Oggi al Motel più indisciplinato del web abbiamo ospite Luca Beatrice. Non credo servano troppe presentazioni, in effetti state leggendo un articolo su una rivista specializzata quindi darei per scontato che lo conoscete già, per forza. E se non lo conoscete, intanto è colpa vostra, in secondo luogo vi perdete qualcosa. Luca ha sempre una visione innovativa, intelligente, lucida, dell’arte e non solo. Gli piace provocare e fare casino, quindi alle volte è giustamente incondivisibile.
Il suo curriculum è molto nutrito, ma forse il gesto che preferisco citare è la direzione del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia del 2009. Ricordo molto bene la sua felicità e la sua emozione, e pure quei bei quadroni di Sandro Chia dove un omone veniva sculacciato dalla sua signora. Ho avuto il piacere di intervistarlo molte volte, ma questa ultima forse mi è piaciuta di più, perché più intima, un po’ più vera e meno comunicato stampa. Spero vi piaccia e spero farete la cortesia di andare a leggere il suo ultimo libro “Da che arte stai” (Rizzoli), che come sempre merita perché lui è bravo a raccontare qualsiasi cosa. Peccato per la Juventus, alla fine nessuno è perfetto. Lo sanno tutti che a Torino si tifa granata…
Ciao Luca, è un piacere e un onore averti ospite al mio Motel… Ricordo che quando avevo appena iniziato la mia vita nell’arte, nel 2005, mi è capitato di intervistarti diverse volte, fare qualche viaggio insieme, e ho sempre avuto l’impressione che il tuo sguardo critico fosse estremamente acuto, puntuale. Non solo sull’arte, sulla vita in generale, sulla musica ad esempio (di cui sei grande appassionato, oltre che di moto). Eppure molte cose del contemporaneo all’epoca non mi tornavano, i miei studi appena conclusi (in filosofia della scienza) non mi erano di aiuto. Mi è capitato spesso di sentirmi come Alberto Sordi nelle Vacanze Intelligenti alla Biennale. Ebbene, questo tuo ultimo libro dovrebbe venire incontro a quelli che si trovano spaesati in questa maniera, che ne pensi?
Ciao Giacomo, grazie sia per l’invito che per riconoscermi uno sguardo critico “acuto”. Se di questo si tratta, ha a che fare con l’aver considerato l’arte certo come la mia professione ma tutto sommato relativa: importante si, ma non la sola. La musica, la moto e soprattutto il calcio. Il tifo è una cosa seria, tu lo sai bene. Essere juventini, una fede assoluta.
Veniamo alla domanda. Lo sketch di Alberto Sordi è stato molto citato, soprattutto da Vittorio Sgarbi e ogniqualvolta ci si trova di fronte alla solita questione: “ma l’arte contemporanea non si capisce”. Personalmente lo trovo un po’ qualunquista. Se per questo io non capisco il codice civile, un trattato di medicina e neppure il manuale di istruzioni per la tv. Per saperne di più chiamo l’avvocato, il chirurgo o l’antennista e non vedo per quale motivo sull’arte e sulla cultura le opinioni possano viaggiare libere, senza controllo né scientificità. “Da che arte stai?”, che si intitola come un fortunato saggio di dieci anni fa nel segno della continuità (magari saranno una serie di episodi, chissà) non è destinato a un pubblico specifico: ci stanno dentro gli studenti e gli insegnanti, i curiosi e gli appassionati. Il linguaggio certo è scorrevole, come sempre peraltro, insomma chi avrà la bontà di leggerlo riconoscerà un certo stile familiare.
Raccogliere tutto il secolo breve e raccontarlo comporta gioco forza dei bruschi tagli. Qualcosa va lasciato indietro. Eppure ricordo che una volta Marco Voena, il gallerista, mi ha detto che i grandi maestri, quelli veramente enormi che hanno cambiato le regole del gioco, si contano sulle dita di una mano… Lo pensi anche tu?
Per certi versi ha ragione Marco Voena, eppure il ‘900 è stato secolo di movimenti, manifesti, gruppi, rapporto tra conservazione e innovazione, avanguardia e tradizione, il secolo delle tecnologie e delle guerre, della comunicazione e delle dittature, della separazione e del mondo globale. Probabilmente stiamo parlando del periodo più fertile nella storia dell’arte e della cultura, io adoro il XX secolo, mi ci sento proprio immerso e quindi d’accordo sui grandi maestri ma quel che mi interessa soprattutto è coglierne i fermenti a 360 gradi.
Hai appena compiuto 60 anni, ma sembra che il tempo per te sia un qualcosa che conta fino a un certo punto. Hai una famiglia numerosa e il tuo ultimo bambino è più piccolo del mio. Come hai fatto a mantenerti “contemporaneo”?
