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Finché c’è satira c’è speranza. La 46^ edizione del Premio della Satira a Forte dei Marmi

Quella foto in bianco e nero di Bettino Craxi, il «Cinghialone», che salta la staccionata sulla strada come nella pubblicità dell’Olio Cuore è qualcosa di più che la semplice immagine di un’epoca.

C’è nella sua apparente vitalità e nella sua intrinseca e involontaria comicità la rappresentazione di un tempo che neanche la nostalgia più canaglia è mai riuscita a modulare con i rimpianti della memoria. La satira può essere più forte del ricordo.

Filippo Ceccarelli, che è anche un grande bibliotecario del nostro giornalismo, ha aperto i suoi monumentali archivi, – con 334 raccoglitori e 1500 cartelle pari a una torre di 45 metri e ai due tir riempiti fino all’orlo che sono serviti a trasferire tutto questo materiale alla Camera -, per la sua lectio magistralis al Festival della satira di Forte dei Marmi: «Il potere in Italia da De Gasperi a questi qua fino a Mark Caltagirone». E non c’è solo la foto di quell’atletico Cinghialone a raccontare un Paese che forse ci ha lasciati, o forse è sempre, inesorabilmente dentro di noi, ma ci sono anche papa Paolo VI e un severissimo Berlinguer mischiato fra gli impettiti e grigi burocrati del partito, vestiti tutti uguali e tutti senza sorriso, e c’è la Mussolini in maglietta con la scritta «Ciao Nonno» rovesciata a testa in giù come appesa a piazzale Loreto, Berlusconi con il naso bendato e sanguinante, fino a Renzi che fa il calciatore con stile molto approssimativo, al barbuto Salvini che che brinda con lo spumante, sia chiaro, perché prima gli italiani, e a Luigi Di Maio in posa con la vestale dei giorni nostri, la Barbara d’Urso regina incontrastata della tv lacrime e core in funzione politica, che guai a chiamarla polpettina, come ha tenuto a precisare lei stessa senza peli sulla lingua, che «gli do un calcio nel culo».


Dopo 46 edizioni di successo, il Premio della Satira ha deciso di farsi più grande ed è diventato anche un festival, voluto e ideato da Beppe Cottafavi, l’allievo di Umberto Eco che ha sempre teorizzato e inseguito l’alto e il basso nella cultura, da quando fondò Comix nei lontanissimi Anni 80. Cinque giorni di lezioni e spettacolo, dal 9 al 13 luglio. Il Premio è rimasto, numero 47, cuore della rassegna. Quest’anno è stato assegnato, fra gli altri, a Corrado Guzzanti, per la carriera, alla Tv delle ragazze per la tv, e per il romanzo a fumetti Cheese alla giovanissima Zuzu, 23 anni, nuova stella del graphic novel: con un segno bellissimo, spiega la giuria, presieduta da Lilli Gruber, Serena Dandini e Cottafavi, mette in scena «le angosce, lo smarrimento, la liquidità dei rapporti e l’incertezza dei riferimenti, senza mai dimeticare la leggerezza e il sorriso».

Per i cortometraggi invece il Premio Satira è stato assegnato a Gian Alfonso Pacinetti, Gipi, «il più grande fumettista dei nostri tempi», che ha voluto cimentarsi nella regia con i corti a Propaganda Live, realizzati assieme al socio Amone. Accanto al corteo dei premiati in carne e ossa, – per la tv delle ragazze arrivano Sabina Guizzanti e Isabella Ragonese -, sfilano però soprattutto le immagini del passato, l’antropologia di chi il potere lo ha avuto e lo ha perso, di chi lo ha subito e combattuto, perché la satira è in fondo, soprattutto, un esercizio contro il potere. O forse, più giusti ancora, contro quelli che ne abusano. Come spiegava bene Aristofane: «Ingiuriare i mascalzoni è cosa nobile. Significa onorare gli onesti».


D’altro canto la satira è argomento così delicato che nel mondo non conosciamo tanti esempi come questo di Forte dei Marmi. In Francia c’è Charlie Hebdo, però non siamo a conoscenza di festival o cose simili. Negli Usa, a New York, c’è The Muslim Funny Fest, che è una rassegna di commedie comiche musulmane. Quella di Cottafavi può essere un’idea coraggiosa. In Italia avremo anche centomila difetti, ma almeno non siamo mai stati un popolo morto, se è vero quel che diceva Dario Fo che «un popolo senza senso della satira è un popolo morto». Abbiamo sempre saputo ridere dei più forti pure quando non si poteva, e pure adesso, se magari bisogna stare un po’ attenti. Nella lectio di Ceccarelli si finisce però per sorridere di tutto e di tutti, a perderci gli occhi e la testa a guardarci indietro, «i comunisti e gli scomunisti, i barbari padani e i democristiani, gli ex socialisti craxiani e non craxiani, i postfascisti e i berluscones», categorie dello spirito e di una realtà che ormai non esiste più anche se noi continuiamo pervicacemente a inseguirla, con i nostri vecchi paradigmi e le nostre illusioni. Ma il tempo che ha cancellato il tempo fa meno ridere dei nostri ricordi. La verità è che finché c’è satira c’è speranza, perché è nei periodi più bui che sparisce. Quindi teniamocela stretta. Anche se, come diceva Jonathan Swift, «la satira è una sorta di specchio dove chi guarda scopre la faccia di tutti. Tranne la propria».

 

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