Lungo la via Flaminia, secolare via consolare romana (220 a.C.) che collega Roma a Rimini, abita e opera Oscar Piattella (Pesaro, 1932). Il ramo principale dell’antica arteria romana attraversa gli Appennini e seguendo la valle del Burano giunge a Luceolis, Cantiano, prosegue verso la costa adriatica di Fanum Fortunae (Fano) e Pisaurum (Pesaro) e termina presso Ariminum (Rimini).
Incastonata ai piedi del monte Catria, è la dimora e studio dell’artista. Arrivandoci in macchina, si ha la sensazione di pregustare, già durante il viaggio, il senso dell’arte di Piattella, profondamente ancorato alla dimensione e all’osservazione della natura, maestra di perfette forme geometriche e di incredibili cromie. Una serie di tornanti asfaltati, dall’andamento a dorso di serpente preannunciano il momento in cui il monte, verdissimo, toccato qua e là dalle tinte beige delle rocce, si manifesta in tutta la sua imponenza, aprendosi al passaggio, per concessione dell’ingegno dell’uomo, tramite un’infilata di gallerie. La sensazione, mentre si guida ad alta velocità, è quella di essere vicini a varcare la soglia di uno dei dipinti di Oscar Piattella. Lo si intuisce dalla luce che fa vibrare i colori del bosco e dalla fotografia del monte che subito si impone allo sguardo del guidatore, che viene accolto dalla maestosità dolce del profilo montuoso e allo stesso tempo si sente duramente respinto da esso. Perché il gigante verde è stato addomesticato dalle trivellature che ne permettono l’attraversamento. Gli fanno eco le tavole di Piattella, che a primo impatto catturano l’occhio che vaga per nuclei, seguendo il proliferare di cellule pronte ad una mitosi sulla superficie pittorica. Le forme in potenza diventano stelle o nodi che si intrecciano, si intravedono le vestigia delle rette libere guidate dalla fantasia. Sembra che la tavola pittorica segua il ritmo pulsante della natura, la quale impiega precisione e tempo per creare i propri organismi che a volte sorgono spontaneamente, come alcune piante selvagge.
Mi sono recata nella casa-studio del pittore con Alberto Mazzacchera – curatore della mostra “Oscar Piattella. Disgregazione e unità. Solcando la misura rinascimentale di Urbino” (26 giugno-11 ottobre 2020) presso il Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro – e con Alessandra Zanchi che hanno reso possibile tutto ciò. Da subito l’idea della canonica intervista in stile botta e risposta è andata sfumando, lasciando il posto a una piacevole conversazione. A rendere il tutto più dolce, l’ospitalità con cui siamo stati accolti a suon di caffè e pasticcini.
Oscar Piattella mi spiega subito il suo lavoro. Procede in maniera complessa, stratificata e per questo motivo necessita di seguire precise coordinate che si appunta a matita durante la lavorazione del disegno preparatorio. La struttura iniziale è formata da numeri, spicchi ed epicentri. Ogni raggiera, suddivisa in spicchi, è segnata da un numero preciso. Quando colora segue il numero. È una sequenza numerica, geometrica e matematica e come tale è possibile che lo spettatore riceva una sorta di shock geometrico. “La mia pittura è sempre stata ispirata al sentimento e alla razionalità. Ciò che determina la qualità dell’umano, è il controllo. Vorrei però che lo spettatore capisse che non mi faccio dominare dalla geometria ma piuttosto, attraverso l’immaginazione costruisco delle linee che si esplicano grazie alla fantasia e la natura è maestra della geometria”.
Il binomio disgregazione-unità:
Nel momento in cui disgrego l’opera disgrego anche me stesso. Da qui viene l’idea della mia fotografia all’interno del catalogo, che sottostà anch’essa alle leggi della “disgregazione unitaria”. L’immagine ci appare come se fossimo davanti al finestrino di un treno. Quella foto indica come se io mi unissi alla disgregazione della mia visione. Io non disgrego solo quello che vedo, ma anche me stesso. L’unità è l’opera, è il momento di coniugazione di tutto quello che mi attraversa. Momento di sintesi. L’opera deve emanare il senso dell’assoluto, è lei e non c’è nient’altro. Ecco il binomio disgregazione unità.
