Nello scarto tra il terrificante e il sublime si inserisce la produzione di Naomi Gilon (Arlon, 1996). Traendo ispirazione dalla cultura pop, dalla mitologia e dalla fantascienza, così come dal gore e dalla moda, la giovane artista belga intende la sua prassi come “ibridazione della realtà”. Passando da una pratica fatta di appropriazionismo, data dal tuning1, nel 2018 la produzione di Gilon subisce una svolta dirompente avvicinandosi alla ceramica, abbracciando una processualità dedita alla creazione manuale.
Vasi e portaoggetti con lunghe dita ossute, tacchi vertiginosi e borsette con unghie ritorte ci trasportano in un immaginario regolato da un’estetica mostruosa. Ma che cosa significa davvero questo termine ultimamente così inflazionato? Il filosofo e sociologo Luciano Nuzzo afferma che “il mostro rivela un carattere contingente e quindi arbitrario delle distinzioni sociali, politiche e culturali attraverso le quali si costituiscono le identità. Le mette in dubbio e le interroga sulla loro presunta naturalezza”.2 Ed è su questa scia che Gilon, attraverso la realizzazione di oggetti di uso quotidiano disturbanti e antropomorfi, riflette sulla società e sui mostri che questa genera, mettendo in scena ciò che spaventa di più gli essere umani: la loro stessa natura.
Due mani da strega afferrano possessivamente una borsa di un verde acido e giallo senape estremamente lucida: si tratta di Green bag (2021). Qui, un oggetto di uso comune – come la borsa – viene realizzato in ceramica, reso pesante e inutilizzabile perdendo ogni fine utile, diventa un artefatto inquietante. Le stesse dita, che sembrano prese in prestito dalla strega di Biancaneve, appaiono nell’opera Louboutin (2020). Si tratta di rivisitazione dell’iconica scarpa dalla suola rossa, dove la difficoltà di camminare sul tacco da capogiro dell’originale viene ampliata fino a diventare assoluta impossibilità, data sempre dal medium della ceramica. Tanto Green bag quanto Louboutin, sembrano richiamare la famosa serie di oggetti inutili The Uncomfortable dell’architetta Katerina Kamprani; in questo caso però, le opere di Gilon appaiono come le protagoniste di un mondo della moda appartenente a un universo parallelo e mostruoso, che per un caso fortuito si sono smaterializzate in questa realtà, sconvolgendo la nostra quotidianità. Ma perché questi corpi, che pure richiamano il quotidiano, ci sembrano tanto estranei? “Il corpo del mostro viene «identificato» dai discorsi che ne definiscono la mostruosità e dalle pratiche di potere che ne prendono in carico il trattamento, ma, allo stesso tempo, è come se l’eccedenza che ne definisce la mostruosità sia tale da eccedere le stesse forme discorsive della sua concettualizzazione”3 .È il limite di cui il pensiero fa esperienza, di fronte all’inaspettato, che il mostro rende visibile e che appare così estraneo, sconvolgendo la percezione comune delle cose e delle proprie convinzioni.
Così, rifacendosi all’attualità e alla cultura popolare, in perenne mutamento, Naomi Gilon dà vita a opere che racchiudono, nelle loro forme inconsuete, le paure e le ossessioni umane, offrendo una frontiera inedita e possibile rispetto a quella corrente. La figura del mostro è così stimolante perché si lega a doppio filo alle riflessioni sull’identità, sulla normalità precostituita e “permette di tematizzare la questione del limite, il limite delle forme di sapere che regolano la produzione degli enunciati in una determinata epoca, il limite delle pratiche di potere che costruiscono dei soggetti assoggettati. Pensare il mostro e pensare attraverso il mostro, significa dunque pensare un’esperienza del limite e pensare a partire da una tale esperienza”4.
La stessa riflessione sull’esperienza del limite guida la creazione di Page N°20-21, due mani mostruose che si configurano come dei veri e propri portaoggetti, segnando un assoluto cambio di prospettiva. La prima è di un giallo zinco, con tocchi neri e bianchi distribuiti sulla superficie e sembra stringere qualcosa di invisibile. La seconda è affusolata, con lunghe unghie lucide nere che si stagliano su una finta epidermide dai toni bluastri. Il vero punto di svolta tra Page N°20-21 e le opere sopracitate è la relazione instaurata con l’ambiente, resa visibile nell’installazione Survivors – presentata durante la mostra collettiva Imbroglio (or the ability to incorporate possibilities) del 2019 a cura del collettivo curatoriale Like A Little Disaster – dove quattro mani demoniache emergono dal sottosuolo, squarciando una distesa di terra che domina lo spazio. Se la chiave di lettura della produzione dall’artista è quella dell’ibridazione delle forme, questa è concepita attraverso l’esperienza di soggetti unici, che si relazionano all’ambiente, reinterpretandolo e modificandolo attraverso la propria immaginazione attuando quella che può essere definita una mutazione in divenire.
