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Mercato dell’arte in quarantena. Pensieri e previsioni di Annamaria Maggi, Galleria Fumagalli

Annamaria Maggi (gallerista). Ph. Lucrezia Roda
Annamaria Maggi. Ph. Lucrezia Roda

Ci sarà un B.C. e un A.C., before corona, after corona nei nostri A.D. anno domini da qui in avanti. La pandemia è una crisi sanitaria, sistemica, economica, psicologica globale che ha pervaso (anche) il sistema dell’arte e il suo mercato, con relative e logiche ripercussioni. Non sappiamo per quanto tempo saranno limitati movimenti e spostamenti internazionali. Non abbiamo idea di come torneremo a girandolare per mostre, biennali, fiere (se non altro, quasi sicuramente, finirà l’isteria collettiva e compulsiva della proliferazione patologica della fiera ovunque e per qualsiasi cosa). Si pianifica e programma nell’incertezza quasi assoluta attendendo la discesa del santo vaccino. Aspettando che ne sarà del nostro amato circo dell’arte, abbiamo chiesto ai maggiori attori del sistema in Italia pensieri, previsioni e possibili scenari post-epidemia, dalla propria sospesa quotidianità in quarantena.

Primo semestre ormai quasi totalmente bruciato. Fiere che si ammassano orgiasticamente una sopra l’altra da settembre a dicembre, illudendosi che poco e nulla cambierà (ora si danno alle viewing rooms). Case d’asta che provano a sopperire fondendo gli incanti, implementando l’online e posticipando in autunno. Istituzioni e vari professionisti del settore che si buttano nel nuovo verbo social, la patologica litania quotidiana di contenuti online, alcuni interessanti, il più delle volte di una noia e inutilità cosmica, scaturiti dal rincorrere gli altri, perché bisognadirenecessariamentequalcosaperesserepartedelsistema (da leggere fastidiosamente tutto d’un fiato), come se anche qua non dovesse valere l’eterno principio: o lo fai bene, con cognizione di causa, o lassa stà.

Bene, quindi, il mondo dell’arte sta cambiando? Cosa ne sarà quando tutto sarà finito? Saremo tutti sereni in guanti e mascherina sotto gli umidicci capannoni delle fiere? Chi e con quale entusiasmo avrà voglia di comprare passate le (forse) ferie estive? Si ridimensioneranno i prezzi? Sparirà la fascia medio-piccola delle gallerie? Girerà ancora tutta la fuffa onanistica che satura il contemporaneo? Ce ne saremo finalmente liberati, o continuerà a imperversare? Cambierà il gusto? Vincerà la qualità? Ci sarà il rimbalzo (e picco) di vendite come la scorsa crisi (2008) in arte e beni di lusso? Chi lo sa. Nessuno lo sa. Si naviga a vista. Si prova a sperare e sparare pregando il santo vaccino che tutto e tutti immunizzi. E via come prima.

Ma intanto, ora, cosa fanno relegati alla coatta quarantena i maggiori attori del sistema? Come passano le giornate a casa? Quali sono i loro programmi e le loro previsioni per il post-pandemia? Abbiamo chiesto a Annamaria Maggi, direttrice della Galleria Fumagalli, di raccontarci la propria sospesa quotidianità (quella che a tutti noi attanaglia) e cosa ne sarà del prossimo futuro della galleria e di ciò che su di essa gravita.

Tutto rimandato (nelle più rosee previsioni) a settembre, miart, Basel… Che fa un gallerista ora, durante la quarantena?

Temo che settembre sia una previsione un po’troppo ottimistica per una riapertura in sicurezza delle attività legate al mondo dell’arte, soprattutto quelle che prevedono gli “assembramenti” come le fiere e le inaugurazioni.

È evidente che, come tutti, siamo in emergenza sanitaria ed economica, i cittadini lamentano perdite catastrofiche, in tanti non potranno riaprire le loro attività, lo stato non mi sembra che per ora abbia attuato una politica seria di sostegno. Mi piacerebbe trovare la strada per far sentire la voce dei galleristi italiani: se si applicasse un IVA agevolata sulle vendite delle opere d’arte, sicuramente i collezionisti sarebbero incentivati ad acquistare e lo Stato incasserebbe più tasse. E invece siamo costretti a incentivare le vendite all’estero (Extra UE). Trattare l’arte come un bene di lusso non è corretto, l’arte è cultura, e il nostro paese si fonda e “sfrutta” l’enorme patrimonio culturale che nei millenni ha sempre caratterizzato la nostra identità e la nostra storia. Il turismo culturale nel nostro bel paese è fonte di entrate economiche importanti, allora perché non trattare anche le opere d’arte come un prodotto culturale esattamente come ad esempio i prodotti editoriali.

Detto ciò al momento ci stiamo occupando di produrre e diffondere contenuti culturali digitali: approfondimenti tematici, focus su mostre ed artisti, video, performance e interviste in streaming, attraverso newsletter dedicate, piattaforme web e il nostro sito, in collaborazione con gli artisti eattingendo al materiale di archivio della galleria. Stiamo lavorando molto e con un discreto successo. Continueremo anche per il mese di maggio e giugno, ma con un format leggermente diverso, non solo contenuti dall’archivio, ma nuove interviste.

Non c’è quarantena per il pensiero!