Attenzione. Il mio compleanno sarà il 4 aprile. Vorrei organizzare una grande festa ma immagino non mi verrà permessa né posso pensare di agire clandestinamente anche se ne ho una gran voglia anche solo per spirito di disubbidienza. Proprio quest’ultimo forse mi mantiene se non contemporaneo almeno vivente. Altri fattori sono la scuola, il rapporto pressoché quotidiano con gli studenti tra Accademia, IAAD e IULM, che per me resta il lavoro più importante e socialmente utile. E poi la paternità, certo. Tra Giulia, 24 anni, laurea magistrale in Storia dell’Arte, già lavora, è attivissima, e Giovanni, 2 anni, adorabile bambino che talvolta non riesco a gestire proprio fisicamente, c’è di mezzo più di una generazione, come tra Gigi Buffon e il ragazzino Nicolò Fagioli nella Juventus di oggi. In mezzo, appunto, ci metto Stella, 20 anni, studentessa IULM e Niccolò, 15, sfaticato al Liceo Scientifico in odore di bocciatura nonostante il Covid. Fare il padre è meraviglioso, anzi tu che sei un giovane aitante riproduciti ancora. Chi fa figli oggi è un patriota, io lo sento come un dovere morale quello di dare un futuro alla Nazione.
Nel tuo libro c’è tutto per comprendere cosa è successo nell’arte del ‘900, mentre oggi le cose stanno cambiando velocemente. Intelligenze artificiali, arte digitale, crypto arte che viene venduta per centinaia di migliaia di dollari su portali in cui si paga solo in moneta digitale. Credi che il futuro dell’arte sarà immateriale?
Non credo proprio, ma mi interessano molto le tante parole che ascolto ad esempio su Club House dove ho imparato termini che neppure conoscevo, ed è tutto davvero molto affascinante però manca un punto: d’accordo il mezzo, il sistema, la piattaforma, per citare la filosofia di Michel Foucault il cosiddetto dispositivo (dai così faccio il figo), però nessuno mi dice niente sul cosa, sulla qualità e la necessità dell’oggetto. Come se un tempo tutte le opere fossero state olio su tela, d’accordo ma poi c’è Caravaggio e Astolfo Petrazzi stessa epoca storica, stesso stile, stessa iconografia ma uno è un gigante l’altro un comprimario. Allora sento chi mi spiega come funzionano i meccanismi, io ne sono davvero affascinato però poi guardo l’oggetto dell’artista supersocial o della cryptoarte e mi accorgo che il più delle volte propone una litografia del cazzo, cioè tutto ‘sto sforzo per così poco…
Di tutti gli artisti con cui hai lavorato, che hai conosciuto, hai qualche ricordo speciale, qualcuno che per te è stato centrale, che ti ha formato o cambiato?
Nel mio prossimo libro vorrei raccontare, alla maniera vasariana (non prendermi per pazzo) cento ritratti di cento persone che ho incontrato in oltre trent’anni di lavoro. Non so disegnare ma so scrivere dunque userò quel linguaggio. Per rispondere direttamente, ho avuto la fortuna di incontrare persone davvero straordinarie. Da ragazzo invidiavo Umberto Allemandi perché riceveva cataloghi e libri bellissimi e pensavo che sarei voluto diventare come lui. Enrico Crispolti, mio docente all’Università di Siena, mi ha davvero cambiato la vita, non lo avessi incontrato forse non sarei qui oggi con te a raccontarti queste storie. Con Cristiana Perrella, mia prima moglie e mamma di Giulia, abbiamo diviso gli anni più belli e con il senno del poi peccato non aver avuto più pazienza l’uno dell’altro. Se invece ti devo dire il nome di persone che su di me hanno sempre esercitato un fascino particolare, senz’altro Salvo (che purtroppo non c’è più), Gian Enzo Sperone e Oliviero Toscani.
Finiamo con un consiglio, un auspicio per le nuove generazioni. La prima volta che ti ho conosciuto ti ho chiesto se lavorassi per qualcuno, e tu mi hai risposto: “Mai. Sono e sarò sempre un battitore libero”. Credi ci sia spazio per fare come hai fatto tu, per le nuove leve a cui insegni?
Certo e sempre di più. In questo nuovo mondo ci sarà più spazio per l’inventiva, la fantasia, la creatività. Però bisogna studiare, osare, rischiare. Quando un ragazzo mi dice che vorrebbe fare il curatore in un museo cerco di spingerlo intanto ad agire immediatamente, mettersi in gioco, inventare forme ed espressioni. Se uno ha talento non finisce in un ufficio a mandare mail in conto terzi. E poi, come sosteneva il filosofo Checco Zalone, il posto fisso non esiste più.