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Più di un sogno d’amore. L’origine della poetica di Chagall nella mostra di Rovigo

Marc Chagall, La passeggiata, 1917-18, San Pietroburgo, Museo Statale Russo © Chagall ®by SIAE 2020
Chagall il mondo sottosopra, 1919

Anche la mia Russa mi amerà è la mostra che racconta, a Palazzo Roverella di Rovigo, il legame tra Marc Chagall e la Russia. 60 opere, disposte per nuclei tematici, lasciano emergere le varie suggestioni che hanno influenzato l’artista: il paese, i lubki, il teatro, i fiori, i simboli, la religione. Dal 19 settembre 2020 al 17 gennaio 2021.

Tra mazzi di fiori, capre rosso sangue, paesi ribaltati e pendoli catastrofici trova spazio, nell’opera di Marc Chagall, un emblematico Autoritratto davanti a casa. Risale al 1914, anno in cui il pittore fa ritorno in Russia dopo il soggiorno parigino. Si ritrae con camicia, gilet, giacca, papillon a pois, pantaloni viola. Ciò significa, piuttosto eloquentemente, che in quel momento Chagall si identificava come un pittore francese. Sullo sfondo, però, non c’è né la Tour Eiffel né l’Arco di Trionfo, ma si vede invece distintamente la sua casa d’infanzia, in Russia. Tra il legno della costruzione si riesce a sbirciare gli interni, dove addirittura si intravede la madre affacciata alla finestra. Potrebbe essere una dichiarazione: “io sono un pittore, la Russia rurale è ormai alle mie spalle”. Ma addentrandosi nella produzione del pittore di origine ebraica, appare più coerente pensare si tratti sì di una dichiarazione, ma di incertezza.

Pur partecipando a quella che fu una rivoluzione unica del linguaggio dell’arte in Francia, io sempre tornavo col pensiero, nella mia anima, al mio paese natale.

 

March Chagall

Marc Chagall, Autoritratto davanti a casa, 1914, Parigi, collezione privata© Chagall ®, by SIAE 2020

E così, insieme a lui, facciamo anche noi. La mostra Anche la mia Russia mi amerà – in esposizione dal 19 settembre 2020 al 17 gennaio 2021 a Palazzo Roverella di Rovigo – propone infatti un viaggio alla ricerca dell’influenza che la cultura russa ha avuto sul pittore. Nato in una famiglia ebrea a Vitebsk, odierna Bielorussia, Chagall non si è mai sentito totalmente integrato nella comunità locale. La difficile condizione a cui gli ebrei erano costretti sotto i regno zarista non gli impedirono però di trascorrere un’infanzia felice, assorbendo l’influsso fiabesco delle storie e leggende della Russia di inizio Novecento. Un paese dove dilagava l’analfabetismo e le immagini rappresentavano una finestra sull’infinito. E sulla conoscenza.

Un’altra opera in mostra chiarisce ulteriormente lo spirito del pittore. Il mondo sottosopra, oltre a raffigurare un personaggio con la testa reclinata all’indietro, presenta anche la firma rovesciata. Posta nell’angolo superiore a sinistra, questa aumenta il senso di rovesciamento e spaesamento del quadro. Si dice che l’equivoco sia nato dopo che un gallerista, anche lui confuso dalle inversioni di piano del pittore, aveva istintivamente esposto l’opera al contrario, senza notare la firma. Errore non solo perdonato da Chagall, ma anzi particolarmente gradito, tanto che decise di mantenere il dipinto nella sua nuova posizione. Un aneddoto che ci introduce nel mondo fiabesco e surreale di Chagall, dove non esistono leggi fisiche e convenzioni. I personaggi confluiscono come per magia, – richiamati da un flauto malinconico – e convivono nella dimensione dell’opera senza che spazio, tempo e linearità ne forzino l’apparizione.

Marc Chagall, La passeggiata, 1917-18, San Pietroburgo, Museo Statale Russo © Chagall ®by SIAE 2020

Allo stesso modo la mostra attinge alle varie tematiche che hanno influenzato il pittore, ignorando la sequenza cronologica che ne scandì la vita. La distribuzione per contenuti ha il pregio di assecondare lo stile sognante di Chagall, dove le bussole girano a vuoto e l’unica suggestione utile a orientarsi è quella indicata dal ricordo. Sogno e ricordo, dunque, che affondano nel mondo russo alla ricerca di quel che c’era e di quel che invece era solo possibile immaginare.

