All’interno del programma culturale Benedicti Claustra, la prima personale italiana di Sean Scully, dispiegata su circa 40 opere fra pitture, sculture, disegni, acquerelli, in parte inediti e appositamente creati per l’Abbazia di San Giorgio Maggiore. A cura di Javier Molins, fino al 13 ottobre 2019.
Venezia. L’arte contemporanea incontra gli antichi spazi di San Giorgio Maggiore, con una mostra luminosa e suggestiva grazie alle opere dell’irlandese Sean Scully (1945), interprete di un astrattismo geometrico e figurativo che risente dell’influenza di Emil Nolde, Karl Schmidt-Rottluff, Henri Matisse e, alla radice, anche di Vincent van Gogh, I densi strati di pittura applicati sulla tela, unitamente a colori luminosi, rivelano la matrice dell’Espressionismo astratto da cui rimase “folgorato” negli anni della formazione alla Central School of Art di Londra – alternando gli studi all’impiego come grafico -, e nel successivo perfezionamento al Croydon College of Art fra il 1965 e il 1968. Anni in cui dagli Stati Uniti giungevano in Europa le esperienze dei vari Cy Twombly e Mark Rothko, che tracciavano importanti strade ispirative. Fra i “discepoli” di quella stagione, anche Scully, protagonista adesso a Venezia per tramite di una mostra artistica e filosofica insieme, d’interazione con una dimensione architettonica e spirituale quale quella incarnata da San Giorgio Maggiore.
Apre la mostra, la maestosa e colorata Opulent Ascension, la scultura in legno rivestita di feltro ispirata alla leggenda della scala di Giacobbe; nel motivo fittile ricorda il campanile dell’abbazia, così come quello di molti altri a Venezia (San Marco compreso); inserita esattamente in corrispondenza della cupola, copre la prospettiva dell’altare maggiore dall’ingresso; un ribaltamento delle prospettive palladiane, un tramite fra il mondo fisico dell’esperienza sensoriale e quello trascendente cui aspira l’umanità; la scala di Giacobbe è infatti simbolo della virtù contemplativa, dell’aspirazione a conoscere il volto di Dio, o, più estesamente, la sostanza della saggezza universale, che contiene anche la sostanza e il significato dell’esistenza umana.
Una mostra avvolgente, che si sviluppa armoniosamente dai giardini agli edifici del corpo abbaziale, donando, come suggerisce anche il titolo, Human, la sensazione della ricerca spirituale e intellettuale, dell’aspirazione alla conoscenza e all’elevazione dell’anima. La Sacrestia, eccezionalmente visitabile per la mostra, accoglie i pastelli dei bozzetti di Opulent Abscension, in una continuità concettuale fra opera e ambiente: la sacrestia è infatti il luogo dove si preparano le funzioni sacre e si conservano gli oggetti di culto. Nella sacralità civile della funzione dell’artista, i bozzetti rivestono la medesima utilità preparatoria, sono quei luoghi della mente trasferiti su carta, in attesa della realizzazione definitiva dell’opera. Qui, la leggerezza contrasta con l’imponenza del risultato finale di Opulent Abscension, la cui maestosità riempie di meraviglia e invita al raccoglimento, così come gli acquerelli ispirati agli antichi manoscritti medievali conservati presso la biblioteca dell’abbazia.
Proseguendo alla scoperta dell’arioso allestimento, la Manica Lunga custodisce gli otto dipinti a olio della serie Landline, campiture orizzontali di colore sovrapposte come altrettanti colorati orizzonti, che divengono una sorta di mappa per esplorare il mondo sensibile e quello interiore, come nello spirito della mostra. Livelli sovrapposti di conoscenza, di virtù ma anche di peccato, in un poetico richiamo alla struttura dell’Inferno dantesco, mirabile opera di architettura letteraria.
Il trittico pittorico Madonna segna il ritorno di Scully alla figurazione dopo quattro decenni, e appositamente realizzato per questa mostra. Si tratta di dipinti solari, a loro modo mondani, che ricordano per atmosfera le tele “balneari” di Moses Levy o Joaquín Sorolla; l’interpretazione di Scully è però legata alla nostra epoca; una moglie e una madre di oggi, che accudisce il figlio e condivide con lui un piacevole momento sulla spiaggia; un’astrazione dallo spazio e dal tempo, un momento d’intimità filiale prima del compiersi del destino. La saturazione dei colori avvicina i dipinti alla fotografia concettuale, ma anche alle luminescenze trecentesche di Duccio di Buoninsegna. In chiusura di percorso, un altro omaggio indiretto alla pittura del passato; le geometrie astratte del trittico Arles-Abend-Vincent, declinate in blu crepuscolari, dorature dal sapore bizantino e scuri rossi cardinalizi, richiamano sia l’introspettiva tavolozza di van Gogh, fremente di impeto creativo, sia, per contrasto, l’ordinata proporzione dei trittici di arte sacra. Un dialogo fra le incertezze del secolo e la serenità della dimensione divina.
Beneficiando delle serene proporzioni dell’Abbazia progettata da Palladio, che qui danno prova mirabile del bonum diffusivum sui, la mostra si sviluppa come un viaggio nell’animo umano, incorniciato nella bellezza matematica dell’architettura religiosa, a sua volta metafora della perfezione della Creazione.