Domenico Starnone, uno dei piú grandi scrittori contemporanei, è tornato a farci sognare: questa volta, assumendo l’identità di un bambino di nome Mimì, che, nel corso del libro, diventerà un giovane studente di Lettere antiche, e poi, un uomo. Mimì è un bambino triste e infelice, ma, proprio a causa di questa sua costituzionale infelicità, è destinato a compiere eccezionali e grandiose imprese poetiche.
Il bambino ha numerose affinità con il cantore Orfeo: non solo l’amore per la poesia, ma anche il desiderio di scendere nella fossa dei morti per riportare in vita colei che è la fonte della sua ispirazione poetica, ovvero la bambina di Milano.
Difatti, la composizione dei suoi sofferenti versi poetici è ispirata dall’osservazione quotidiana della splendente bambina di Milano, che il nostro giovane protagonista, con la fronte contro i vetri della finestra, o affacciato al davanzale, ammira come uno scimunito.
Ma Mimì non è solo attratto dalle movenze così spaventosamente pericolose della piccola ballerina, in equilibrio sul davanzale, ma è anche affascinato dal suono incantatore delle gentili parole, pronunciate dalla bambina e dai suoi familiari, così diverse da quelle di casa sua, dove si usa parlare solo il dialetto.
La bambina di Milano, che volteggia – senza paura – sul davanzale del balcone di casa, assolato e adorno di fiori colorati, mi ha riportato alla mente un quadro del pittore futurista Giacomo Balla. Il dipinto a cui mi riferisco è Bambina che corre sul balcone, un olio su tela del 1912, oggi conservato al Museo del Novecento a Milano. Nel quadro in questione, la bambina non viene ritratta nell’atto di ballare, ma di correre. Tuttavia, da entrambi i due ritratti – quello letterario di Starnone e quello pittorico di Balla – emana il medesimo senso di dinamicità e di volatilità della figura rappresentata.
Per Mimì, infatti, la piccola bambina è sfuggente, inafferrabile nella sua pericolosa sfida di esporsi così facilmente, e così piccola, alla morte. E, Mimì, non riuscendo a dormire la notte al pensiero che la piccola possa morire sul marciapiede, sfracellandosi come il nonno muratore, prende una decisione definitiva: il giorno in cui l’esile corpicino della bambina di Milano toccherà terra, lui scenderà nella fossa dei morti con il fine di riportarla in vita, e, a differenza di Orfeo, non farà la sciocchezza di voltarsi a guardarla. Tuttavia il primo corpo senza vita, su cui si poseranno gli occhi di Mimì, non sarà quello della bambina di Milano, morta lontana dal davanzale su cui era solita sfidare la morte, ma quello della nonna, la serva di tutti, che è, in fondo, il vero personaggio immortale del libro.
La scrittura, – e insieme a questa, ogni forma artistica – hanno lo straordinario potere di rendere immortale un’esistenza umana e, con questo breve libretto, Starnone l’ha pienamente dimostrato.