Figurazione contemporanea per “riveder le stelle”. Il Museo Eremitani di Padova e The Bank Contemporary Art Collection insieme per rendere omaggio a Dante e Giotto attraverso l’arte italiana dei nostri tempi.
In occasione dei 700 anni dalla morte di Dante, il Museo Eremitani di Padova ha deciso di onorare il Sommo Poeta grazie alla collaborazione con The Bank Contemporary Art Collection, raccolta nata dalla passione di Antonio Menon per i più recenti esperimenti figurativi italiani. Il risultato è A riveder le stelle, il cui titolo tradisce la volontà di creare un fil rouge tra le opere dei 15 artisti coinvolti, i simboli presenti nella divina commedia, e il cielo stellato per eccellenza che ha reso famosa la Urbs Picta in tutto il mondo: quello dipinto da Giotto sulla volta della Cappella degli Scrovegni.
Anche se pare improbabile che il pittore e il poeta, al tempo del rispettivo soggiorno a Padova, si siano effettivamente incontrati, ad accomunarli non è soltanto l’unanime riconoscimento quali grandi pilastri della cultura italiana trecentesca, ma anche il rapporto con la città veneta, che, nel caso di Dante, potrebbe essere definito quantomeno “controverso”. Provengono infatti da Padova – identificata dal poeta come “luogo del male” – due dei dannati che il poeta inserisce nel suo Inferno: il primo è Vitaliano del Dente, mentre il secondo è Reginaldo Scrovegni, padre di quell’Enrico che, nel 1303, commissionò a Giotto l’affresco di una cappella eretta per redimersi dai peccati commessi dal genitore.
Il percorso espositivo è simbolicamente scandito in cantiche, partendo dalla Selva Oscura per arrivare infine al Paradiso, passando per i due regni intermedi rappresentati da Inferno e Purgatorio. Lungo questo viaggio ascensionale, gli affreschi di Giotto vengono evocati più che citati alla lettera, diventando un significativo sottofondo su cui si instaurano le sperimentazioni più varie, il cui punto comunque è l’adesione a quel figurativo di cui The Bank Contemporary Art Collection ha fatto il suo cavallo di battaglia.
A guidare quello che, citando le parole dello stesso fondatore, è «più un movimento che una collezione», è infatti il desiderio di sostenere l’opera di artisti – alcuni dei quali giovanissimi, basti pensare ai 23 anni di Vittorio Marella – che hanno fatto della pittura figurativa il proprio linguaggio d’espressione principale.
A dare il benvenuto al visitatore sono i ricchi universi dipinti di Sergio Padovani, in cui i rimandi a Peter Brüghel e Odilon Redon si combinano con un immaginario dantesco quasi udibile come un rumore in sottofondo. Proseguendo per la Selva Oscura, le opere che si succedono contribuiscono a creare quella dimensione di incertezza e smarrimento che Dante aveva così accuratamente descritto nei primi versi della sua Commedia. E non è un caso che il passaggio agli ambienti successivi sia mediato da Ritratto di Angela, moderno Virgilio firmato da Saturno Buttò.
Le sembianze animalesche date a Lucifero da Maurizio L’Altrella si alternano alla luminosa matericità del grande olio su tela di Alfio Giurato, per arrivare poi alla crocefissione di Nicola Nannini, perfetto parallelo con quella che, a pochi metri di distanza, si ritrova nella parete di fondo della Cappella degli Scrovegni. In Si fece buio su tutta la terra (2020) la scena biblica si tinge di moderno, grazie a quella componente orgiastica e animalesca resa con una crudezza documentaria.
La seconda sala vede fronteggiarsi sulle pareti opposte Inferno e Purgatorio, due luoghi-momenti collegati da un ulteriore ambiente dedicato al tema della Lussuria. Per quanto riguarda i gironi infernali, questi rivivono nel moderno cerbero di Santiago Ydáñez o nella fiera bestiale dipinta ancora da L’Altrella, così come nei teschi di Federico Guida (intitolati, significativamente, Via Lattea) e nelle affollate cosmogonie di Nicola Verlato, autore di Sprofondamento, unica scultura presente in mostra nonché tributo a Pier Paolo Pasolini.
La dimensione di sospensione introdotta da quest’ultima opera ritorna nella sezione dedicata alla Lussuria, dove a farla da padrone è la grandiosa opera di Desiderio, in cui un branco di maiali (simboli per eccellenza del vizio a cui la stanza è dedicata) si ammassano l’uno sopra l’altro in una scena che facilmente suggerisce un rimando ai moderni allevamenti intensivi. Da simbolo del peccato ad animale sacrificale, il maiale si carica di un significato ancora maggiore se letto in relazione al contesto dantesco: era stato proprio grazie all’immagine di una scrofa rampante – simbolo degli usurai – che il poeta aveva riconosciuto il padre di Enrico Scrovegni tra gli altri dannati della sua bolgia.
Con il passaggio al Purgatorio, una luce soffusa (che diventerà sempre più forte) inizia a pervadere le tele a tema biblico di Giovanni Gasparro e in quelle dal sapore classico di Luca Pignatelli. È la sua grande nave (Rex, 2005) a condurre il visitatore verso l’ultima sezione, dove un tripudio di azzurro da il benvenuto in Paradiso.
Ad alternarsi sono i cieli cerulei di Sergio Fiorentino – che fanno da sfondo a dei corpi finalmente pacificati – e quello blu di Padovani, il cui quadro segna il compimento del percorso di ascensione iniziato all’ingresso della mostra.
Completa il percorso una sorta di sala-appendice svincolata dal cammino paradisiaco fin qui prevalente. Alle pareti, le opere di Chiara Sorgato, Agostino Arrivabene e Federico Guida si fanno portatrici – ognuna a suo modo – di un messaggio di amore universale e speranza per ciò che verrà.