La costruzione del disegno:
Indicando l’opera “Stelle sorelle” (2016) spiega: faccio un primo bozzetto, poi a seconda della tavola prendo un foglio della stessa misura su cui eseguo il bozzetto e lo rifaccio tutto segnando i numeri. L’ultima fase nasce dalle stelle. Disegnandole è sorto spontaneo il nucleo che ha eliminato la figurazione (immagine in un fondo) nel dipinto. Il nucleo, che non permette l’esistenza di un fondo, diventa protagonista. Come una cellula che si espande. Come andare al centro di una tela e dimenticare i bordi. Sono come semi che germogliando dal terreno.
Cos’è per lei la pittura?
Star dietro alla pittura è una cosa pesante. La pittura è un modo di vedere la vita, di vederla in maniera troppo seria. Qualche volta bisogna prenderla con leggerezza ma anche questa leggerezza deve far parte della vita. E’ come se con la pittura tu non potessi mai scordati le cose fondamentali della tua vita: chi sei, dove sei, perché sei al mondo.
Che cos’è per lei l’arte?
L’arte è qualcosa che a un certo punto ha fatto guadagnare “un più di vita” all’umanità, perchè non c’è sempre stata. Il concetto di arte che si identifica con la coscienza di un fatto artistico, nasce probabilmente quando l’uomo comincia – sempre per quell’esprit de finesse (Pascal) – a ragionare e a chiedersi perchè le cose che disegnava (geroglifici, animali, figure) c’era chi era addetto a farle, a disegnarle. Forse solo alcune figure erano incaricate di dipingere proprio perchè avevano qualcosa in più degli altri.
Immaginazione, creatività, sensibilità che non avevano tutti, ma solo alcuni. C’è qualcosa di indefinibile nel modo in cui è nata la coscienza dell’arte attraverso i secoli. Parte da lontano la nascita della coscienza di una attività dell’uomo che scavalcava il puro gesto, che produceva il farsi dell’opera. La pittura, il gesto pittorico che porta ad un segno, che rappresenta la coscienza dell’uomo, esula completamente da qualsiasi altro collegamento con altre attività. La pittura non è funzionale ad un utilizzo, è più simile alla poesia. Il linguaggio è uno strumento che utilizziamo per farci capire, la poesia invece è un gradino superiore al linguaggio, perchè non è più un fatto utilitaristico, ma parla della storia del sentimento dell’uomo. Così la pittura.
Amici e collaborazioni:
Ricordo con grande piacere ed affetto la straordinaria amicizia con Yves Bonnefoy (Tours 1923-Parigi 2016; è stato un poeta, traduttore e critico d’arte francese). Partecipai ad una mostra organizzata da lui in un castello nella sua città natale a Tours con 12 artisti che avevano fatto opere assieme a lui. Io avevo mandato la alcune delle mie opere; la stanza più grande del castello fu dedicata a me, nonostante il calibro degli altri artisti e per questo motivo mi sentii fortunato. Poi, sempre con Bonnefoy feci un libro, la “Maison Natale” con 12 sue poesie presentate all’Istituto italiano Di Cultura a Parigi, vecchia sede del Ministero delle Finanze. Un altro lavoro che intrapresi con Bonnefoy fu il libro “Blu Piattella” (800 copie che dipinsi tutte a mano). All’interno è conservato tutto il nostro dialogo epistolare di quando gli chiesi che cosa fosse per lui l’azzurro, perchè io volevo farci un libro. Da lì nacque una amicizia incredibile. Una volta venne anche a casa mia. Feliciano Paoli (Urbania 1955, Direttore della Biblioteca e del Museo Civico di Urbania, responsabile settore Cultura e Turismo del Comune di Urbania), durante i festeggiamenti del bicentenario dalla nascita di Giacomo Leopardi (2019), portò a casa mia Bonnefoy.
Conobbi questo incredibile poeta francese attraverso lo scultore e mio amico Nanni Valentini (Pesaro, 1932-Arcore 1985) che me ne aveva parlato e io avevo iniziato a raccogliere le sue pubblicazioni in italiano. Ho tenuto rapporti epistolari anche con Bernard Noel (Sainte-Geneviève-sur-Argence, 19 novembre 1930, poeta, scrittore e critico d’arte francese); questi scambi sono simbolo di una produzione culturale dotta, fatta di influenze permeabili da una parte e dall’altra. In gioventù, quando vivevo ancora a Pesaro aprii uno studio con Nanni Valentini, amico folle, curioso, razionale e irrazionale, ma che aveva sempre uno sguardo alternativo alla realtà che stavamo vivendo. Lui leggeva molto e proprio lui mi parlò per primo di Bonnefoy, per le cui letture nutro ancora grande passione.
