Favolacce, la favola nera dei D’Innocenzo con Elio Germano. Il ricatto dell’innocenza perduta
Favolacce dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, presentato allo scorso Festival del Cinema di Berlino dove è stato premiato per la migliore sceneggiatura, è arrivato in streaming sulle principali piattaforme di cinema on demand. La pellicola, la cui uscita in sala era prevista per lo scorso 16 aprile, segna l’atteso ritorno dei registi dopo il loro debutto con La terra dell’abbastanza.
La pandemia di Coronavirus ha messo in stop l’intero settore cinematografico e i distributori viste le tempistiche incerte in tema di riaperture delle sale hanno preferito optare per un’uscita on demand.
Tra i protagonisti del film troviamo Elio Germano (Volevo Nascondermi, Il Giovane Favoloso), con Barbara Chichiarelli, Gabriel Montesi, Max Malatesta, Ileana D’Ambra e Lino Musella. La voce narrante è di Max Tortora.
Quella di Favolacce è, per definizione, una favola nera, è come in tutte la favole i protagonisti sono i bambini, vittime di orchi e mostri, da tradizione. Ambientato in una periferia romana – in sospeso tra le villette di Wisteria Lane (Roma si tuffa nella grande tradizione della borghesia americana) e le campagne assolate – in un’estate malinconica e trasognata a cui fanno da colonna sonora grilli e cicale, il film segue le vicende di alcuni ragazzini alle prese con le loro famiglie disfunzionali.
I padri sono padroni, ciechi e violenti, le madri sono passive e assenti. I figli sono diligenti ma spaventati: si affacciano alla vita senza prospettiva, davanti a loro non vedono nessun orizzonte.
Favolacce naviga tra il grottesco e il surreale, tra gli echi di un Garrone di prima maniera (i registi hanno lavorato al soggetto di Dogman) e, forse, aspirando all’effetto Lanthimos, ricorrendo un cinema cinico, doloroso e alienato. Cupo e sinistro, il film si muove su toni enigmatici attorno a un’imminente tragedia, la messa in scena però – nonostante gli sforzi – si risolve in un film ricattatorio e retorico, che gioca con una sceneggiatura inutilmente macchinosa.
I fratelli D’Innocenzo dirigono bene gli attori ma il film non decolla mai, restando tiepido anche nel momento del plot twist. Qualcuno ha scomodato paragoni col cinema di Haneke, ma siamo ben lontani dalla compiutezza e dall’equilibrio del cineasta austriaco (Il Nastro Bianco, Funny Games, La Pianista), l’estetica richiama a gran voce, piuttosto, un altro maestro del disagio viennese, Ulrich Seidl (Canicola, mport/Export), ma senza mai raggiungere quella forza espressiva (spericolata e brutalmente oltraggiosa). Servirebbe – piuttosto – un buon ripasso della lezione di Todd Solondz (Welcome to the Dollhouse, Happiness), che ha saputo osservare la middle class americana e l’adolescenza in maniera più efficace e sfaccettata (nonché dolorosa).
Favolacce invece è un ritratto morboso e soffocante che non sembra mai essere a fuoco, gli episodi si susseguono (troppo) slegati tra loro e anche nel finale, che vorrebbe (dovrebbe?) essere risolutivo, non riesce a trovare un suo equilibrio, una sua efficacia. La seconda regia dei fratelli d’Innocenzo si rivela quindi una favolaccia un po’ furbetta e sconclusionata che attinge a piene mani da illustri precedenti (potremmo citare – tra gli altri – anche Sofia Coppola) senza aggiungere nulla di nuovo, originale o di interessante.