“You say to the boy open your eyes. When he opens his eyes and sees the light you make him cry out. Saying: O Blue come forth, O Blue arise, O Blue ascend, O Blue come in.”
Inizia con queste parole il film Blue (1993) di Derek Jarman in mostra, insieme a una selezione di suoi dipinti, alla David Zwirner Gallery di New York fino al 3 agosto.
Il lavoro, denso e stratificato, attinge alla letteratura come alla filosofia ma incorpora anche la vita personale dell’artista, con l’intento di porre importanti interrogativi sulla società contemporanea.
L’arte diventa la sua risposta a una diagnosi di HIV, diventa un mondo in cui rifugiarsi e confrontarsi con le complicazioni della malattia, un mezzo per non stare in silenzio e rappresentare una voce di spicco dell’attivismo contro l’AIDS.
Blue, presentato alla Biennale di Venezia nel 1993, viene realizzato dopo che un’infezione correlata alla malattia colpisce Jarman alla vista, rendendolo temporaneamente cieco e permettendogli di vedere solo abbaglianti luci blu. Sullo schermo, quindi, scorre un’unica immagine, completamente blu per settantacinque minuti. L’International Blue Klein ricopre ogni cosa, facendo da sfondo a una narrazione composta da musica, suoni e voci. Tilda Swinton, Nigel Terry, John Quentin e Jarman stesso raccontano la storia di Blue, che diviene personaggio e protagonista, insieme alla vita dell’artista, tra poesie ed estratti presi dai suoi diari. Non ci sono immagini, avrebbero solo ostacolato l’immaginazione e soffocato il vuoto. Resta un colore che permette a chi lo sta guardando di avvicinarsi alla condizione che Jarman sta vivendo e che rende il lavoro un esempio unico di utilizzo di una grave malattia all’interno di uno scopo artistico.
Blue racconta le esperienze e le complicazioni che il virus porta ad affrontare e chiede agli spettatori di immedesimarsi in quelle difficoltà passando attraverso il colore e il vuoto.
L’opera diventa l’occhio e la mente dell’artista e si erge a mezzo per cambiare la prospettiva.
Anche all’interno dei dipinti, così come nel film, non esistono immagini esplicite ma solo parole e colori, che invadono la tele per trasmettere esperienze personali e stralci di vita. I messaggi appaiono piano piano, emergendo dal colore della pennellata, affiorano in superficie senza mostrarsi con eccessiva forza.
Sono pezzi di libertà, un rifugio in cui trovare il tempo che forse non gli era rimasto al di fuori dell’arte.
Derek Jarman
David Zwirner Gallery
24 Giugno – 3 Agosto