Riaprono i cinema. Minari di Lee Isaac Chung il primo film a uscire in sala subito dopo gli Oscar
Minari sembra essere stato designato come uno dei titoli simbolo della riapertura delle sale. Dal 26 aprile, il giorno dopo gli Oscar (dove è in gara tra i favoriti), il film esce infatti al cinema. In quante e quali sale non è dato saperlo: le misure del Governo non sembrano ancora chiarissime, l’impatto della tanto attesa Zona Gialla nemmeno, quanto gli esercenti siano realmente pronti a riaprire tanto meno. Per sopperire a quella che si prospetta essere una distribuzione quanto meno peregrina, Minari arriverà anche su Sky Cinema Due, da mercoledì 5 maggio (21:15 in prima assoluta), per poi arrivare anche in streaming su NowTV.
La pellicola di Lee Isaac Chung ha già vinto il Golden Globe come Miglior film in lingua straniera, il Gran Premio della giuria e il Premio del pubblico al Sundance, e Yuh-Jung Youn ha conquistato il Bafta come miglior attrice non protagonista. Minari arriva quindi agli Oscar 2021 già con un curriculum molto forte, pronto a contendersi i riconoscimenti nelle categorie più importanti con 6 candidature: Miglior film, Miglior regia, Miglior sceneggiatura originale, Miglior attore protagonista, Migliore attrice non protagonista e Miglior colonna sonora. Difficilmente resterà a bocca asciutta. Tra gli altri titoli da Oscar che saranno distribuiti in sala ci sono anche Un altro giro e Una donna promettente, per ora senza ancora una data sicura. Il super favorito Nomadland invece esce invece direttamente in streaming su Disney+ il 30 aprile.
Minari è il quarto lungometraggio scritto e diretto da Lee Isaac Chung, quello più personale, autobiografico. Figlio di immigranti dalla Corea del Sud, cresciuto in Arkansas, il regista ha iniziato a mettere a fuoco l’idea del film spinto dalla voglia di raccontare alla figlia le sue origini e la sua storia, le difficoltà affrontate dai suoi genitori per arrivare negli Stati Uniti e il significato di famiglia.
Stati Uniti, anni ’80: Jacob, da poco arrivato dalla Corea, porta la sua famiglia in Arkansas, deciso a diventare un agricoltore. Il suo sogno è diventare indipendente coltivando e vendendo prodotti tipici coreani, in previsione della crescente domanda di frutta e verdura di origine asiatiche. Jacob vede l’Arkansas come una terra ricca di opportunità, ma il resto della sua famiglia è accoglie bene questo trasferimento in un fazzoletto di terra nell’isolata regione dell’Ozark. In suo aiuto dalla Corea arriva sua madre, Soonja, che si rilela una nonna furba e dispettosa: prende così forma una storia intima, toccante e agrodolce.
Il film racconta una storia fatta di grandi sogni, speranze e rinunce. È uno spaccato di vita sincero, nelle intenzioni, ma – al di là dei momenti più genuinamente teneri – sembra cadere in una zona grigia proprio laddove dovrebbe trovare la sua forza, nell’incontro tra due culture tanto distanti come quella coreana e quella americana.
Sul piano cinematografico questo matrimonio (benedetto da Brad Pitt che produce e da A24 che distribuisce) risulta inaspettatamente poco felice, poco vitale: di questi due mondi Minari fa proprie le sfumature più ovvie, quelle meno interessanti: il ritmo placido del cinema asiatico (uno stereotipo? Un cliché? Un topos?) e una sceneggiatura che indugia su meccanismi ricattatori, come piace a una buona fetta del cinema americano (immediato, semplice, elementare). Ne risulta un film che è un perfetto esempio di compromesso senza slanci, un ibrido senza brio, di buona fattura, godibile, ma senza magnetismo, dove tutte le istanze più complesse e sfaccettate del cinema coreano sono normate in favore di un dramma famigliare addomesticato in favore del pubblico occidentale. Certo, commuove; in questa annata funesta possiamo accontentarci così? Pare di sì.