Egitto: la terra dei faraoni che dopo millenni ancora affascina e conquista, ma com’è nato uno dei regni più duraturi della storia? Dalla pace o dalla guerra? La Tavola di Narmer ricorda le imprese dell’omonimo re dell’Alto Egitto che lo hanno consacrato a unificatore delle due terre.
L’Egitto, intorno al 4000 a.C., era diviso in due regni distinti: il Basso Egitto, situato nella regione fertile e paludosa del delta del fiume Nilo, e l’Alto Egitto, posto lungo la valle fluviale desertica e sabbiosa. Questi si formarono quando gli antichi abitatori dell’Africa, a causa della progressiva desertificazione, migrarono alla ricerca di acqua e cibo finché non giunsero alle sponde del fiume Nilo. Solo successivamente la comunità meridionale conquistò, prima culturalmente poi militarmente, quella settentrionale dando vita al primo regno egizio unitario.
Molti storici attribuiscono il merito dell’unificazione politica del 3000 a.C. circa alle mire espansionistiche del re dell’Alto Egitto Narmer che, secondo la tradizione, decise di ampliare il suo regno inglobando le comunità del nord. Esse vennero sconfitte cercando di preservare la loro indipendenza.
La Tavola di Narmer, ritrovata nell’Ottocento a Ieraconpoli e conservata al Museo Egizio del Cairo, è un reperto storico, votivo e iconico dell’arte egizia che ha lo scopo di commemorare la vittoriosa campagna militare. A causa però della contemporanea presenza di elementi storici e simbolici, si è a lungo discusso se i fatti raffigurati sulla lastra siano o meno avvenuti: se l’Egitto sia nato effettivamente da uno scontro bellico o da un atto pacifico. Lo stesso sovrano Narmer è avvolto nel mistero, tutt’oggi la questione è ancora dibattuta: molti studiosi lo associarono a Menes, il primo re unificatore, ma secondo altri, essendo la forma greca di un termine egizio che significa “il fondatore”, non sarebbe possibile ricollegare Menes a nessuna figura storicamente esistita. Inoltre le ricerche archeologiche hanno dimostrato che l’unificazione dell’Egitto avvenne ben prima del regno di Narmer, altri avrebbero governato: i re della dinastia zero. Ciò significa che la tavolozza, importante anche perché è uno dei primi esempi di scrittura geroglifica, ha un valore simbolico di rappresentazione rituale: molti faraoni successivi furono raffigurati come vincitori di battaglie mai avvenute solo per umiliare l’avversario.
La composizione della tavola si svolge per registri orizzontali sovrapposti. La parte superiore coincide su entrambe le facce: vi sono due teste bovine dal volto umano rappresentanti la dea Hathor con al centro, all’interno del serekht, l’iscrizione del nome del sovrano coi geroglifici del pesce nar e del punteruolo mer.
La scena sul diritto chiarisce l’antico uso cosmetico che avevano le tavolozze di pietra: compaiono, trattenuti da uomini barbuti, due felini dai colli allungati e incrociati per formare uno scodellino impiegato per la frantumazione di pigmenti colorati da applicare sul viso. Sia le donne sia gli uomini truccavano gli occhi con il kohl di colore nero e usavano la malachite di colore verde come ombretto; inoltre le donne amavano creare un contrasto tra il volto sbiancato con la biacca e le labbra e le guance rosse. Tuttavia, dal V al IV millennio a.C. gli egizi smisero di avvalersi di queste tavole per scopi pratici e divennero oggetti votivi da donare ai templi. Al di sopra dello scodellino ricavato dall’incrocio dei colli dei felini, Narmer, con indosso la corona rossa del Basso Egitto e tra le mani i simboli della regalità, scettro e flagello, procede con le insegne delle province alleate e un porta-sandali al seguito. Dinanzi compare il falco Horo del Sud, incarnazione del sovrano stesso, su di una nave che lo ha condotto a prendere visione dei nemici decapitati. Infine, nel registro inferiore vi è un toro che calpesta un avversario e abbatte la cinta di una fortezza: il faraone viene raffigurato una seconda volta come un animale.
Sul rovescio Narmer, con la corona bianca dell’Alto Egitto, tiene con una mano il nemico per i capelli e con l’altra una mazza pronta a colpire, è un topos ricorrente nell’arte egizia: tremila anni dopo, durante la dinastia tolemaica, Tolomeo XII Neo Dioniso Aulete si farà rappresentare al Tempio di Edfu nell’atto di colpire i nemici con la stessa iconografia. In alto a destra vi è nuovamente il falco Horo che tiene fra gli artigli un laccio a cui è legata la testa del vinto al di sotto di papiri che ne indicano il paese d’appartenenza: il Basso Egitto. Accanto al sovrano è posto nuovamente un porta-sandali e, sotto i suoi piedi, vi sono dei nemici morti o in fuga.
La Tavola di Narmer racchiude in sé le caratteristiche tipiche della rappresentazione dei corpi presso gli egizi: volto di profilo, spalle di fronte, ventre di trequarti, gambe e piedi di profilo con ginocchia visibili. Questi canoni verranno stravolti con la riforma di Akhenaton, faraone della XVIII dinastia: il volto presenterà zigomi pronunciati, labbra sporgenti, mento appuntito, mentre il corpo avrà gambe sottili, ventre accentuato e fianchi ampi.
Bibliografia
AA. VV., Museo Egizio, Modena, Franco Cosimo Panini Editore, 2015.
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N. Grimal, L’Antico Egitto, Milano, RCS Quotidiani Spa, 2004.
V. Maugeri – A. Paffumi, Storia della moda e del costume, Milano, RCS Libri S.p.A., 2005.