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Soprintendenza unica nel Recovery Plan: un massacro? L’ultimo insulto al paesaggio?

Italia Nostra spiega come gli ingranaggi del Recovery Plan potrebbero fare strame della natura, della cultura, della storia e dell’identità del nostro Paese. La capillare diffusione delle “rinnovabili”, così come prevista, per la nostra Italia, spiegano, non è sostenibile: non è possibile spargere sul territorio nuovi impianti di estensione dieci volte maggiore di quanto già orrendamente impiantato negli ultimi quindici anni. Sarà un massacro e l’ultimo insulto al paesaggio.

Il colpo di grazia lo darà la prospettata Soprintendenza unica e la deroga a qualsiasi regola che disciplini l’uso corretto del territorio. Come insegna Antonio Cederna, “prioritaria è la salvaguardia dei beni culturali, paesistici e naturali. Tutto il resto viene dopo e qualunque ipotesi di cambiamento o di sviluppo va rigorosamente subordinata a questi valori”. La pianificazione paesaggistica si fa a monte e non a valle per adattarla alle deroghe, provvedendo chissà quando a disporre piani che si tramuteranno in veri e propri “catasti” delle trasformazioni oramai avvenute. Per oltre dieci anni il Ministero per i Beni Culturali è stato inattivo nei riguardi delle Regioni che non hanno provveduto ad approvare i Piani paesaggistici prescritti dal Codice, né adeguare quelli esistenti e nemmeno a redigere le linee guida per la pianificazione paesaggistica, previste dall’art. 145 del Codice.

Eppure l’art. 5 della legge 22 aprile 2021 n. 53, stabilisce che l’installazione di impianti a fonti rinnovabili per il raggiungimento degli obiettivi PNIEC, deve avvenire nel “rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualità dell’aria e dei corpi idrici, nonché delle specifiche competenze dei Ministeri per i beni e le attività culturali e per il turismo, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, privilegiando l’utilizzo di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, e aree non utilizzabili per altri scopi, compatibilmente con le caratteristiche e le disponibilità delle risorse rinnovabili, delle infrastrutture di rete e della domanda elettrica, nonché tenendo in considerazione la dislocazione della domanda, gli eventuali vincoli di rete e il potenziale di sviluppo della rete stessa”.

Dovranno essere, dunque, “rispettati i principi della minimizzazione degli impatti sull’ambiente, sul territorio e sul paesaggio ….” individuando le aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili, con un procedimento posto a carico delle Regioni da definirsi in un arco temporale di 6 mesi. Senza neanche questi minimi adempimenti quale futuro prospetta, oggi, il Ministero della Cultura per il paesaggio italiano? Quale impegno prevedono oggi il Governo Draghi e il Parlamento per assicurare la concreta applicazione dell’art. 9 della Costituzione?

A quando il giusto potenziamento delle strutture periferiche del Ministero e l’attivazione concreta della pianificazione paesaggistica, nella quale soltanto potrà individuarsi ogni possibile spazio per soddisfare i veri bisogni della Nazione, contemperati con il primario interesse della tutela? Italia Nostra dice no a questi superficiali meccanismi di semplificazione che restituiranno al mondo un Paese sempre più distrutto nel suo tessuto economico e sociale e violentato nel suo straordinario Paesaggio.

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