Le aste qui a Londra non si fermano quasi mai. Il calendario è fittissimo, anche perché a organizzarle non sono solo Christie’s, Sotheby’s, Phillips de Pury e Bonhams, ma ci sono anche una miriade di piccole case d’asta che raccolgono il materiale (per quanto ne so soprattutto antichità e anticaglie) e le mettono in vendita ogni settimana. L’altro giorno, camminando nella zona di Angel, mi ero imbattuta in una di queste e, siccome l’asta era prevista per lunedì alle 3 pm, ieri sono andare a dare un’occhiata. In mezzo alla grande sala “stuffed with antiques” trovo il banditore che, appollaio su un rostro piuttosto modesto decisamente altra cosa rispetto a quelli in legno laccato di Sotheby’s e Christie’s con tanto di colonnine e nome stampato in oro, conduce l’asta per un invisibile pubblico. Anzi no, il pubblico c’è, ma per vederlo bisognava farsi largo tra le sedie accatastate e le vetrinette che custodiscono mille piccoli tesori. Non c’è tanta gente, ma mi stupisco della varietà rappresenta: c’è un uomo distinto, probabilmente un mercante, una ragazza asiatica, una giovane coppia (la casa nuova si può arredare anche così, non solo da Ikea), un tizio che probabilmente è qui solo per passare un pomeriggio che altrimenti sarebbe stato ancora più noioso. Il catalogo è infinito: i lotti da esitare sono circa 500. Le offerte non sono quelle milionarie cui assisterò questa settimana alle aste di Contemporary Art; gli incrementi sono al massimo di un centinaio di sterline. Nella baraonda trovo un vecchio globo terrestre di cui mi piace l’azzurro intenso del mare e il fatto che ruoti su due assi. Stima 70-120 sterline. Prima di uscire chiedo se posso lasciare un’offerta perché non ho tempo di aspettare che arrivino al lotto 273. “Yes ma’am”. Non serve né carta d’identità né carta di credito, niente screening del mio conto in banca, niente credenziali: basta il numero di telefono, la mail e una firma.
Entusiasta per la mia offerta, sprofondo nel dedalo della tube direzione Christie’s nella sua sede secondaria di South Kensington. Vado a vedere cosa succede all’asta delle ceramiche di Picasso. La sala è stracolma di mercanti, donne e ragazze che così a Londra le puoi vedere solo nei quartieri posh della zona ovest, giovani dandy con delle scarpe che mi ricordano le pantofole dei maharaja, una coppia di americani in maglietta e infradito forse attratti dai prezzi tutto sommato accessibili. L’asta è un successo straordinario e annunciato. A essere dispersa è l’ultima parte delle ceramiche che erano rimaste lì dove Picasso le aveva create, nell’atelier di Madoura. A ogni lotto si accende un’intensa competizione tra la sala, gli esperti di Christie’s collegati ai telefoni e chi sta facendo offerte tramite internet. I prezzi salgono, tutto viene venduto, Picasso è imbattibile.
Me ne vado prima della fine della sessione, prendo verso il Victoria and Albert Museum. Già che sono da queste parti ci faccio un giro. “Solo 25 minuti però” mi avverte il ragazzo all’entrata, “stiamo chiudendo”. Gli chiedo allora come dovrei spendere secondo lui questo poco tempo e, senza esitazione, mi indirizza alla sala di Raffaello: “is… wow” mi dice per convincermi. Seguo il consiglio, anche se quella sala, con i grandi cartoni preparatori, la conosco già. Mi rimane ancora qualche minuto per passeggiare tra le immense stanze scarsamente illuminate del V&A. Sbircio nelle vetrine della sezione “fashion” che riunisce abiti icone della moda dal ‘700 a oggi, mi addentro nella penombra delle sale dedicate al Medio Oriente con i tappeti finemente annodati, le ceramiche colorate e le scimitarre che chissà quante ne hanno viste prima di finire in una teca a Central London; faccio appena in tempo a mettere il naso tra le sete cinesi che devo già lasciare il campo.
Risputata nella realtà del dio denaro che a Knightsbridge pare non avere rivali, mi incammino lungo la strada. Davanti a Harrows giovani donne tutte coperte di nero sono appena uscite dai grandi magazzini e si infilano poco alla volta nei taxi pronti a riceverle nelle loro pance; più in là, nel bar di un albergo di lusso, i tavolini sono occupati per la maggior parte da ricchi uomini d’affari arabi, davvero pochi sono gli occidentali. Continuo fino a Green Park, lo attraverso camminando nell’erba verde tra gli enormi platani che sembra di essere in un bosco e invece no, sono esattamente nel cuore di Londra.