Il Concerto in si maggiore op. 61 di Edward Elgar, ambizioso lavoro, ardente e appassionato, sta per fortuna cominciando a ritagliarsi lo spazio che merita all’interno del repertorio concertistico odierno. Ed infatti è stato scelto per il concerto sinfonico di venerdì 16 ottobre al Teatro Carlo Felice in collaborazione con il Paganini Genova Festival, che ha visto sul podio il direttore d’orchestra Andrea Battistoni, assieme al giovane violinista Kevin Zhu.
Il compositore inglese Elgar nonostante una discreta conoscenza del violino, per sistemare tecnicamente la parte solistica, dovette avvalersi dell’aiuto di W. H. Reed, futuro primo violino della London Symphony Orchestra. Questa composizione è indubbiamente una splendida partitura di ispirazione tardo-romantica (nonostante sia stata composta tra il 1909 e il 1910), in cui l’orchestra partecipa da co-protagonista col violino al discorso musicale.
Solo all’entrata del solista viene stabilita la tonalità d’impianto e poi il movimento procede serrato ed estroverso fino alla sua conclusione, con il violino che alterna arpeggi e rapide scalette ad oasi espressive più tenere e sognanti. Il nobile Andante, nella imprevedibile tonalità lontana di si bemolle maggiore, si alimenta della molteplice alternanza di due soggetti tematici, il primo in ritmo anapestico e di andamento quasi processionale, il secondo più lirico e sfociante in una frase appassionata ripresa anche dall’intera orchestra. Il violino varia le frasi musicali infiorettando volatine, ma sa anche cantare poeticamente, cosa che ha fatto egregiamente il diciannovenne cinese, vincitore del Premio Paganini 2018.
Forse quello che possiamo rimproverare alla cavata di Kevin Zhu è di non essere riuscita, malgrado la superba tecnica internazionalmente riconosciuta, ad uscire fuori con vigore dall’orchestra genovese che sotto la bacchetta di Battistoni ha un’energia fantastica.
Zhu ha senz’altro entusiasmato maggiormente il pubblico nell’esecuzione del bis, che ha dedicato alla città di Genova: il 24° Capriccio di Paganini.
La seconda parte della serata era occupata dalla Sinfonia n. 2 in Do maggiore op. 61 di Robert Schumann, composta tra il 1845 e il 1846, uno dei vertici del sinfonismo romantico. Un gioiello di malinconia, più ancora, di male di vivere, di profonda disperazione che è diventata musica, sgorgato dalla penna di un grande compositore, in cui il pezzo forte è il terzo movimento, l’Adagio espressivo. Dentro questa meditazione musicale sulla malinconia, c’è un canto di oboe “stupefacente”, che affascina e rappresenta bene quel periodo di profonda depressione in cui piano piano stava cadendo il compositore.
L’orchestra del Carlo Felice ancora una volta si è dimostrata all’altezza di quanto richiesto dalla partitura e dal Maestro Battistoni, deus ex machina di grande talento.