jack Lo Squartatore.La casa di Jack, la discesa agli inferi di Lars Von TrierQual è il limite del mostrabile, per Lars Von Trier? La reazione di chi ha abbandonato la sala è comprensibile. È tristemente comprensibile anche quella di chi si è divertito, considerato che l’amoralità è l’unica pena che il nostro secolo ci sta imponendo di scontare. Ma la domanda è legittima: ci dev’essere, da qualche parte, anche in Lars Von Trier!, un limite? Non esterno, ma un freno interiore. Fosse anche solo per un fastidioso retaggio culturale che, per carità, è giusto combattere. La naturalezza con cui siamo introdotti alle azioni più efferate (la camera a mano risponde alla perfezione a questa esigenza di realismo e crudeltà), invece, è al limite dell’over-exposure. Anzi, lo supera proprio, facendoci chiedere se l’autore sia semplicemente privo di inibizioni o al contrario ossessionato dall’idea di abbattere i confini del mostrabile. Forse per gioco, forse per sfizio, forse per arte? Sicuramente non con un fine educativo o morale.

How to get away with Lars Von Trier 

«Per molti anni ho girato film su donne buone, ora ho fatto un film su un uomo malvagio»

Non serve una laurea per intuire che dietro a La casa di Jack c’è il suo regista, più vivo che mai. In molti momenti si ha l’impressione che l’apologia di Jack sia quella di Von Trier. “Mi aiuti, buon uomo, quel signore ha ucciso 60 persone, forse anche 61!” urla Simple (Riley Keough) nel tentativo di fuggire. “La aiuti, buon uomo, perché ho ucciso 60 persone!” urla Jack. “Avete bevuto? Siete ubriachi?” chiede il buon uomo, vedendo la ragazza vestita in modo un po’ troppo lascivo e quel gentil signore su di giri per i presunti fumi dell’alcool. “Tornate a casa, invece di importunare la gente” suggerisce lo stolto, troppo cieco per capire che l’arma migliore per nascondere un segreto è non fare nulla.

Il dibattito, allora, si fa molto più complesso e stratificato. Qualcuno suggerisce che il film sia autobiografico: Lars Von Trier sceglierebbe la macchina da presa per uccidere le donne con cui ha lavorato in passato. Attrici che non sopporta più e che vuole imprigionare e torturare. In questo atteggiamento si potrebbero forse leggere reminiscenze à la Hitchcock (per quanto il confronto sia un bel po’ azzardato), l’autore che ha fatto della sua frustrazione nei confronti delle donne una vera missione. Ma la verità è che non potrebbero essere più lontani: Hitchcock era molto più sottile di Von Trier, era psicologico, quasi subdolo – e soprattutto, mascherato da film per il grande pubblico. Mentre Von Trier è violento, esplicito e la sua raffinatezza non serve a nascondere niente; al contrario, esalta la crudeltà delle sue immagini, il rosso del sangue che macchia la neve. Ed è orgogliosamente elitario.La casa di Jack, la discesa agli inferi di Lars Von TrierO molto più semplicemente (l’ipotesi più cinica e divertente), Von Trier ci sta dicendo che è davvero un assassino? Forse il dibattito non ha tutti questi livelli e Von Trier ci avvisa che hey, anche lui ha ucciso 60 persone (forse 61) – e che nonostante la sua pessima reputazione è riuscito a farla franca. Potremmo essere davanti alla confessione di un pazzo omicida e non ce ne saremmo accorti. Ancor peggio: non ce ne fregherebbe proprio nulla. Innocente fino a prova contraria.

Qualunque sia il suo senso, La casa di Jack è una confessione. La confessione di un cittadino al di sopra di ogni sospetto (ma sì, abbiamo scomodato Hitchcock, scomodiamo anche Elio Petri). Anche se, considerato il soggetto, Lars Von Trier non è proprio al di sopra di qualsiasi sospetto… Ma la verità è proprio questa, la conosce anche Jack: il modo migliore per nascondersi è non nascondersi affatto.

La casa di Jack dovrebbe essere il momento della verità, ma è anche l’ennesima occasione in cui Lars Von Trier ci prende per i fondelli. È facile immaginarselo, nella sua villa in Danimarca, affacciato sul bosco o sul mare o su entrambi, sogghignare al pensiero dello scervellamento critico, dell’entusiasmo dei cinefili, dello sdegno dei giornalisti, mentre a mani nude e con un coltello affilato scuoia il pesce che ha pescato la mattina. E poi se lo mangia. Così come si è mangiato la nostra intelligenza, spappolata dietro all’incomprensione di che cosa possa misteriosamente celarsi dietro al suo ultimo film. Lars Von Trier, sia tu maledetto.

>> La Casa di Jack, guarda il trailer

 

Commenta con Facebook

leave a reply