Border, dalla Svezia una sfida per il pubblico: thriller, horror e fiaba nera sulla natura dell’identità. In sala dal 28 marzo
Ali Abbasi ha fatto il suo debutto sulla croisette di Cannes lo scorso anno con Border, suo secondo lungometraggio (il primo è stato Shelley, thriller/horror del 2016). Nel film il regista danese-iraniano cui rilegge alcune suggestioni del folklore nordico partendo da un soggetto di John Ajvide Lindqvist, già autore del romanzo cult Let the Right One In (Lasciami entrare) – da cui poi l’omonimo film horror svedese del 2008 diretto da Tomas Alfredson (La Talpa, L’uomo di neve) e il remake inglese del 2010 per la regia di Matt Reeves, quello di Tre amici, un matrimonio e un funerale, Cloverfield e i Planet of the Apes 2014 e 2017.
Come già Let the Right One In, Border unisce il folklore soprannaturale delle favole nere (nerissime) e delle leggende nordiche con un realismo sociale contemporaneo, creando così una sorta di parabola universale su diversità, questioni identitarie e senso di appartenenza. Border è un film ambizioso, un ibrido cinematografico che probabilmente metterà a disagio il pubblico meno preparato, una sfida.
Tina è una creatura dall’aspetto sgradevole, ha il volto gonfio e screziato, i denti sporgenti e ingialliti, il corpo segnato da vecchie cicatrici e capelli ispidi come setole. Ha, letteralmente, un aspetto animalesco, e non solo quello; lavora come agente doganale in una città costiera svedese, il suo fiuto sviluppatissimo le permette di percepire vergogna, paura e senso di colpa dei viaggiatori. Dopo aver un scoperto un passeggero che nascondeva materiale pedopornografico, Tina viene ingaggiata dalla polizia locale per far maggiore chiarezza sul caso e trovare i complici dell’uomo. Su Tina pesa un pesantissimo senso di solitudine. Condivide la casa (una modesta struttura con l’aspetto di una capanna immersa in un foresta) con un “fidazato” in un rapporto di muta compagnia senza sesso o affetto. Anche col padre ha un rapporto disfunzionale, tenero e affettuoso, sulla soglia della demenza nasconde a Tina un oscuro segreto sul suo passato. Più in sintonia con gli animali selvatici dei boschi che con le altre persone, Tina si è rassegnata a vivere una vita solitaria e senza prospettive.
L’incontro con Vore però cambierà tutto. Anche lui è deforme tanto quanto lei, si somigliano nell’aspetto tanto da sembrare proprio della stessa “razza”. Sarà lui a rivelarle il mistero della loro origine, a farla sentire – per la prima volta – libera. Ma sarà sempre lui a mettere Tina di fronte alla scelta più importante delle sua vita, quella che definirà definitivamente la sua natura. Quello del protagonista che deve scegliere quale sia la propria natura è un topos assodato della letteratura fantastica (e derivati), con esempi sia nel basso che nell’alto (e in tutto quello che si trova, per l’appunto, nel mezzo) – da Harry Potter a Pinocchio, dall’Orlando Furioso a Devilman.
«Per me il film non parla della contrapposizione “Noi / Loro” – spiega Ali Abbasi – ma di una persona che può e deve appropriarsi della sua vera identità. Voglio credere che tutti siamo in grado di scegliere chi essere».
Border è un film ricco di ovvie allegorie che cerca di mettere sul piatto della bilancia razzismo, emarginazione sociale e costrutti identitari, ma anche tematiche naturalistiche e ambientali, mescolando il tutto nello shaker del thriller. Il film di Abbasi maschera abilmente gli elementi gotici fiabeschi con abiti di domestica – dimessa – quotidianità, dove tristezza e incertezza fanno da cornice a una narrazione dai toni cupi e lividi.
«I film sono specchi in grado di riflettere la condizione della vita umana – continua il regista – Vedo gli esseri umani come degli animali particolarmente evoluti e mi interessano tutte quelle situazioni in cui i nostri istinti bestiali cozzano contro la struttura della società. A me interessano le loro risposte, non la situazione estrema. Credo che la complessità di questa condizione sia la sua bellezza, non la sua tristezza».