Lasciami andare: una storia di fantasmi ambientata a Venezia, con Valeria Golino e Maya Sansa. Su carta la ricetta per un film perfetto
Lasciami andare, film di chiusura di Venezia 77 (fuori Concorso), aveva tutte le carte in regola per lasciare il segno, invece – a conti fatti – finisce direttamente nel cestone dell’umido dei film dimenticabili. Stefano Mordini, una volta ritenuto autore di un certo interesse per pellicole come Paz ’77, Provincia Meccanica e Acciaio, adatta per il grande schermo un romanzo di Christopher Coake (Sei tornato), ma il risultato non convince.
Al centro della storia una coppia (Stefano Accorsi e Maya Sansa) che lotta ogni giorno per sopravvivere a un lutto: il figlioletto è morto in un incidente domestico. Qualche anno dopo il tragico evento una donna (Valeria Golino) si presenta da loro: in quella che era la loro casa, venduta dopo la morte del bambino, si è manifestata una presenza. Inizia un viaggio sentimentale nelle contraddizioni del dolore, della speranza e del perdono. Su tutto però incombe il sospetto di un intrigo.
Lasciami andare ha un grande pregio: mostra la Venezia della gente che abita a Venezia, brulicante di vita e quotidianità, lontano dalle cartoline stereotipate dei film hollywoodiani. Purtroppo non basta questa visione – onesta e sincera – a tenere insieme una storia piena di buone intenzioni, ma dai risvolti risibili e dai risultati dimenticambili.
In questo adattamento non funzionano i dialoghi, che suonano vuoti e assurdi, non funzionano gli attori, che sembrano spesso fuori parte (si salva solo Valeria Golino, ma lei – lo sappiamo – gioca in un campionato a parte), non funziona il finale che suona prevedibile e non raggiunge la profondità a cui sembrerebbe ambire. Il film si muove sulla superficie dei sentimenti, li corteggia, li accarezza e poi li lascia andare, senza afferrarli mai.
La regia è sobria, e non cede al sensazionalismo del dolore, ma manca di intuizione nell’assemblare la vicenda. Lasciami andare si muove in sospeso tra noir e ghost story, senza riuscere a trovare il giusto equilibrio, il giusto tono: passa dalla teologia orientale alla fisica quantistica, dal dramma famigliare all’intrigo misterioso, senza riuscere a toccare realmente nessun corda.