Per gran parte della propria vita, dico io, uno è, si fa, per quello che ha assorbito dagli altri. Però devi assorbire da persone positive. Allora, tutto quello che dimostri con la parola, col pensiero e coi gesti è perchè te l’hanno insegnato gli altri. Poi la curiosità propria di ognuno si elabora in modo personale. Altro personaggio a me caro è stato Fabio Scotto (Spezia, 1959), poeta con cui ho ancora un rapporto telefonico settimanale. Ha curato il volume de “I Meridiani” di Bonnefoy, oltre ad essere professore a Bergamo di Letteratura Francese, traduttore, scrittore e poeta. Con Scotto eravamo amici fraterni, era padre e figlio mio e così io per lui. Per il resto, tutto quello che so lo so perchè l’ho voluto sapere; perché mi portasse a qualcosa di positivo nella pittura che è stata sempre la sorgente, l’imput, lo stimolo per me. E tutti i libri che ho sono saggi sulla pittura. Per questo motivo non dico “io sono un pittore” ma “io sono la Pittura”. Non perché mi sento grande pittore; i grandi maestri sono il Tiepolo, Monet, Manet, gli Impressionisti. Però ho la sensazione e penso che la mia pittura scavalchi il senso del limite. Prima ci sono i quadri poi, a un certo momento, dal quadro si passa alla pittura. Io credo adesso di star scavalcando questo limite. Dimostro la pittura attraverso le tavole, ma è più importante la pittura nel quadro.
Come è proceduta la sua carriera dopo la grande mostra nel 1958 alla celebre galleria dell’Ariete di Milano?
Un exploit come quello all’Ariete fu molto positivo, non solo per la mostra in sé ma anche per la mia carriera, perchè mi fecero un contratto che durò 2 o 3 anni. Ma io sono sempre stato uno spirito libero, avrei dovuto essere più accondiscendente, invece ho sempre pensato che un artista dovesse essere libero di agire e di sviluppare il proprio lavoro nel posto che aveva deciso di scegliere come luogo deputato alla sua creatività. Loro volevano che io mi trasferissi a Milano, ma non accettavo il fatto che tutti dovessimo trasferirci là. Io lavoro bene in questo posto, lasciatemi qui.
Questo voler essere abitante del mio luogo d’origine mi ha penalizzato. Ma io sono innamorato del mare e dopo aver sposato mia moglie Anna, ho amato queste montagne. D’altronde la pittura francese degli ultimi 150 anni è stata basata sul rapporto dell’uomo col paesaggio! Quindi finchè mi fu possibile stetti a Milano, poi me ne andai. L’esperienza milanese mi servì molto. Io come pittore nasco nel dopoguerra, con tutti gli artisti più importanti di quel periodo, con le correnti dell’Astrattismo, dell’Informale, con Piero Dorazio (Roma 1927-Perugia 2005), Enrico Castellani (Castelmassa 1930 – Celleno 2017), mi frequentavo col grandissimo fotografo Ugo Mulas (Pozzolengo 1928). Con Dorazio ero di casa e dormii nel piccolo castello di Celleno di Castellani. Ma il mondo della pittura è atroce, non si capisce mai cosa devi essere. Ci sono tanti pittori locali bravissimi che non sono considerati. Oltre a creare, cosa bisogna fare? Il rovescio della medaglia di stare in una grande città è che sottrae tempo all’immaginazione, alla fantasia, anche se ti offre più opportunità.
Come vede la pittura italiana di oggi?
Questa è una domanda che richiede responsabilità. Penso che la pittura sia una cosa così misteriosa che può succedere in qualsiasi momento. Possiamo stare un secolo senza che succeda niente, poi d’improvviso… Gli artisti che ci sono adesso hanno un compito preciso, quello di mantenere viva questa disciplina. L’arte non è produzione di qualcosa, segue la sua linea, è un modo di vivere la vita. Può darsi che non si faranno più quadri, ma il modo di vedere il mondo in maniera poetica continuerà ad esistere. Mi auguro che potremo vivere poeticamente ancora per molto.
Informazioni utili:
Oscar Piattella: Disgregazione e unità. Solcando la misura rinascimentale di Urbino
A cura di Alberto Mazzacchera
Main sponsor Inveco Holding Spa
Sponsor Brun Fine Art – London
Centro Arti Visive Pescheria, Corso XI Settembre 184 – Pesaro
26 giugno – 11 ottobre 2020