Veduta della mostra Maurizio Nannucci, What to see what not to see, Galleria Fumagalli, Milano, 2017. Ph. Antonio Maniscalco. Courtesy Galleria Fumagalli.
Veduta della mostra Maurizio Nannucci, What to see what not to see, Galleria Fumagalli, Milano, 2017. Ph. Antonio Maniscalco. Courtesy Galleria Fumagalli.

Il primo semestre 2020 è praticamente in toto bruciato. Che scenario pensi si possa prospettare a settembre quando forse qualcosa ricomincerà? Quanto tempo ci vorrà per tornare alla normalità (se mai si ritornerà)?

Cambierà tutto! Mi auguro che questa crisi mondiale possa rimettere in campo valori più seri e importanti. Mi figuro una scrematura di tutte quelle situazioni borderline e prettamente speculative che non hanno nulla a che fare con i contenuti culturali. Vorrei che gli artisti fossero più generosi nel condividere il loro pensiero e il mondo degli intellettuali fosse più solidale e protagonista nella nostra società.

Dipende da cosa si intende per normalità. Dovremo convivere con un nemico invisibile per molto tempo, fino al vaccino dicono gli esperti, per cui sarà tutto più rallentato e forse sarà l’occasione per un più sano approccio all’arte. La normalità non c’era nemmeno prima del Covid19, il mondo dell’arte viaggiava troppo veloce, uneccessodi mostre, eventi, aste, fiere, artisti e tutto si riduceva in (cito Roman Opalka in un commento ad una biennale dell’Arte di Venezia alla quale prese parte): “vite fait, vite vu, vite oublié!” (presto fatto, presto visto, presto dimenticato). Oppure mi rifaccio a un secco commento di Kenneth Noland su molta produzione artistica del nostro tempo che definiva: “entertainment”. Forse dovremmo imparare da questa esperienza che un approccio così aggressivo in favore e totale dedizione alla scienza e alla tecnica che ha totalmente, da almeno 200 anni, escluso la persona, l’intellettuale, il pensiero, i filosofi, gli artisti. La deriva anti-umanistica ha fatto danni enormi, ci siamo presi cura solo di noi stessi e non della società con coscienza e rispetto, forse dovremmo prendere appunti, perché è troppo facile e veloce dimenticare!

Problematiche principali legati alla chiusura totale?

Ci impegneremo a contattare il nostro pubblico per proporre acquisti ad hoc e appuntamenti in galleria per visionare le opere. Implementeremo le vendite on line, che sono più efficaci con il pubblico USA, più abituato a questa pratica. Sono nate negli ultimi anni diverse piattaforme di vendita online che abbinano i contenuti culturali a quelli commerciali, per cui non solo un’immagine virtuale di un’opera in vendita, ma anche la sua storia e quella dell’artista che l’ha prodotta. Certo, cercheremo di incentivare gli appuntamenti, visto che le inaugurazioni sono cancellate per il momento. Potremmo anche allestire delle mostre e renderle visibili virtualmente, ma tutto ciò non può sostituire l’emozione, il piacere e l’intensità della fruizione diretta dell’opera d’arte.

Veduta della mostra Anne & Patrick Poirier, Dystopia, Galleria Fumagalli, Milano, 2017. Ph. Antonio Maniscalco. Courtesy Galleria Fumagalli.
Veduta della mostra Anne & Patrick Poirier, Dystopia, Galleria Fumagalli, Milano, 2017. Ph. Antonio Maniscalco. Courtesy Galleria Fumagalli.

250/300 fiere d’arte all’anno. Servono? Non sarebbe meglio cancellarne qualcuna per il bene di tutti?

È una bulimia di fiere, indicativo di quanto fino ad oggi sia stato più importante l’evento, lo show off, da abbinarsi al viaggio, alle cene, alle feste, e forse a un acquisto di Arte. Adesso tutto ciò non sarà più possibile, per cui mi auguro che i collezionisti riacquistino quella buona, vecchia abitudine di frequentare le gallerie e intrattenersi con il gallerista e gli artisti. È troppo sognare di rigenerare un convivio intellettuale?

Pensi che il mondo dell’arte intero possa cambiare passata l’epidemia? Si abbasseranno i prezzi.. cambieranno le dinamiche.. il gusto? Ci convertiremo tutti a fruire virtualmente le opere dal divano…

Alla fruizione dell’opera d’arte in modo virtuale ci siamo già arrivati, ciò detto il rischio che l’arte in questo modo muoia è molto alto. L’arte, in tutte le sue forme va fruita personalmente per poterne apprezzare, particolari, dettagli, significati profondi, ed emozionarsi! I prezzi cambieranno, più stabili, meno soggetti a speculazioni, più attinenti al reale valore dell’opera… fantascienza?!

Prima cosa che farai appena finita la quarantena?

Vado a trovare i miei genitori che vivono a Bergamo e organizzo un lungo weekend per fare il pieno di luce e vitamina D, per sentire la forza rigenerante che mi dà la natura.

Veduta della mostra Keith Sonnier, Light Works. 1968 to 2017, Galleria Fumagalli, Milano, 2018. Ph. Antonio Maniscalco. Courtesy Galleria Fumagalli.
Veduta della mostra Keith Sonnier, Light Works. 1968 to 2017, Galleria Fumagalli, Milano, 2018. Ph. Antonio Maniscalco. Courtesy Galleria Fumagalli.

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