Print Friendly and PDF

Vademecum per l’arte nel digitale

Analisi della nostra vita online durante la quarantena

In questa rubrica ultimamente ci stiamo occupando parecchio di digitale. Cerchiamo di cogliere le possibili coniugazioni tra il mondo del web e quello dell’arte.
E allora proprio oggi volevo parlarvi di qualcosa di altamente innovativo, avrei voluto segnalarvi qualche iniziativa appena lanciata ben riuscita. Qualche case history da manuale, da fare propria.
In cui l’arte si trasforma e attraverso una serie di bit pervade la nostra quotidianità, e sublima la sua natura.

Purtroppo non ne ho trovate.

Era difficile manifestare una tale penuria di idee, ma questo è quanto posso constatare, da semplice utente.

Ho la bacheca Facebook e il feed di Instagram letteralmente intasati di contenuti, uno più trascurabile dell’altro. Musei, gallerie, fondazioni, critici. Tutti i protagonisti del settore sembra che abbiano attivato una connessione ADSL nelle scorse quattro settimane, e per la prima volta.

C’è una corsa al post (butta fuori qualcosa, qualsiasi cosa, velocemente, devono sapere che ci siamo anche noi) che conduce a prodotti senza il minimo senso editoriale, buttati lì, confezionati per chissà quale pubblico.
Innanzitutto segnaliamo la totale autoreferenzialità, che travalica il mondo reale e sbrodola anche su internet. Il settore arte continua a parlare ai suoi adepti, e produce contenuti rivolti esclusivamente a loro. Non è pop, e il pubblico, quello vero, ci scansa. Come un personaggio maleodorante nello stesso vagone della metro.

C’è chi adopera l’archivio di famiglia per comunicare il niente, e cito ad esempio la Fondazione Beyeler (una delle maggiori al mondo) che oggi mi pubblica su Instagram un dettaglio di un dipinto di Edward Hopper per farci sapere che il loro bookshop è aperto. Davvero, non è Lercio.
Così magari gli ordino una matita.

Ci sono critici e curatori che mai prima d’ora avevano fatto una storia Instagram che, presi dal panico, hanno iniziato a fare video selfie come l’ultimo adolescente in cerca di attenzione.

Ci sono istituzioni di tutti i livelli che ci stanno massacrando di dirette, tutti nelle stesse fasce orarie, tutti con mai più di 50 persone collegate assieme.

Ci sono gallerie che stanno facendo una disperata iscrizione last minute ad Artsy, nella speranza di vendere almeno un multiplo entro i prossimi due mesi. Con cui non pagheranno manco la bolletta della luce.

Perché? Perché accade tutto questo?

C’è una bella relazione che ho trovato on line, appena redatta da We Are Social, una delle maggiori agenzie di digital marketing italiane, che segnala:

“Anche se girando per le città sembrerebbe il contrario, le persone non sono scomparse.
Blindati in casa, impauriti e annoiati guardiamo al monitor dei nostri smartphone, tablet, laptop, delle nostre smart TV cercando un senso di rassicurazione: siamo ancora tutti qua, ancora qualcosa funziona.
In questo contesto, anche i brand che raccontano loro stessi tramite i social hanno, una volta di più, la responsabilità di essere rilevanti e alimentare conversazioni attuali e non tossiche.
Ma cosa significa questo imperativo, oggi, in uno scenario in costante cambiamento?
Non possiamo ignorare quello che sta succedendo.
Non è una situazione in cui gestire le cose come fosse “business as usual”.
Non è il momento di fare marketing opportunistico, perché questa non è un’ opportunità di marketing.”

Ecco allora perché realtà che sul digitale avevano investito in precedenza, come Sotheby’s ad esempio, possono raccogliere qualcosa. Il 6 aprile è stato siglato il totale più alto mai realizzato per una vendita di fotografia che si svolge esclusivamente on line: oltre 3 milioni di euro.

Un risultato interessante che, sia chiaro, non risolve assolutamente nulla, parliamo di un’azienda che necessita di fatturare miliardi nel corso di un anno. Però, per l’appunto, è un segnale, e di crescita per giunta.

Il punto è che chi c’era prima, oggi può provare a raccogliere qualcosa, chi non c’era, deve costruire.

Ma come?

Se dovessimo buttare giù alcuni punti validi per tutti, per adoperare al meglio questo tempo, li potremmo riassumere in:

PRATICARE L’UMILTÀ
Non è il momento di vendere esplicitamente e non è il momento di illuminare la rilevanza di prodotti e servizi rispetto agli inediti e specifici problemi che stiamo affrontando. Se servono, se sono utili, le persone lo sanno.

CONNETTERE LE PERSONE
Le persone vogliono sentirsi vicine digitalmente ora che fisicamente non possono esserlo. Cerchiamo di attivare il network dei brand per mettere in collegamento le persone tra loro, in funzione degli interessi che hanno.

RIVEDERE IL TONO DI VOCE
Dobbiamo rimanere calmi, essere chiari e concisi, ma questo non significa necessariamente essere seri o eccessivamente tragici. Bisogna tenere sempre il polso della community per capire qual è il tono di voce giusto al momento giusto.

AVERE UNA STRATEGIA DI CONTENUTO
Il contenuto organico è tornato. Bisogna prepararsi ad aggiornare sempre e costantemente il proprio palinsesto.

ADATTARSI VELOCEMENTE
Un messaggio che sembra giusto oggi, potrebbe essere inutile o controproducente domani. Programmare, ma sapersi adattare è vitale.

NON AVERE PAURA DI FARE UN PASSO INDIETRO
Stanno succedendo un sacco di cose. Se non hai molto da aggiungere, ha senso anche che tu non dica niente.

Commenta con Facebook

Altri articoli