Satoshi Kon, in libreria una monografia per conoscere il cinema del regista giapponese, visionario, eccentrico e poetico
«Il cinema non insegna niente, non cambia niente, né in bene né in male. La gente non va al cinema per farsi insegnare qualcosa […] e se ci trova invece qualcuno che, per forza, gli vuole insegnare qualcosa, sta al gioco, si ribella e si vendica nel solo modo che ha a sua disposizione: non impara, respinge la lezione, l’affoga in uno sbadiglio», lo diceva Alfred Hitchcock e può essere utile tenerlo presente ancora oggi per capire quello che guardiamo quando siamo di fronte a un prodotto audiovisivo. Quello di Satoshi Kon è un cinema fatto di suggestioni, di suggerimenti, di misteri, il punto di vista è sempre eccentrico, esterno e interno allo stesso tempo, duplice e dislocato, è un cinema di scatole cinesi e – tenendo a mente il punto di vista hitchockiano – è un cinema privo di insegnamenti ma ricco di lezioni.
Prima di arrivare al cinema d’animazione, diventando uno dei registi più importanti della cinematografia giapponese contemporanea, Satoshi Kon è passato dal mondo dei manga, notato da Katsuhiro Ōtomo (Akira, Steamboy) diventa suo assistente e prende parte alla lavorazione di Akira, poi avvia una sua carriera “solista”. Un periodo di formazione che si chiude nel 1990 con la pubblicazione del manga La stirpe della sirena, un racconto ecologista e malinconico. Si apre quindi per lui un periodo intermedio: grazie a Ōtomo passa dal fumetto al cinema, quello che è stato il suo maestro lo coinvolge difatti nella scrittura di World Apartment Horror (1991), film dal vivo diretto dallo stesso Ōtomo da cui sarà tratto anche un manga. Arriva poi una collaborazione con Mamoru Oshii (Ghost in the Shell, The Sky Crawlers), ma Kon ormai è un autore troppo maturo e le personalità dei due sono troppo ingombranti per coesistere fianco a fianco, ne nasce un manga destinato a rimanere incompiuto, Seraphim 266613336Wings.
Per Satoshi Kon è tempo di “mettersi in proprio” e nel 1997 esordisce come regista con un film che ha fatto storia, Perfect Blue. Tratto dall’omonimo romanzo di Yoshikazu Takeuchi (1991), Perfect Blue avrebbe doveva essere un film dal vivo, lo studio di produzione però va a fuoco e la lavorazione si interrompe bruscamente. A budget ridimensionato si decide di realizzare un film animato, viene contattato Kon che accetta solo alla condizione di poter riscrivere la sceneggiatura da capo. Senza nemmeno leggere il romanzo, Satoshi Kon si mette così al lavoro sul suo primo lungometraggio, riesce a ottenere pieno controllo e la sua poetica si riversa sullo schermo in maniera fragorosa: la forza caotica della creazione, il confine ambiguo tra reale e fittizio, tra sogno e ossessione, tra dimensioni fattuali e dimensioni virtuali. Paranoia e confusione, apparire e essere, in Perfect Blue l’autore intercetta in maniera precisa le turbe degli anni ‘90, quelle di una nazione in crisi identitaria, lanciata verso la virtualità del futuro è un’identità che tenta in maniera disordinata di restare a galla dopo il boom degli anni ‘80. Il film diventa subitoun cult, pubblico e critica non possono ignorare la forza e la novità che Kon ha portato nel mondo dell’animazione. Non è certo il primo a rivolgersi a un pubblico adulto, ma è quello che riesce a farlo in maniera più complessa, stratificata e compiuta, innovando i temi e i linguaggi. Perfect blue è un neo noir onirico, il regista guarda alla lezione di De Palma, Hitchcock, Argento e Polanski, ma la supera proiettandosi in un mondo cinematografico personale e unico, poetico e visionario.
Segue Millennium Actress (2001), altro film capolavoro in cui l’autore ribalta il tono della narrazione ma non i temi, continua a indagare l’essenza teorica della sua poetica ma da una prospettiva che guarda all’ottimismo, passando così da un thriller oscuro a una rincorsa verso la luce in cui memoria e rappresentazione metacinematografica entrano l’una nella dimensione dell’altra: la storia rivive dentro altre storie, i ricordi e i sogni che si intrecciano prendono forma tangibile, i film e le realtà si influenzano tra loro.
Nel 2006 la consacrazione ufficiale: il suo quarto lungometraggio, Paprika, viene invitato in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Quell’anno vince il Leone d’Oro Still Life di Jia Zhangke, il film sorpresa del programma. Kon in Concorso si trova a fianco, tra gli altri (Cuarón, De Palma, Verhoeven), del suo ex maestro Katsuhiro Ōtomo che presenta al Lido Mushishi. Sono gli anni di Marco Müller, che porta a Venezia tanto Oriente (vecchio e nuovo), puntando moltissimo anche sull’animazione (quell’anno fuori Concorso sono stati presentati anche I racconti di Terramare di Gorō Miyazaki e Tachiguishi retsuden di Mamoru Oshii). Paprika può essere considerato la summa del lavoro di Satoshi Kon, la narrazione si fa ancora più stratificata, la struttura diventa ancora più complessa, realtà e finzione si sovrappongono senza soluzione di continuità. È una riflessione sulla natura dell’inconscio (sociale), di come oltre il tangibile esistano altri piani, onirici e/o telematici. Il virtuale diventa spazio per la liberazione dell’inconscio, del non detto, del perverso, diventa luogo fenomenico per la materializzazione della Cosa lacaniana.
Nel 2010 è al lavoro sul suo nuovo film, ma gli viene diagnosticato un tumore al pancreas allo stadio terminale, muore il 24 agosto.
A più di dieci anni dalla sua scomparsa Satoshi Kon resta un autore fondamentale per il panorama cinematografico, non solo quello animato: lavori come Perfect Blue e Paprika sono stati formativi anche per registi come Nolan e Aronofsky. Il volume a cura di Andrea Fontana e Enrico Azzano (in libreria con Mimesis) è l’aggiornamento della monografia uscita nel 2009, un anno prima della morte del regista. In questa edizione aggiornata, ampliata e rivista troviamo tutta una serie di materiali utili a capire a fondo il valore e la complessità del lavoro di questo autore.
La prima parte del libro analizza tutti i suoi film e l’unica serie tv realizzata (Paranoia Agent, la trovate su Prime Video), un capitolo è dedicato anche a Dreaming Machine, la sua opera incompiuta, per cercare di capire meglio di cosa si tratta. La seconda parte, dal titolo Approfondimenti, si focalizza sugli aspetti collaterali della sua opera, viene qui ripercorsa la sua carriera di mangaka, rivisti gli aspetti produttivi dei suoi lavori e analizzati aspetti quali montaggio e musica. La terza e ultima parte è quella dedicata alle Testimonianze, dove alcuni esperte del settore cinematografico offrono una prospettiva privata e professionale in relazione alle influenze dei film di Satoshi Kon.
Questo volume dedicato al mondo di Satoshi Kon offre uno sguardo omincomprensivo su tutto il corpus della sua opera, dagli esordi all’ultimo film incompiuto, con una pluralità di voci che analizzano in maniera capillare la complessità del suo contributo nel panorama del cinema contemporaneo. Un testo ricchissimo (350 pagine) che aiuta a fare il punto sull’importanta di un autore unico e (letteralmente) inimitabile, che ha lasciato una lezione importantissima, ma complessa da assimilare, sui modi della narrazione e del fare cinema (ovvero su come guardare e rappresentare quello che sta al di qua e al di là dello schermo).