La Fondazione Pini inaugura una nuova tappa del percorso dedicato all’Arte Contemporanea, con un progetto site-specific, visitabile dal 27 novembre 2019 al 6 marzo 2020, che indaga la natura attraverso uno sguardo curioso e insolito. Dai colori tenui, la leggerezza del tratto e l’intimità della carta da taccuino, le opere di Giovanni De Lazzari (1977, Lecco) dialogano, per antitesi nelle forme ma in accordo relativamente ai contenuti, con un’architettura baroccheggiante ancora saldata a elementi naturali.
Dopo l’invasione di farfalle di carta nelle stanze della Fondazione ad opera di Carlo Amorales (1970,Città del Messico), lo spazio è stato reinventato attraverso una delicatezza che riesce a resistere dinanzi alla connotazione barocca della casa di Bongiovanni Radice (1899, Palazzolo Milanese, 1970, Milano). Il titolo della mostra Giorni Segreti, a cura di Anna Daneri, rimanda alla dimensione di isolamento scelta consapevolmente dall’artista, che vive in campagna a stretto contatto con la natura.
Le opere nascono da un’osservazione meticolosa che induce prima la scoperta del dettaglio infinitesimale e poi l’entusiasmo con cui l’artista produce una sua rappresentazione. Non si tratta di un “esercizio di virtuosismo”, ci spiega Adrian Paci (1969, Shkodër, Albania), guida del percorso dedicato all’Arte Contemporanea avviato nel 2016 dalla Fondazione Pini, ma le opere di De Lazzari sono “un’espressione formale di questo stupore”. L’artista non è mai protagonista dei suoi lavori, ma presta con umiltà uno sguardo che per dirla alla Pasolini non trova mai naturale la natura.
Nella prima sala ad accogliere lo spettatore sono diversi incastri di flora e fauna, tra cui un groviglio di serpenti (Abbracci, 2019), abbozzati con delicatezza su carta. Questi rettili assumono la stessa conformazione intrecciata sia nell’accoppiamento che nella lotta. Eros e Thanatos, uno storico rapporto che risuona negli spazi della Fondazione, infestati dall’effimera presenza umana e addolciti dal continuo richiamo alla natura.
Nella seconda sala una teca con alcuni disegni in grafite, che riflettono su come le strutture di potere soffochino e plasmino l’essere umano, nodi burocratici kafkiani sotto forma di architetture opprimenti e organi sessuali distorti. Continuando il percorso espositivo incontriamo tre opere pittoriche dai colori tenui, che sono state affisse a muro per originare, senza forzatura, un dialogo genuino con i quadri di Bongiovanni Radice.
Nella sala successiva, quella più maestosa, una coppia di display biancastri, realizzati ad hoc per la mostra, supportano interventi infinitesimali a metà tra pittura e scultura, tessere indipendenti che assumono nuovi significati se letti come un unico puzzle. Uno di questi due riflette sull’alimentazione come ciclo naturale e dichiara l’insignificante posizione dell’uomo, stilizzato e marchiato da una X rossa come in un segnale stradale. Il secondo prova a raccontare la storia di un piccolo uomo che tenta il suicidio, ma si ritrova a volare nel cielo, per ribadire la mancanza di libero arbitrio.
I singoli elementi di questi collages iconografici sono posizionati su più livelli, come a volere suggerire una stratificazione di intenti e molteplici possibilità di lettura dell’opera. Un’altra declinazione del concetto di stratificazione è presente anche in una piccola saletta, dove De Lazzari realizza un affresco (Sottotraccia, 2019) destinato a soccombere sotto i prossimi interventi espositivi della programmazione artistica in Fondazione. Si tratta di un groviglio dalle dimensioni murali in cui rami ondulati si incastrano come tentacoli abbracciati.
Tutto è nato dall’osservazione del pavimento del Bongiovanni: grovigli sintetici che si ripetono a moduli, dalle forme molto geometriche ma che rimandano anche a intrecci di rami. Ho pensato subito che quella piccola stanza fosse una tana in cui avrei voluto vivere, e di fatto è stato così perché ho partecipato a una sorta di residenza che ha visto l’impiego di oltre sessanta ore di disegno su muro.
Questo murales labirintico, ci svela la Daneri, cerca di ingrandire un groviglio di erba che in una giornata di cammino si è depositato per caso sul corpo dell’artista. Un ramo spezzato, una foglia rinsecchita e dell’erba calpestata non sono dati per scontato, ma anzi recuperati dall’artista e riassemblati con e attraverso altri medium. Così nella sala principale arti in gesso, foglie, muschi e cortecce sono esposti nelle teche, senza apparire dei feticci ma solo assemblage precari destinate a dissolversi dopo la mostra.
Infine una serie di pagine del taccuino sono disposte su due piani di un’altra teca, trasformandosi da appunti intimi a sculture di carta. Una rivincita dell’infinitesimale, che porta a valorizzare poesie, pensieri dell’artista e minute immagini provenienti dall’archivio personale di Giovanni De Lazzari. La lettura di queste opere rispecchia la fruizione della mostra, che a sua volta richiama la stessa cura impiegata dall’artista per osservare, raccogliere e riassemblare, tramite diversi medium, gli elementi naturali.
GIORNI SEGRETI
Giovanni De Lazzari
Da 27 novembre 2019 al 6 marzo 2020
Orari: dal lunedì al venerdì 10:00 – 13:00 | 15:00 – 17:00
Fondazione Adolfo Pini
Corso Garibaldi 2, Milano
Ingresso gratuito
Tel. 02 874502