Il lago delle oche selvatiche, al cinema dal 13 febbraio il nuovo film di Diao Yinan. Uno sguardo trasognato sulla Cina che cambia
Diao Yinan (Night Train, 2007) torna al cinema con un thriller, a modo suo, da grande fan qual è dei noir occidentali degli anni ‘40 e ‘50. Per lui la storia de Il lago delle oche selvatiche era arrivata addirittura prima di girare Fuochi d’artificio in pieno giorno (Orso d’Oro a Berlino 2014), ma è rimasta in un cassetto fino a quando il regista ha sentito di averla messa completamente a fuoco
La sceneggiatura ha richiesto due anni di lavoro in cui la realtà ha fornito – anche inaspettatamente – diversi spunti per procedere nel senso giusto: «una “assemblea nazionale di ladri” si è davvero tenuta a Wuhan nel 2012 – spiega il regista – con delegati provenienti da tutto il paese. Sono stati denunciati e, quando la polizia è arrivata, erano nel pieno della spartizione dei territori, di fronte a una cartina della città! Quando ho letto questa storia sono scoppiato a ridere e ho pensato che sarebbe stata una scena formidabile, incredibilmente satirica».
Il film è costruito attraverso l’uso di flashback che permettono di mantenere una certa distanza, come nel caso dei narratori di Brecht, che interrompono il flusso del racconto per riportarci alla ragione. Il regista per la stesura della sceneggiatura ha anche ripensato alla struttura de Le mille e una notte «un testo molto antico che può avere un uso molto moderno». Questa struttura permette inoltre di accentuare la dimensione nostalgica e poetica del racconto che si sviluppa con un tono da realismo magico come nelle opere di Bi Gan (Long Day’s Journey into Night, 2019) e Yeo Siew Hua (A Land Imagined, 2018).
Diao Yinan rappresentare il mondo sotterraneo della criminalità e della marginalità delle periferie in continua espansione delle grandi città cinesi, quello stesso mondo del Jianghu – romantico, decadente e complesso – portato magistralmente in scena da Jia Zhangke in Ash is purest white (I Figli del fiume giallo). Per il regista le forze dell’ordine e il jianghu (i buoni e i cattivi insomma) fanno parte di un unico sistema, sono indispensabili gli uni agli altri e inseparabili. Il lago delle oche selvatiche è un mondo cinematografico in cui il romanticismo dei film noir occidentali si sovrappone a quello dei film di cappa e spada cinesi (i wuxiapian, diventati famosi da noi col revival attuato da La tigre e il dragone di Ang Lee).
l lago delle oche selvatiche è un film pieno di immagini d’acqua o, meglio, di immagini di donne e acqua: «Qualche anno fa avevo visto le “bagnanti” in una cittadina balneare e dopo ho scoperto che questa forma di prostituzione a buon mercato esisteva anche nelle città lungo il Fiume Azzurro». Questa figura è stata immediatamente inserita nella sceneggiatura. La regione di Wuhan conta numerosi laghi, è persino soprannominata “la città dei cento laghi”. È anche una città gigantesca, dove la cultura portuale, unita all’industrializzazione e all’urbanizzazione, offre un’incredibile varietà di paesaggi. Diao Yinan e Dong Jinsong (il direttore della fotografia) non ci mostrano una Wuhan neo realista, ma una città astratta, reinventata.
l lago delle oche selvatiche è un film notturno e silenzioso, ipnotico, le strade deserte ci conducono attraverso un’atmosfera onirica. Il realismo magico assume una dimensione surreale, gli uomini si aggirano come animali al confine tra sogno e realtà. Le scene che assumono un tono quasi onirico, comprese quelle violente, ma non sono tutte frutto dell’immaginazione del regista: «Negli anni ‘80, a Xi’an, la mia città natale, un celebre criminale era riuscito a evadere di prigione poco prima della sua esecuzione. Tutta la polizia della città si era messa sulle sue tracce, ma invano. Lo riacciuffarono due anni più tardi e scoprirono così come aveva fatto: si era nascosto nello zoo cittadino, nella gabbia degli elefanti. Aveva dormito e mangiato con gli elefanti per due settimane, tenendo d’occhio i visitatori dello zoo, come se fosse diventato lui stesso un animale selvatico». Una storia quasi assurda che mescola reale e surreale.
Il nuovo film di Diao Yinan è una pellicola che indaga la fame di potere, l’avidità e il tradimento, fenomeni che esistono in tutte le società, con alcune differenze di forma e di grado. I due protagonisti del film affrontano le loro paure: la paura della morte, la paura del tradimento. Si conquistano la loro dignità di esseri umani a rischio della vita, affrontano l’umiliazione con la “virtù cavalleresca”. La Cina ha sofferto indicibili tragedie e oggi la corsa alla modernizzazione e allo sviluppo hanno oscurato i valori della filosofia e della letteratura tradizionale cinese. Esisterà sempre la tristezza, in ogni società, perché nessun sistema è in grado di cancellare la sofferenza e la paura della morte. Diao Yinan in proposito cita una frase di Orson Welles ne Il Terzo Uomo di Carol Reed: “In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto assassini, guerre, terrore e massacri e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e di democrazia e cosa hanno prodotto? Gli orologi a cucù”.