Quel che c’era era il paese, il villaggio, lo shteltl, come in ebraico si indicano i villaggi nell’Europa orientale di lungua yiddish. I cieli bassi e piatti, la macelleria dello zio, il nonno che suonava il violino sul tetto, le capre in cortile, la luna a metà. Tutti elementi che, ciclicamente o costantemente, orbitano attorno all’immaginario del pittore. Quel che c’era erano i lubki, immagini dal carattere fortemente descrittivo e informativo da cui Chagall prende spunto per assorbire la cultura Russa. Quel che c’era era il teatro, per cui l’artista dipinse scenografie e personaggi – in particolare per il Teatro ebraico di Stato Granovskij, a Mosca. Quel che c’era era la religione, onnipresente nella vita di un ebreo e testimoniata dai riferimenti alla tradizione delle icone.

Quel che non c’era erano, invece, i fiori.

Io aprivo soltanto la finestra della stanza e l’aria azzurra, l’amore e i fiori entravano con lei.

Marc Chagall, La slitta nella neve, 1944, Parigi, collezione privata © Chagall ®by SIAE 2020

La prima persona a donargli dei fiori fu Bella, che poi diventerà sua moglie. I fiori, spesso raggruppati in folti mazzi, si presentano spesso nelle sue opere come simbolo di amore, dolcezza e leggerezza. La loro semplice e naturale e inevitabile bellezza aveva sul pittore un effetto esaltante. Ispiravano lui la lieve melodia del sentimento, liberavano un profumo inebriante capace di coinvolgere ogni elemento del quadro in un sognante fluttuare. Significativa in tal senso la presenza de La passeggiata, iconica opera dove lui e Bella galleggiano in un mondo dove cielo e terra sono riferimenti del tutto ininfluenti.

Quel che c’era e non c’era erano i simboli. Arbitrari e relativi, questi mutano a seconda dei paesi e della cultura a esso riferita. Risulta interessante in tal senso il ricorrere ambiguo del gallo nell’opera di Chagall. Infatti, se nella cultura russa il gallo celebra l’alba e l’arrivo di un nuovo giorno – diventando emblema di arditezza e virilità – nella cultura ebraica l’animale rappresenta invece la vittima sacrificale, che il rabbino uccide per liberare la comunità dal peccato. Svolazzante in un angolo, trascinato da una slitta, grande come un cavallo e colorato come un pavone. Il gallo è indubbiamente un topos nelle opere del pittore, che sull’ambiguità dei simboli ha costruito un’intera poetica.

Marc Chagall, La pendola dall’ala blu, 1949, Parigi, collezione privata © Chagall ®by SIAE 2020

Pensiamo anche alla capra, docile animale da cortile che a un tratto si tinge di rosso sangue per farsi carico della sofferenza del pittore. Pittore che in un autoritratto si vede come l’essere più stupido del mondo, raffigurandosi nelle sembianze dell’asino. E ancora la pendola, arredo costante nelle abitazioni russe, che dopo la morte di Bella segnerà sempre e solo le 10.10, momento della sua scomparsa. Elemento intimo e domestico che si fa universale simbolo di angoscia e turbamento, come scandisse nella sua immobilità l’arrivo di un momento in cui la sofferenza dovrebbe soffocare lo spirito vitale. Sempre che il silenzio, complice una surreale nevicata improvvisa, non avesse già spento le speranze del mondo.

Dall’esposizione – immersa in una penombra da dove emergono solo le opere, come si trattasse delle uniche immagini nitide ricavate da un sogno agitato – emerge chiaramente tutta la nostalgia di Chagall per un mondo che non esiste più, ma in cui lui fortemente si identifica. Un animo fratturato, teso fra la Russia, la Francia e gli Stati Uniti. Forse un apolide che ritrovava se stesso solo nei ricordi e nei sogni che, magicamente e senza preavviso, gli davano accesso a quel paese dove niente esiste ma tutto, per sempre, può ricondurci alla felicità.

Anche la mia Russia mi amerà, Palazzo Roverella di Rovigo. Foto Artslife
Anche la mia Russia mi amerà, Palazzo Roverella di Rovigo. Foto Artslife
Anche la mia Russia mi amerà, Palazzo Roverella di Rovigo. Foto Artslife
Marc Chagall, Lo Specchio (dettaglio). Foto Artslife
Marc Chagall, La passeggiata, 1917-18, San Pietroburgo, Museo Statale Russo © Chagall ®by SIAE 2020

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