Di progetti ne è pieno il mondo. Ma di progetti validi e che abbiano veramente qualcosa da dire ce ne sono veramente pochi. Tra i pochi, nel mare magnum di proposte sulla digitalizzazione di contenuti ed esperienze in era pandemica, annoveriamo l’intervento dell’artista franco-algerino Neil Beloufa, “Digital Mourning” – “Lutto Digitale” – ospitato negli immensi spazi dell’Hangar Bicocca a Milano (fino al 18 luglio). Classe 1985, l’artista, attualmente, vive e lavora a Parigi. Ha trascorso la maggior parte dell’ultimo decennio a pensare a cosa è in gioco quando ci si relaziona con la realtà e quali variabili concorrano nella rappresentazione della stessa. La sua ricerca abbraccia e coniuga video e sculture, realizzando installazioni complesse che cercano di esplorare ed indagare il suo interesse nel discernere ciò che esiste realmente nella realtà e ciò che è frutto di una interpretazione soggettiva; un argomento che esplora senza giudizio morale, cinismo culturale o qualsiasi tipo di ironia ma, a volte, anche con un velo di umorismo.
Inaugurata lo scorso febbraio e in programma fino al 18 luglio di quest’anno, la mostra è rimasta aperta per pochi giorni prima che gli spazi richiudessero nuovamente a cause delle restrizioni. I pochi fortunati che, per ora, sono riusciti a vederla, sono stati immersi – e la parola immersi è chiave nella comprensione della ricerca dell’artista – in una sorta di parco divertimenti sui generis, composto da video e sculture digitali, dove la dimensione puramente ludica del percorso proposto si intreccia ad una riflessione profonda, dai risvolti amari, sulle conseguenze e implicazioni della digitalizzazione. Già Orwell, nel suo 1984, con il personaggio del “Big Brother” – Grande Fratello, appunto – tentava di comunicarci il disagio della possibilità di essere controllati e tracciati costantemente, proprio in virtù del rapporto, ormai necessario, che intratteniamo con le nuove tecnologie. Quelle stesse tecnologie che oltre ad osservarci, possono manipolarci, sostituirci, ingannarci e più di tutto, spersonalizzarci. E’ proprio questa la realtà, quasi inquietante, che paventa l’artista con la sua esposizione, provocatoria a tratti, certamente degna di riflessione: la vita di ogni essere umano è veramente destinata ad essere plasmata non più dal libero arbitrio, dalla libertà individuale ma da quella standardizzata di un algoritmo?
O, invece, ad un tratto ci risveglieremo da questo sonno, elaboreremo il nostro “lutto digitale” appunto, ribellandoci contro -e una nuova citazione ad Orwell è d’obbligo – “la menzogna”, -propinataci dal potere della tecnologia, – “che diventa realtà e passa alla storia”?
E se fino a qualche anno fa questa era una domanda, che percepivamo distante dalla nostra sensibilità, un qualcosa di “altro” e lontano rispetto a noi, quello che, senza ombra di dubbio, la pandemia ci ha portato a riconsiderare è la seria possibilità che l’opzione di essere solo dei prodotti di una qualche intelligenza artificiale, si manifesti concretamente nel reale, nel quotidiano e che sia da considerare perché, molto prima che ne siamo consapevoli, potrebbe già essere entrata a pieno regime nelle nostre vite.
D’altro canto, le pratiche di preparazione delle installazioni artistiche hanno subito profonde trasformazioni negli ultimi 100 anni, mostrando sempre maggiore spinta inclusiva degli spettatori, ormai considerati anche come co-partecipanti all’opera stessa. Ne costituisce un chiaro esempio tutto italiano l’installazione immersiva in Realtà Virtuale (RV) di Alejandro G. Iñárritu “CARNE y ARENA” ospitata in passato presso gli spazi di Fondazione Prada.
Il percorso di Beloufa, che indaga i risvolti negativi della tecnologia ma si serve della stessa tecnologia per prendere forma, ci trascina irrimediabilmente in una riflessione controversa: da un lato l’amarezza del potere incontrollato delle macchine ma, dall’altro lato, tutto il fascino e le potenzialità di un mondo sempre più digitalizzato. Potenzialità, sviluppate massimamente dall’artista, in un intervento online inserito all’interno del progetto e in aggiunta allo stesso (potete trovarlo qui: http://screen-talk.com/pirellihangarbicocca/fakemob.php) in cui lo spettatore, tramite un sito interattivo, si ritrova in un videogioco ed “è guidato da una successione non lineare di eventi, che ogni volta si genera grazie alla risoluzione di quiz che sblocca i successivi livelli e permette l’accesso ai diversi episodi della mini-serie di Screen Talk.” Una piccola esperienza che anticipa ma non si propone di sostituire quella dal vivo. Perché, l’esperienza estetica, si avvale, per la sua massima riuscita, di alcuni piccoli e quasi impercettibili particolari, dettagli, energie, che solo un’esperienza fruibile dal vivo può restituire allo spettatore. Quindi, aspettiamo con impazienza, la fine dell’emergenza e la riapertura dei musei. E, nell’attesa, ci godiamo, sempre con la giusta dose di occhio critico, tutte le esperienze virtuali possibili.