Uno fedele al mondo reale, l’altro alla sua rielaborazione fantasmagorica. La Galleria Giovanni Bonelli di Milano presenta Astratta, la mostra che riunisce le opere di Fulvio Di Piazza e Alessandro Bazan.
Qual è la distanza che separa la realtà dalla sua interpretazione? Forse la stessa che divide Siracusa da Palermo, luoghi di nascita, rispettivamente, di Fulvio Di Piazza (1969) e Alessandro Bazan (1966). I due artisti si muovono agli estremi quasi opposti della figurazione, come le due città sono quasi agli estremi opposti dell’isola, e propongono due visioni molto differenti del mondo che ci circonda.
A riunirli in mostra è la Galleria Giovanni Bonelli, che alla riapertura del suo spazio milanese presenta Astratta, curata da Marco Senaldi. Il titolo della mostra, lontano dal riferirsi alla corrente artistica novecentesca, richiama al significato etimologico del termine ‘abstractus’, ovvero ‘trarre fuori’, ‘distaccare’, e invita i visitatori a seguire i due autori in un altro piano della realtà, diverso da quello che si è abituati a vedere. In programma dal 30 maggio al 30 luglio 2020 – ingresso libero solo su appuntamento – presenta una quindicina di opere, alcune di grande formato, tipiche della cifra stilistica dei due artisti. A tal proposito, appunto, il percorso espositivo combina le opere più rappresentative di Bazan – dove l’uomo rimane molto presente e contestualizzato in un mondo reale – e di Di Piazza – il quale invece si affida a un immaginario molto più immaginifico.
Come detto Alessandro Bazan si ancora in modo più marcato alla realtà come la conosciamo, dove l’uomo si presenta in atteggiamenti e comportamenti collettivi o privati. Per l’esposizione milanese l’artista presenta due lavori inediti: Volare e Wait. Le due opere restituiscono le caratteristiche tipiche dell’artista palermitano e le miscelano con gli innesti derivanti da questo preciso momento storico.
In Volare, ad esempio, la visione di una città dall’alto di un balcone, o dalla finestra di un grattacielo, non è più lo sfondo del quadro, bensì il soggetto principale: le figure di uomini e donne che fluttuano leggeri al di sopra di palazzi e strade, rimandano a un bisogno primario di ritrovata libertà da parte dell’uomo, recluso a causa della pandemia.
Lo stile di Fulvio Di Piazza al contrario galleggia sulla scia di un racconto fantasmagorico gonfio di creature fantastiche e surreali. Per quanto distorte e immaginifiche le sue tele conservano un legame con il mondo reale, dando vita ad ipotesi di connessioni tra le due dimensioni. Per esempio Guerrilla, opera manifesto dell’artista e frutto di due anni di lavoro, può essere intesa come una nefasta metafora del “tutti contro tutti” e della disgregazione sociale che questo momento ci ha chiamato ad affrontare.
Le figure che emergono da cumuli di nubi o da reflussi vulcanici hanno sembianze animali e, al tempo stesso, umane, in un crogiolo di situazioni e azioni che non sembra avere altro fine se non quello di condurre il visitatore a perdersi nei dettagli minuziosi e inquietanti, che mantengono intatto il loro fascino di racconto allegorico.