Oggetti di moda e di design in potenza ma, spesso, inutilizzabili in atto, le creazioni dell’artista belga si affermano contemporaneamente nella dimensione puramente artistica per la loro singolarità regolata dalla legge dell’utilità dell’inutile. Ma cercare di inserire gli artefatti di Gilon entro le delimitazioni date alla sfera creativa è complesso e forse anche insensato. Si tratta di un’ibridazione su due livelli: quella tra diversi mondi e immaginari e quella tra le molteplici dimensioni di moda, design e arte. Di recente l’artista, cosciente della difficile identificazione della sua produzione, ha fatto un passo ulteriore, aprendo un negozio online dove vende alcune delle sue creazioni “mostruose”, sfidando il modo in cui conosciamo e consumiamo le opere d’arte. In maniera similare si instaura la collaborazione con la Candy Snake Gallery di Milano, un luogo sperimentale che promuove l’arte e il collezionismo emergente, mettendo in vendita – sia negli spazi della Galleria sia sul web – opere abbordabili in maniera trasparente, rivoluzionando il modo di conoscere e collezionare l’arte del presente.
Ripensare e riformulare l’ordine precostituito così da indagare e reinterpretare la realtà – a livello formale e teorico – è la volontà più profonda dell’artista, che trattando di mostri cerca di scardinare ogni visione binaria del presente. La messa in discussione dei binomi normalità/alterità e umano/non umano è coscientemente promossa dalle opere di Gilon. Vicina al pensiero di Donna Haraway quando afferma che “il confine tra fantascienza e realtà sociale è un’illusione ottica”, l’artista traccia una nuova via possibile che abbatte ogni delimitazione a favore di una prospettiva in grado di connettere riflessioni ed elementi eterogenei, creando un universo che supera la visione umana e singolare, divenendo plurima.
Eppure, c’è altro. In un eterno rimando tra generale e particolare, dalle borse alle scarpe, dagli oggetti legati alla sfera domestica alle dita di strega, Gilon non ragiona su un’idea complessiva di mostruosità ma su un aspetto legato a doppio filo a quell’immaginario tradizionalmente attribuito al mondo femminile. Entra prepotentemente in scena una contrapposizione millenaria che determina ancora – purtroppo – la visione del mondo odierno: quella della contrapposizione uomo/donna, ove la sfera femminile è sintomo di mostruosità. “La donna è sempre stata un mostro. La mostruosità femminile si insinua in ogni mito, dal più noto al meno conosciuto: sirene carnivore, furie che con artigli affilati come rasoi dilaniano uomini, leanan sìdhe che incantano mortali per poi prosciugarne l’anima”5. Se la paura del mostro è la paura del diverso, il terrore irrazionale verso chi non si pone in linea con l’ordine corrente, la protagonista assoluta di questo non rispecchiamento è, ed è sempre stata, la figura della donna. “L’umanità è definita dagli uomini, perciò le donne, che non sono uomini, non sono umane. Da qui la necessità che vengano dominate dagli uomini – e se le donne si ribellano a questo dominio, diventano mostruose”6.
Su questo doppio binario si muove la prassi artistica di Gilon, data da oggetti individuali e autoconclusivi che pure vivono all’interno di un immaginario medesimo, innescando continui richiami e dialoghi, formali e concettuali, tra loro e con l’ambiente che li ospita. In riferimento al glamour e, d’altra parte, alla quotidianità degli oggetti, risiede la somma di queste intuizioni politiche, speculative, letterarie, che si concretizza in un’estetica del repellente che risulta però estremamente attraente e carismatica.
Meraviglia e orrore al tempo stesso, ecco la portata delle metamorfosi animate da Naomi Gilon, che suggeriscono come l’arte, alla fin fine, sia per sua natura un agente critico e attivo, in grado di sviscerare le più sottili questioni sociali per rimetterle in discussione e tracciare traiettorie alternative del pensiero, del linguaggio e dell’immagine. “Il pensiero del mostro o la mostruosità del pensiero diviene in questa prospettiva diagnosi dell’attuale, inteso come “l’adesso del nostro divenire”7. In ultima analisi, allontanandosi dalla sovranità dell’Uno e dalla dialettica del soggetto, il mostro smette di essere quell’entità impossibile da pensare e portatrice di ogni accezione dispregiativa, divenendo pura espressione della complessità dell’esistenza stessa, forse indecifrabile eppure necessaria.
Questo contenuto è stato realizzato da Angela La Rosa per Forme Uniche.
https://www.instagram.com/naomigilon/
Note
1 – Con il termine tuning si intende la modifica di un veicolo rispetto agli standard produttivi di serie.
2 – Luciano Nuzzo, Foucault and the Enigma of the Monster, International Journal for the Semiotics of Law – Revue Internationale de Sémiotique Juridique 26, PhilPapers 2013.
3 e 4 – Luciano Nuzzo, L’emergenza del mostro. Una lettura di Michel Foucault, Alvearium, Anno 6 – Numero 6, Novembre 2013.
5, 6 e 7 Jude Ellison Sady Doyle, Il mostruoso femminile. Il patriarcato e la paura delle donne, Edizioni Tlon, Città di Castello (PG) 2021.