Louise Giovanelli affonda nel rapporto complesso tra osservatore e soggetto osservato, concentrandosi sulla dimensione che più di ogni altra cosa definisce la nostra contemporaneità: l’immagine. Fino al 17 gennaio a Frutta Gallery in Trastevere, Roma.
È in quel momento, quando il riflesso di un gesto discreto intercetta l’appena ridestato manto della consapevolezza, che si intuisce di essere, o di essere stati anche solo per pochi istanti, il soggetto di visione di qualche sguardo incuriosito o stranamente intrigato. In quell’attimo la sorpresa lascia il posto a un confuso miscuglio di sensazioni avvolte da una silenziosa inquietudine di sottofondo difficile da visualizzare, eppure la ventisettenne Louise Giovanelli riesce con i suoi oli a portare alla luce quegli impalpabili sentimenti tra paura, piacere, spaesamento e attrazione che nel turbinio irrequieto di emozioni si perdono con l’avanzare dei granelli di sabbia.
La mostra Time Inside, ospitata fino al 17 gennaio presso la sede romana di Frutta Gallery in Trastevere, diviene speciale specchio riflettente dal quale affiorano conturbanti frammenti di realtà, alterati per sempre dal filtro della rappresentazione, che costruiscono una complessa rete di improbabili suggestioni ridefinendo, al contempo, la dimensione simbolico-temporale in cui si inseriscono le opere stesse. I significati si moltiplicano e rinnovano all’interno dell’universo rappresentativo dell’artista, arricchito dalla conoscenza iconografica della storia dell’arte e contaminato dall’esposizione del mondo metafisico per eccellenza, quello cinematografico. I due linguaggi si confrontano in un dialogo serrato dal quale scaturisce un’intermittenza di voci capace di sgranare l’immagine e di toglierne parte della sostanza materica, trasmutandola in materia trascendentale dotata di leggerezza, opacità e trasparenza.
È il caso di Peeping Tom che si mostra come una sorta di apparizione fantasmatica diventando nodo di congiunzione tra ciò che è stato e ciò che deve ancora essere, tra ciò che è stato consumato e ciò che si sta avviando verso consunzione. Riprendendo il titolo originale del film del 1960 L’occhio che uccide del regista Michael Powell – thriller psicologico entrato nell’immaginario proprio per la perversione voyeuristica del protagonista che arriva a uccidere giovani donne con il suo treppiedi, filmando nello stesso momento i visi agonizzanti delle sue vittime – Giovanelli rielabora e sintetizza in un colpo d’occhio la complessità della relazione tra osservatore e soggetto restituendo al fruitore l’immagine artefatta del volto morente della donna, ritratto all’indietro come nell’atto di voler distogliere lo sguardo dall’orrore a cui sta assistendo, generando il cortocircuito nello scollamento dell’azione e nella sua variazione; la vista si annebbia e la vittima non è più costretta a vedere, ma lo scambio di ruoli acuisce il compito di testimone dello spettatore che è costretto ora a guardare la scena cristallizzata tra le trame del dipinto. Il flusso temporale si distorce, allungandosi in un attimo di eternità, spazio di riflessione e pensiero.
Attuale, l’operazione della giovane artista sembra ricordare un episodio accaduto qualche tempo fa allo scrittore Joe Hill, figlio di Stephen King: mentre guardava, per l’ennesima volta, il cult-movie Lo squalo del 1974 si è accorto dell’incredibile somiglianza tra una comparsa straziata dalle fauci dello squalo e la foto dell’omicidio della Signora delle dune mai identificata. La correlazione tra la donna nel fermo-immagine di Steven Spielberg e il cadavere ritrovato tra le dune di Provincetown – a pochi passi dal set delle riprese e a poca distanza temporale – è impressionante, ma ancora più inquietante è notare come la fantasia scavi un’apertura nella realtà e come verità e finzione si confondano dando vita a nuove narrazioni e interpretazioni.
In fin dei conti è ciò che accade con l’arte di Giovanelli: seguendo la velocità dell’immagine in movimento si perde il superfluo e l’attenzione si focalizza sui dettagli rilevanti, che raccontano storie e motivi diversi. È una sfida contro il tempo e la storicizzazione quella intrapresa dall’artista che rielabora in modo sottile le visioni di un presente in continuo mutamento. Palisade e An Ex sono tra le opere più affascinanti della serie con le loro forme sospese in una dimensione di sogno, precarie, suadenti ed evanescenti vivono l’estasi di uno spazio atemporale dove tutto si è fermato, e non si riesce più a riconoscere la verità delle forme né la loro provenienza; si cade nell’abisso vaporoso cadenzato da soffici sprazzi di luci che ritmicamente scandiscono il piano rendendo irriconoscibile la fonte visiva.
Le stesse problematiche si riscontrano in Davanzale, nel quale è però possibile scorgere, solo in superficie, i motivi di alcune grottesche che affiorano da un grondante blu monocromo che fagocita ogni cosa. Sintesi tra antichità e contemporaneo, è un’immagine illusionistica quella proposta in cui il fruitore crede di vedere e non si accorge di guardare solo la punta dell’iceberg. La divisione eseguita dalle griglie e dai tagli contribuisce a smembrare l’unità della composizione contrapponendosi al senso di compattezza dato dall’uso del colore singolo; anche quest’ultimo escamotage si ricollega agli elementi di un universo finzionale come quello cinematografico o come quello parallelo dei social media.
L’inquadratura e il taglio che si danno alle foto sono vitali nella società antropofaga d’immagini; non sorprende che sia proprio l’ossessione per l’apparenza ad aver suggellato il dominio di Instagram sugli altri social e sulle vite di corpi ossessionati da selfie e belle pose. La sovrapposizione tra la mania del mostrarsi e il desiderio divorante di voler vedere converge nelle tele di Louise Giovanelli, destando l’attenzione e quel senso indefinito di fastidio che la coscienza riesce a decodificare come consapevolezza di un problema profondo, sempre più dilagante. La speranza diviene quella di non vedersi improvvisamente trasformarti nel protagonista di L’occhio che uccide. Siete pronti a perdere la vostra umanità e a inseguire i flash di un mondo fatto di carta e falene? sembra questo il monito espresso dall’artista, e una cosa è certa: se l’incantesimo non riesce a essere spezzato c’è qualcosa che non va.
Questo contenuto è stato realizzato da Erika Cammerata per Forme Uniche.