Non meno suggestiva delle pitture, la produzione grafica di Munch viene riscoperta in Gran Bretagna a 45 anni dall’ultima retrospettiva sull’artista. Circa 80 opere inedite, fra litografie, incisioni su legno, puntesecche. Una mostra in collaborazione con il Munchmuseet di Oslo, accompagnata da un raffinato catalogo pubblicato da Thames&Hudson in collaborazione con il British Museum di Londra. Fino al 21 luglio 2019.
Nel 1894, quando realizzò le sue prime stampe a Berlino, Edvard Munch (1863-1944) aveva già raggiunta una discreta quanto “scandalosa” fama. Le sue “tele dell’anima” avevano segnata una decisiva rottura con la scuola impressionista, ma soprattutto interpretavano quel clima di crescente ansia nervosa che l’anno successivo fu esposta in uno studio del neurologo tedesco Richard von Krafft-Ebing, il quale ne individuava le cause nelle repentine e drammatiche trasformazioni sociali occorse in Europa a partire dagli anni Settanta dell’Ottocento. Il norvegese Munch fu uno degli osservatori più attenti di questo malessere che affliggeva la società moderna, e di questa indagine fece il nerbo della sua poetica pittorica. Incorrendo però suo malgrado, nei decenni successivi, in alcune errate o parziali interpretazione della sua opera.
Solitamente etichettato come il pittore dell’angoscia, in virtù del celeberrimo Urlo (che ispirò anche Alle Ginsberg), il norvegese Munch fu in realtà un artista che seppe esprimere anche estrema dolcezza e sensibilità, rivolgendo la sua attenzione alla sfera più intima e xx dell’individuo, in quella fine d’Ottocento disorientata dalla crisi sociale dovuta al convulso irrompere della modernità in Europa. Anni febbrili, intensi, densi di innovazioni e cambiamenti sociali, a cominciare dall’inurbamento di masse ex contadine divenute operaie. La città divenne l’orizzonte di una vita quotidiana scandita da ritmi legati a logiche produttive ed economiche, sempre più lontana dai cicli della natura e chiusa in grigio orizzonte di abitudinaria fatica. Nel tentativo di rischiarare il grigiore spirituale dei tempi, Munch va alla ricerca della spiritualità dell’individuo, ma a differenza della Secessione Viennese – volta a indagare le connessione con la mitologia -, sceglie di approfondirne le manifestazioni emotive, in cui riconosce gli elementi fondanti della natura umana.
Sin dal titolo, Edvard Munch: love and angst, la mostra del British Musem di Londra rivela il doppio volto di opere indubbiamente affascinanti, che traggono la loro ragion d’essere dall’intensità emotiva che le caratterizza: Munch è infatti cantore dell’emozione, degli stati d’animo, il cui stile scarno e “brutale” è espressione della tragica bellezza dell’esistenza; sotto quei cieli nordici, azzurri o neri, si stagliano figure che lottano incessantemente contro la solitudine, che si stringono l’una all’altra nel tentativo di opporsi alla caduta nelle tenebre, che incedono verso incerti orizzonti, che stringono corpi per consolare o essere consolati, che incedono nel buio come profeti di sventure. Il dolore psicologico è sinfonia incessante e ossessiva, che nelle incisioni sembra addirittura acuirsi: la scarnità del tratto, privo della luminosa pastosità dei colori a olio, sembra scavare viepiù in un dolore annidato nel profondo dell’anima. Eppure, dalla spire di quel dolore, scaturisce l’esistenza intesa come una lotta di amore, desiderio, gelosia, ansia, rabbia, un incessante sfregare di nervi contro la carne viva, di cui è emblematica rappresentazione la litografia del volto del filosofo esistenzialista Friedrich Nietzsche, la cui virilità confliggeva con la follia.
Il disturbo psichico, o comunque l’alterazione emotiva, è alla base delle opere di Munch, ma rientra anche in un rinnovato interesse per gli studi psicanalitici che prendevano avvio in maniera sistematica sul finire dell’Ottocento; a questi si aggiungeva una macabra fascinazione per le malattie sessuali, la gelosia sentimentale, la depravazione; si trattava, come spiegò anche Richard von Krafft-Ebing, di una naturale reazione allo spaesamento da parte di un’umanità che aveva smarrite le sue radici. E in mezzo a questa deriva spirituale, Munch cerca di recuperare la poesia dell’esistenza, mantenendosi però sempre in equilibrio fra gioia e dolore. Un’opera come Towards the Forest, ha infatti una doppia lettura: da un lato, due innamorati che affrontano la vita, dall’altro la fanciulla accompagnata dalla Morte verso l’oscurità eterna.
La mostra è anche occasione per ammirare una versione in bianco e nero de L’Urlo, una rara litografia che include un’iscrizione dello stesso Munch, il quale suggerisce che il vero soggetto del quadro non è una persona che lancia un urlo, bensì una che quell’urlo lo ha sentito e che cerca di sfuggire a quel suono penetrante e ossessionante. Un tentativo di fuggire dal dolore altrui, reso insopportabile dall’impossibilità di alleviarlo. È questo il volto più drammatico della solitudine, la “peste” dell’età moderna che pochi decenni più tardi Sartre avrebbe fatto oggetto della sua riflessione filosofica. Che appunto prende le mosse anche dalle opere di Munch, che, pur dipingendola, preferì non abbandonarsi alla disperazione, e cercò di indicare una possibile via di resistenza nella ricerca del rapporto umano e sentimentale, non nel senso dell’idillio romantico, quanto nella matura condivisione di un cammino attraverso ostacoli di ogni sorta.
- Edward Munch, Mot skogen II