Dalle tute nere dei minatori all’abito elegante dei dirigenti di una multinazionale. A Bologna, l’uniforme da lavoro è protagonista assoluta nella nuova indagine condotta dalla Fondazione MAST. Fino al 3 maggio 2020.
Dopo Anthropocene, che documentava i cambiamenti determinati dall’attività umana sul pianeta e Pendulum, che rifletteva sui ritmi della società attuale tra motori e mezzi di trasporto, a Bologna la Fondazione MAST prosegue l’indagine sul mondo del lavoro con l’esposizione INTO THE WORK/OUT OF THE WORK. Il progetto, dedicato alle uniformi da lavoro in contesti storici, sociali e professionali differenti, è curato da Urs Stahel e suddiviso in una mostra collettiva e un’esposizione monografica. La prima esplora la divisa da lavoro negli scatti di 44 fotografi dal primo Novecento ai giorni nostri. La seconda presenta centinaia di ritratti ad opera di Walead Beshty, scattati dall’artista ad addetti ai lavori nel mondo dell’arte. Entrambe sono visitabili fino al 3 maggio 2020.
La divisa da lavoro nelle immagini di 44 fotografi
Sappiamo che il camice verde identifica un operatore sanitario, così come la giacca nera in cordellino indica l’appartenenza all’Arma. Il grembiule bianco può essere quello immacolato di un ingegnere, ma anche quello imbrattato di sangue di un macellaio. Se nel tempo libero i vestiti che indossiamo dicono qualcosa di noi, giusto o sbagliato che sia, sul luogo di lavoro definiscono in maniera evidente il nostro ruolo professionale. Nate per identificare chi le indossa, da un lato le uniformi includono in una categoria senza distinzioni di classe, ma dall’altro tendono ad accentuare la separazione dalla collettività, escludendo tutto ciò che non rappresentano. Una convenzione contrastante che unisce e separa, include ed esclude, lega e slega, sfumando i confini fra individuo e società. E che spesso predilige la praticità al lato estetico.
Nell’area della PhotoGallery, gli scatti di 44 artisti, protagonisti più e meno conosciuti del mondo fotografico, costituiscono un viaggio trasversale tra le uniformi che porta a una riflessione sulla discrepanza tra essere e apparire: ci sono gli agricoltori del paesino tedesco di Dalliendorf, immortalati con discreta fierezza nelle loro tute blu dal tedesco Albrecht Tübke. Oppure, gli inquietanti quadretti familiari di Weronika Gęsicka, messe in scena che rivelano il lato oscuro della famiglia classica, tradizionalmente patriarcale. O ancora, i ritratti contrastati di Song Chao, scattati ai colleghi minatori in uno studio fotografico improvvisato appena fuori da una miniera di carbone. Al contempo leggeri e dolorosi, le immagini del fotografo cinese inducono a riflettere sulle condizioni estreme in cui alcuni di noi sono costretti a lavorare. Oltre al muro di fotografie a colori che ritraggono i giovani apprendisti di un supermercato Migros in Svizzera, indicando data di nascita e provenienza di ognuno, Marianne Mueller puntella la mostra con i suoi vigilanti: video statici che immortalano otto addetti alla sicurezza durante il servizio, restituendo dignità a quel genere di soggetto che tendiamo a confondere con la scenografia circostante.
Walead Beshty – Ritratti industriali
Ispirandosi ai ritratti di inizio ‘900 firmati August Sander, l’artista statunitense Walead Beshty ha immortalato una moltitudine di persone con cui è entrato in contatto nel suo ambiente di lavoro. Una collezione di artisti, collezionisti, curatori, galleristi, tecnici, ecc ecc. : nel corso degli ultimi 12 anni Walead Beshty ha impresso su pellicola circa 1400 persone, ritraendole per lo più in bianco e nero. La Gallery/Foyer del MAST ne raccoglie una selezione di 364 suddivisi in sette gruppi da 52 fotografie ognuno, in una composizione geometrica tanto ordinata quanto asfissiante: impossibile smettere di guardarli, tentare di indovinarne il ruolo per poi leggerlo, eppure altrettanto impossibile soffermarsi su ognuno di loro. Walead Beshty ha dato vita a una rappresentazione delle persone appartenenti a un ambiente di lavoro che non richiede d’indossare un’uniforme, evidenziando la riluttanza dei protagonisti nell’omologarsi. Eppure, tutti seguono un codice di abbigliamento che li rende simili fra loro e difficili da discernere dal proprio contesto. Perché in fondo l’arte, l’attività umana che mette a frutto le emozioni, è anch’essa un’industria.
*Florian Van Roekel, Capitolo Tre, V, dalla serie “Come piace il caffè a Terry”, 2010