Chi era Eduarda Emilia Maino? Chi era Dadamaino?
Milanese, attivista politica, stacanovista, sperimentatrice. Recentemente tornata alla ribalta per il processo conclusosi positivamente quest’estate: il fatto non sussiste, tutti assolti, quei Volumi, accusati di essere dei falsi, sono autentici.
Sfortunatamente dei suoi esordi si conosce ben poco, esigue sono le tracce. Siamo nella Milano degli anni Cinquanta e sempre più donne artiste si stanno affermando. Tra loro c’è Eduarda Emilia Maino (1930 – 2004), che, in un giorno come tanti, dal tram in transito tra piazza Cordusio e via Broletto vedrà, esposto in un negozio di elettrodomestici, un quadro di Lucio Fontana, Concetto spaziale blu e viola con lustrini. É il racconto suggestivo di una folgorazione improvvisa che Dadamaino narra ogni volta che gli intervistatori le chiedono come si è approcciata all’arte.
Inizia ad esporre i suoi quadri in diverse mostre e a frequentare il vitale Bar Giamaica, qui incontra Piero Manzoni. Dadamaino è infatti indissolubilmente legata a questo artista milanese, in particolare a una sua opera, tanto celebre quanto criticata, Merda d’artista. Egli scriverà alla sua «cara Dada» quanto «purtroppo la “merda” ha sempre più successo nel mondo»: presumibilmente il dispiacere è legato al fraintendimento del suo messaggio. Numerosi miti aleggiano intorno a quest’opera, alcune voci sostengono che Manzoni abbia prodotto e sperimentato il misterioso contenuto proprio nella cantina di casa dei genitori di Dadamaino. Leggenda opinabile, in primis per la scomodità.
Questi primi, fortuiti e casuali incontri porteranno la giovane artista ad abbandonare i fiori della madre per l’arte contemporanea, un’arte di idee, non solo di tecnica, che le permetterà di dare concretezza ai concetti astratti di spazio e tempo. Senza Fontana non avrebbe mai realizzato i Volumi: Dadamaino, inferendo dei tagli in grandi tele monocromatiche, creò spazi in grado di esprimere il suo desiderio di cesura col passato e la volontà di intraprendere nuovi sconosciuti percorsi, non solo. Questi “buchi”, con l’andare del tempo sempre più precisi, conferiscono consistenza al vuoto e al nulla. Invece di aggiungere, Dadamaino toglie: senza la tela è possibile guardare il telaio e i giochi di luci-ombre sul muro retrostante.
La sua attività artistica è in continuo divenire, la sperimentazione la porterà all’optical e alla cromatologia. In questi anni di grande fermento, la sua non è una pittura femminista, poiché libera dal confronto uomo-donna: «non posso ignorare il fatto di essere donna perché irreversibilmente lo sono». In più interviste sottolineò come il sesso della persona che impugna la matita, il pennello, la riga o ogni altro genere di strumento, non sia importante, ciò che veramente conta è la qualità del lavoro.
Dadamaino da ragazza conobbe gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, le stesse emozioni di allora, rabbia e impotenza, ricomparvero in seguito durante la guerra civile libanese. Nonostante il Libano fosse riuscito a mantenersi ai margini del conflitto arabo-israeliano, non ne venne risparmiato: il delicato equilibrio esistente tra le diverse confessioni professate saltò. Gli scontri civili furono caratterizzati da attentati e massacri ai danni della popolazione civile, quello del 12 agosto 1976 colpì il campo di rifugiati palestinesi di Tel el Zaatar, a est di Beirut. Questa azione colpì profondamente Dadamaino che realizzò le opere Lettera a Tel el Zaatar e H muta scritta sulla sabbia, dalle quali scaturirono l’Alfabeto della mente e I fatti della vita.
«Quando si compì la sorte del villaggio palestinese, il 12 agosto, andai su una spiaggia deserta e dopo aver guardato il mare, anche lui insensibile e preso dal suo movimento, cercai un bastone e cominciai a tracciare lo stesso segno delle “lettere” sulla sabbia, per tutto il giorno. Smisi quando fui stremata. Avevo riempito la spiaggia di segni che, me ne resi conto allora, formavano un’acca, che nella mia lingua è la lettera muta. Una protesta scritta sulla sabbia, quanto di più labile vi sia»
– Dadamaino, Scritto sulla sabbia (2 agosto 1977)
Libera da tutto ciò che l’aveva precedentemente condizionata, dagli strumenti alle regole, Dadamaino fece un impotente atto di protesta: tracciò ossessivamente dei segni su tutto ciò che aveva a disposizione, fogli, tele e spiagge deserte. Le “lettere” che scriveva derivavano dal suo inconscio e costituivano il suo personale linguaggio, non lo aveva cercato, era nato spontaneamente per esprimere ciò che le parole non possono o non sono in grado di dire. Dal tratto, dalla pressione, dal movimento possiamo decifrare quali erano le sue emozioni: le sue opere sono la sua voce.
La sua arte però non si ferma qui, prosegue: negli anni Ottanta si dedica alle Costellazioni, poi al Movimento delle cose e a Sein und Zeit, continuo ed evoluzione delle prime.
Lavorò finché poté: un giorno senza lavoro era un giorno perso.
Bibliografia
- Materiale testuale e fotografico fornito dall’ARCHIVIO DADAMAINO:
Lettera manoscritta priva di data di Piero Manzoni.
Dattiloscritto di Dadamaino, Scritto sulla sabbia, 2 agosto 1977.
- Weller, Dadamaino: una donna a Venezia, in “Noi Donne”, n. 36, 12 settembre 1980, pp. 55.
Pieghevole della mostra Dadamaino. Dall’inconscio razionale all’Alfabeto della mente tenutasi al Salone dell’Annunciata di Milano dal 1 al 31 dicembre del 1977.
Materia Niente, Venezia, Fondazione Bevilacqua La Masa, 2001.
- Bonami, Lo potevo fare anch’io, Milano, Mondadori Libri S.p.A., 2015
- Sabbatucci – V. Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, Roma-Bari, Gius. Laterza & Figli Spa, 2017.