Natale in Betlemme nella Chiesa della Natività con un presepe di area concettuale di Banksy, riflesso del suo impegno intellettuale nella perenne incomprensione tra ebrei e palestinesi. Bansky è pittore di strada, e mi rimanda, inevitabilmente, all’importante e insostituibile saggio di Max Rodinson su Israele e il rifiuto arabo, edito a metà de secolo scorso nei Tipi di Einaudi. Banksy è un inquieto artista inglese. È di radici ebraiche? Al quesito non risponde. Lo si direbbe, date le sue ossessioni masochistiche. La più evidente è stata quella di tentare, inutilmente, di affrescare il muro chilometrico tra Israele e la Cisgiordania, innalzato dallo Stato ebraico per ripararsi dai continui sconfinamenti dei terroristi.
Natale in Palazzo del Quirinale, presso la Palazzina Gregoriana, esposizione dell’Arte del presepe della Val Gardena, opera di Filip Doss e Thomas Comploi. Sono entrambi scultori di Ortisei, dediti in particolare modo all’arte sacra. L’evento espositivo rimane aperto al pubblico sino al 5 gennaio p.v.
Alcune settimane orsono mi telefona una gentile signora dal Quirinale, curatrice dell’evento per chiedermi l’autorizzazione di utilizzare un mio testo che anni fa avevo dedicato al costrutto. Il messaggio figurale allusivo rimanda a Henry Moore. Un insieme di figure in legno chiaro a tutto tondo e a incavo, coperte da una patina bianca trasparente, in un’estensione di otto metri per un’altezza di due. Un’esecuzione mirabile che risale al 31 marzo del 2009.
Sono riconoscente a Mario Guderzo, Direttore della Fondazione Museo Canova di Possagno, in provincia di Treviso, dove lo scultore è sepolto. Grazie a lui ho avuto l’occasione di incontrare artisti delle Dolomiti, dallo sguardo trasparente, poeti del legno che prende forma tramite lo scalpello; artisti che quando occorre completano le loro composizioni plastiche con patine cromatiche necessarie a livello espressivo, come in questo caso.
A differenza di Bansky non sono politicamente impegnati in Medio Oriente. Il loro omaggio alla Natività si collega alla tradizione medioevale, tramite un linguaggio contemporaneo assai toccante. Mi auguro che non sia scandaloso citarmi, riprendendo un testo risalente a un decennio fa. A mio avviso e secondo la gentile curatrice, sono parole valide ancora oggi:
(…) A sinistra, invece, sorgono tre gruppi di forme adulte ed infantili, fra cui una volge il capo in direzione opposta rispetto al centro della scena, significando l’inquietudine del Figliol Prodigo e la sua impossibilità di partecipare all’evento miracoloso. Questo dato in particolare contrassegna l’opera come icona del nostro tempo, suggerendo l’idea di una distrazione senza scampo e quindi della moderna incapacità ad abbandonarsi a una fede semplice e istintiva”