La storia di Inigo Philbrick insegna. Dopo la pandemia, per forza qualcosa dovrà cambiare sul mercato dell’arte. Troppo soldi, troppo lusso e truffatori. La classe non é acqua diceva il principe De Curtis in arte Totò. Il mercato dell’arte oggi è drogato da persone stupide, corrotte e malate di avidità. A cui non interessano le ricerche estetiche, ma soltanto arricchirsi e il potere. Il vento del virus li spazzerà dove è giusto che stiano: nella pattumiera.
La storia di Inigo Philbrick è solo l’antifona. Tra posticipi, chiusure e improvvise trasformazioni di aste da live a online, una cosa è certa. Dopo questa pandemia il mondo dell’arte non sarà più lo stesso. Non si tratta di rimuovere dalla memoria le affollatissime serate di Gala nelle Evening Sale di New York a maggio (cancellate) o di giugno a Londra (molto più che in forse). Qui non è in gioco il Glamour. Ma qualcosa di più profondo. I Report che segnalavano un calo del business mondiale sull’arte (del 5% sino all’11%) nel 2019, erano un segnale prima che scoppiasse il bubbone del virus. Il cuore del problema consiste nell’eccesso di finanziarizzazione. Ciò che ora sta letteralmente esplodendo –l’affannosa ricerca di liquidità che moltiplica i consignment con anticipi per le aste a venire; o la moltiplicazione di richieste nell’art lending (un prestito in denaro con il deposito a garanzia di opere)- sono fenomeni cresciuti a dismisura negli ultimi anni. Proprio in ragione d’una lettura finanziaria di questo atipico mercato. L’abitudine delle cosiddette “garanzie” su capolavori offerti in asta stava trasformando il gioco in un incontrollato Suk di Futures della bellezza. Il meccanismo era semplice ma diabolico. Sul prezzo di riserva d’un capolavoro le case d’asta incastonavano castelletti di società finanziarie o singoli mercanti che compravano e vendevano tra loro un prezzo fisso “a garanzia”. Se un quadro era stimato 8-10 milioni, qualcuno offriva una garanzia di 7 nel caso non raggiungesse la stima minima. Ma a sua volta poteva vendere per 100 mila la sua garanzia a terzi. E via di seguito. Un sentiero «Follow the money» dove il valore artistico si perdeva nel nulla.
Lo scandalo del belloccio emerso dal nulla
Da qui allo scandalo di Inigo Philbrick, consumatosi mesi fa, il passo è breve. E il fiato haimè è corto. Nel novembre 2011 un giovane con la barba rossastra e la giacca sartoriale fa il suo ingresso nella sala d’aste Christie’s con offerte da capogiro su alcuni lotti. Neo diplomato alla scuola d’arte londinese cinque anni dopo esibisce un fatturato di 50,6 milioni di sterline e un utile di 1,61 milioni. Nel 2017 il fatturato raddoppia a 96,4 milioni con una perdita (attribuita in bilancio al cambio sfavorevole della valuta britannica) di 1 milione. Dopo il successo della sua galleria nella City e una condotta di vita molto lussuosa, Philbrick nel 2018 apre uno spazio a Miami. Continuando a offrire importanti “garanzie” nei passaggi in asta di artisti come Rudolf Stingel, Christopher Wool, Mike Kelley, Richard Prince e Wade Guyton. Ora questo rampante giovanotto è sparito. Lasciando dietro di sé un’ondata di cause che lo accusano di frode. A Miami è introvabile. A Londra fuori dalla galleria è apparso il cartello “affittasi”. I suoi giochi hanno avvolto le principali case d’aste e sembra anche una società legata al miliardario George Soros. Al centro ci sono le accuse -presentate in sei cause intentate a Londra, New York e Miami- per cui avrebbe venduto le stesse opere d’arte a investitori diversi, a volte a prezzi gonfiati. E nel mezzo della nuvola virale l’affascinante giovanotto si è vaporizzato. Anche questo di sicuro inciderà nel mondo dell’arte post-Coronavirus. Le domande sono: che accadrà dopo alle gallerie e alle case d’asta? Ci sarà ancora l’egemonia dei big players magari rafforzata dal fatto che saranno gli unici a resistere? O finalmente si ribalterà come un calzino anche il mondo dell’arte legato solo al denaro?
La pre-visione a Frieze, nel 2007, del grande Dave Hickey
Nell’edizione 2007 della fiera londinese Frieze, il celebre critico d’arte statunitense Dave Hickey (classe 1940) tenne una magistrale conferenza intitolata “Giocare pulito senza arbitro” nella quale tra l’altro disse: “Ci sono persone là fuori che sono più interessate all’arte che al denaro. L’unica cosa sbagliata è che ci sono molti artisti a cui interessa più il denaro che l’arte. Questo è un problema…”. E concluse: “il mondo dell’arte che oggi conosciamo scomparirà. Immaginandomi come questo momento sia esaltante ora, non mi immagino come sarà esaltante, un giorno. Il collasso. E’ veramente qualcosa da non vedere l’ora che avvenga. Boom! Migliaia di Icaro che si schiantano al suolo. Naturalmente le stanze dove vendete la vostra anima saranno chiuse”. Aveva ragione?
per gentile concessione: Copyright L’Economia del Corriere della Sera