Se la strada verso il puro colore è iniziata nel Medioevo, Mark Rothko (1903-1970) diede il suo personale contributo a questo percorso rinunciando alla linea e alla forma in nome di un’assoluta contemplazione.
La linea ingarbuglia l’occhio e lo strappa via dal colore. Un tentacolo segnico che distoglie l’attenzione dal mare cromatico attirando a sé tutto il valore che l’osservatore riversa sul quadro. Si tratta di un principio embrionale di mondo che si inserisce nella dimensione ideale del tessuto coloristico puro. Il tratto si propone in modo irreversibile come elemento catalizzante e propedeutico alla costruzione di una figura. Per questo Mark Rothko dovette abbandonarlo per immergersi nella sua arte. Nonostante l’artista statunitense non si sia mai distinto per il tratto definito, la totale rinuncia al segno è stata propedeutica per il passaggio a un codice astratto che esaltasse i valori a lui più cari. Pensiamo, per esempio, alla fascinazione cromatica.
I colori giocano sulla psiche umana un ruolo di cui non sempre abbiamo coscienza. L’immergersi in una tonalità particolare agisce sul nostro tono emotivo in modo particolare, veicolando (im)precisi valori sentimentali. Soffuso, soprattutto ai confini, il colore si distribuisce sulla tela come una pianura pulsante e si inabissa senza fine verso le profondità dello spirito. Non c’è una linea che increspi la superficie magmatica delle stesure di colore di Rothko, silenziose nella forma ma evocative nella loro sostanza ineffabile. Eppure talvolta sembra di scorgere, meglio se ci si imbatte nell’opera senza preavviso, un imprecisato barlume di figura: forse una porta, delle finestre, un cancello. Forse perché per la maggior parte delle persone i dipinti di Rothko hanno rappresentato un varco. Splendide soglie cromatiche in grado di farsi passaggio ininterrotto da interno ad esterno: prima l’occhio esce da sé per immergersi nella distesa cromatica; subito dopo, ciò che non sa è che, una volta dentro quella non-realtà, è subito destinato a fare ritorno nello spirito che l’ha spinto a evadere.
Queste atmosfere sensibili anche se non esperibili sono porte verso una conoscenza, forse auto-conoscenza, mai rintracciata prima. In quel soffio di pittura si nasconde il mistero di quello che è lontano, remoto, perso nella dimensione di ciò che non si può comprendere. Ma nello spazio del quadro sembra che una verità ci si faccia prossima lasciando cadere il velo d’ombra che ci avvolge gli occhi e lo spirito. Siamo al principio di una catarsi dove il colore portavoce di una condizione priva di regole e sistemi, dove il nulla ci avvolge e ci introduce al tutto. Del resto il compito dell’artista non è riempire il vuoto, ma crearlo.
E Mark Rothko trova il vuoto nella profonda piattezza di un colore infinito. Non ci è dato sapere quanto l’artista abbia guardato alla pittura medievale e all’origine della storia dell’arte occidentale, ma è indubbio che la connessione con la storia mosaicista sia presente. L’idea di uno stile coloristico puro trova le sue radici in area bizantina, dove per esprimere il mondo non serviva altro che una distesa variegata di colore. La forme si delineavano per sovrapposizione di frammenti cromatici differenti, che allacciandosi creavano le differenze visive utili a distinguere i profili. Non vi era però linea ad inquinare la sinfonia di colori, unici protagonisti di una prospettiva considerata forse rudimentale, ma certamente evocativa.
Se già in epoca bizantina al colore veniva affidata un’importanza così elevata da poter annullare la linea, Rothko – come anche altri artisti a loro tempo – ha portato all’estremo questa fascinazione espandendo il manto cromatico fino a sovrastare ogni figura. Che si guardi alle sue composizioni come estensione di una sezione cromatica o come piccolo dettaglio di una visione più complessa, è indubbio che a queste debba essere dedicata una speciale contemplazione. Nella più totale chiarezza espositiva – tutto è nient’altro che colore – l’artista credette di aver intravisto la risposta a drammi indicibili. Se lui non alla resa dei conti non la trovò mai, noi ancora abbiamo la possibilità di cercarla nelle profondità dei quadri mistici.
*Mark Rothko, collage di opere