Nei magnifici spazi della Biblioteca Vallicelliana esposto sino al 22 gennaio il più recente lavoro di Giancarla Frare.
“Ho vissuto cinque anni, tutta la mia infanzia in un recinto antico, dove convivevano tante funzioni e persone”. Inizia così il godibile racconto che Giancarla Frare – nome significativo della grafica italiana contemporanea, ma anche scrittrice e fotografa – ha dedicato al Castello dell’Ettore ad Apice, in prossimità di Benevento, il luogo incantato in cui si è svolta la sua infanzia. Da quella fortunata prova letteraria (uno dei premi Lorenzo Montano del 2015) è scaturito “Il Castello di Apice. Mappa del Labirinto”, complesso e bellissimo lavoro esposto, sino al 22 di gennaio, all’interno della Biblioteca Vallicelliana, magnifico spazio romano posto al secondo piano del borrominiano Oratorio dei Filippini.
Avvalendosi della collaborazione di un poeta, Flavio Ermini, e di un musicista, Massimo Pradella, Frare ha messo in campo un articolato compendio costituito da due testi letterari, una piccola composizione musicale, cinquanta opere su carta e un video girato in soggettiva con il semplice ausilio di cellulare e IPad e poi ibridato in sede di montaggio con l’innesto di disegni e frammenti fotografici.
In quest’opera dall’andamento sinfonico non passa inosservato l’intervento di un nome prestigioso della poesia italiana, Flavio Ermini, autore di un saggio che, come perfetto contrappunto poetico e filosofico alle immagini grafiche e videografiche, si fonde con esse, divenendo uno degli elementi costitutivi dell’im pegnativo progetto. Un progetto ancora una volta concepito come variazione del grande tema attorno al quale la ricerca di Giancarla Frare da sempre prende l’avvio: la conservazione della memoria attraverso la mappatura di ciò che si vuole sottrarre all’oblio.
La mappa questa volta redatta dalla cartografa della memoria è, come si diceva, quella del labirinto di pietra che ha ospitato la sua fanciullezza, il Castello dell’Ettore, fortezza normanna dell’VIII secolo posta a guardia della riarsa valle del fiume Calore, nella regione del Sannio, in cui il padre dell’artista, capo della guardia forestale, occupava con la sua famiglia un alloggio di servizio.
All’interno degli imponenti bastioni che ancora conservavano due delle quattro originarie torri di guardia e un intricato gomitolo di sotterranei e gallerie, si svolgeva la vita di una piccola comunità costituita da quattro famiglie – quella del proprietario, del suo fattore, del maresciallo dei carabinieri e dei Frare – e da sei monache, responsabili dell’asilo destinato a ospitare ogni giorno, oltre ai piccoli abitanti della rocca, i bambini di Apice, il centro abitato più vicino, espressione di un mondo esterno del tutto sconosciuto alla piccola reclusa del castello. Non che la cosa la turbasse, visto che nel magico recinto di pietra la fantasia era libera di spaziare in una illimitata dimensione sottratta ai vincoli dello spazio e del tempo, un territorio vasto e meraviglioso in cui la norma era giocare un giorno con i prosaici compagni del villaggio e l’altro con il ragazzo Manfredi, figlio di Federico II, che da quel luogo ci era passato e rimasto, a chiacchierare, come la bambina faceva, con il gallo e gli altri volatili o con i cavalli del fattore, a spiare i lombrichi colorati e gelatinosi che abitavano, con altre mostruose creature, i buchi e le tane occhieggianti dagli antichi muri.
Avverte Flavio Ermini che lo spirito richiesto per accostarsi all’opera labirintica e carpirne i significati più segreti è quello della bambina: solo chi saprà imitarla, abbandonandosi agli imprevisti percorsi fuor di logica imposti dal luogo, ai mille incontri, sorprendenti e inaspettati, con le presenze che lo popolano, capirà che il castello è “luogo del caos primigenio, della confusione magmatica delle origini” che consente di ritrovarsi “fuori dal tempo cronologico, all’inizio assoluto, nell’instabile culla aurorale della fanciullezza”. Solo la fiduciosa erranza all’interno di quell’inesplorato territorio di confine consentirà la scoperta del sé come “soggetto caotico e sconnesso nel quale le contraddizioni si incontrano, si accavallano e incessantemente si mescolano senza mai risolversi” E da quella scoperta non sarà atterrito perché è tra la molteplicità delle contraddizioni che si può sperare di arrivare all’essenza delle cose, all’epifania dell’inveduto.
Quell’epifania che Giancarla Frare, la bambina del castello divenuta adulta, ha continuato a cercare nella sua arte all’apparenza scabra e minimale eppure densa di contenuto, sempre protesa a mettere in campo contrasti per analizzarne le rivelatrici dinamiche. Un’arte originale e diversa, che costituisce una ventata di unicità nel troppo spesso omologato panorama dell’arte contemporanea, propenso però più di quanto non si creda a premiare il coraggio di una ricerca autentica, svolta all’insegna dell’anticonformismo. Prova ne sia la costante attenzione che la migliore critica italiana ha dagli esordi riservato ai suoi lavori, esposti in oltre duecento mostre in Italia, Europa, America, Medio ed Estremo Oriente e acquisiti da importanti collezioni permanenti di musei pubblici e fondazioni private non solo italiane, giacché il suo nome ha acquistato negli anni una risonanza internazionale.
GIANCARLA FRARE
IL CASTELLO DI APICE. MAPPA DEL LABIRINTO
a cura di
Flavio Ermini
La mostra è parte del progetto
Opera 00/20 a cura di Paola Paesano
Esposizione:
sino 22 gennaio 2020
Biblioteca Vallicelliana
Piazza della Chiesa Nuova, 18 – 00186 Roma
Orario di ingresso:
lunedì, martedì e venerdì ore 10,30-13,30
mercoledì ore 15,00-18,00
giovedì ore 11,00-14,00 / 15,00-18,00
Ingresso libero
Info:
www.vallicelliana.it
+39 06 68802671
+39 345 0825223