Lydia Delectorskaya è stata musa, amica e partner lavorativa di Henri Matisse. Anche se vissero uno straordinario connubio spirituale, la loro storia non divenne mai una questione amorosa. Ecco la loro vicenda.
Vuoi sapere se ero la ‘moglie’ di Matisse. Sia no che sì. Nel senso materiale, fisico della parola, no; ma in senso spirituale, forse sono stata anche qualcosa di più. Per 20 anni sono stata “la luce dei suoi occhi” e lui era l’unico significato della mia vita.
Ha scritto così Lydia Delectorskaya a proposito del suo rapporto con Henri Matisse. Non una relazione amorosa, ma nemmeno una storia priva d’amore. Non sono stati amanti in senso stretto, questo è certo. Ma tra i due è intercorso un sentimento complesso, meno carnale e più spirituale, che li ha portati a supportarsi, in senso letterale e metaforico, per lunghi tratti delle rispettive esistenze. Un’amica, una musa, una manager. Ma non solo: Lydia Delectorskaya è stata per Matisse una relazione senza definizione, priva di confini stabiliti e aperta a risvolti mai privi di tenerezza.
Questa storia, la loro storia, ha inizio nel 1932 a Nizza. Lydia Delectorskaya, appena assunta da Matisse, non ha la minima idea di chi sia il suo nuovo datore di lavoro. Del resto il pittore non era alla ricerca di una modella o di una nuova musa, quanto di un supporto che potesse assistere la moglie Amelie – costretta al riposo da una malattia – e aiutarlo a gestire la casa e lo studio. Inoltre Lydia non è una di quelle ragazze benestanti e ben educate che punteggiano le spiagge della Costa Azzurra e che sognano di posare per i grandi artisti che frequentano il sud della Francia.
Lydia Delectorskaya nacque il 23 giugno 1910, in Russia. Avrebbe voluto percorrere le orme del padre, pediatra a Tomsk, Sibera, ma la vita aveva in serbo per lei ben altro scenario. Nel 1022 il tifo uccise il padre, mentre il colera si portò via la madre. Così a soli 12 anni Lydia rimase orfana. Cresciuta tra gli stenti dalla zia, la ragazza fu poi costretta a traferirsi in Francia per sfuggire alla Rivoluzione Russa. A Parigi provò a riconquistare ciò che il destino le aveva negato: venne ammessa alla facoltà di medicina della Sorbona e poté finalmente inseguire il suo obiettivo. Purtroppo, alla lunga, le tasse risultarono troppo onerose per le sue disponibilità. Abbandonata a malincuore l’università, Lydia decise di stabilirsi a Nizza in cerca di fortuna.
In Costa Azzurra il mare è cristallino e le ragazze mediterranee, con i capelli ricci scuri e l’incarnato olivastro. Con i suoi capelli biondi, gli occhi azzurri e la carnagione chiara Lydia brilla senza nemmeno sforzarsi. Così trova i primi impieghi come modella e ballerina, ma anche come comparsa nella fiorente industria cinematografica. Dei buoni presupposti, ma non eccelsi: con la paga riesce a malapena a guadagnarsi da vivere e i datori di lavoro sono tutt’altro che gentili e rispettosi. Per sua fortuna, in quegli anni è arrivato a Nizza un famoso pittore. É Henri Matisse, il quale trascorre le giornate in compagnia di artisti quali F. Scott Fitzgerald, Edith Piaf e Josephine Baker. Lui sì che ha la fama di trattare con rispetto le proprie modelle e chiunque lavori per lui.
Matisse d’altra parte, come detto, non era alla ricerca di una musa, quanto più di una figura pratica che lo supportasse nella gestione quotidiana dello studio. Lydia si rivela la figura ideale, tanto che nei sei mesi di servizio a casa Matisse supporta l’artista nella realizzazione del murale The Dance II, commissionato dal collezionista d’arte americano Albert C. Barnes. A lavoro concluso Matisse le corrisponde 500 franchi per aiutarla a rimettersi in piedi. Per Lydia sembra un nuovo inizio, ma i progetti per il futuro si dissolvono la notte stessa, quando al casinò il suo compagno perde tutto al gioco. Venuto a conoscenza della vicenda, Matisse decide di assumere definitivamente Lydia. La mansione ufficiale? Infermiera di Amelie. Risultato pratico? Una figura chiave per l’intera carriera di Matisse.
Eppure per i primi tre anni Lydia svolge effettivamente il ruolo di infermiera. É solo nel 1935 che qualcosa cambia.
Dopo diversi mesi o forse un anno, lo sguardo cupo e penetrante di Matisse ha iniziato a concentrarsi su di me. Ad eccezione di sua figlia, la maggior parte delle modelle che lo avevano ispirato erano tipicamente mediterranee. Ma io ero bionda, molto bionda. Un giorno si è seduto davanti a me con un taccuino sotto il braccio e, mentre io prestavo poca attenzione alla conversazione, all’improvviso mi ha detto: ‘Non muoverti!’. E così mi ha chiesto di posare per lui.
Nasce così Large Reclining Nude, il primo ritratto che Matisse realizza con Lydia come modella. Secondo il figlio dell’artista Pierre, mercante d’arte di successo a New York, suo padre si è “rinnovato come pittore” attraverso quest’opera. Tanto che nei quattro anni successivi, Lydia diviene l’unica modella di Matisse. Ma non solo: diventa la sua assistente, manager della sua casa e della sua attività professionale. Gestisce lo studio, organizza le sedute con i modelli, tiene le relazioni con i fornitori, i mercanti, le gallerie. É diventata a tutti gli effetti la partner professionale di Matisse. E si sa che per un artista il lavoro è la sua stessa vita.
É così che Amelie, che inizialmente aveva accolto favorevolmente la presenza di Lydia, diviene presto sospettosa e risentita del legame che la ragazza ha stretto con il marito.
“Madame (Matisse) voleva che me ne andassi, non per gelosia femminile – non si trattava di adulterio – ma perché gestivo l’intera casa“, ha sostenuto poi Lydia. Una perdita di controllo sul proprio reame domestico che induce Amelie a dare un ultimatum a suo marito, minacciando di porre fine al loro matrimonio lungo 40 anni se non avesse licenziato la giovane russa. Matisse accondiscende a malincuore alla moglie, consapevole del dolore che la separazione avrebbe creato a entrambi (a lui e a Lydia). Il rapporto tra i due era diventato viscerale, quasi che l’esistenza di uno dipendeva da quella dell’altro. Sicuramente è così per Lydia, che dopo aver lasciato la casa tenta il suicidio sparandosi al petto. Per fortuna, fallendo.
Nel 1939, Madame Matisse sceglie comunque di separarsi dal marito, che non perde tempo e richiama immediatamente Lydia, la quale torna al suo ruolo mantenendolo per il resto della sua vita. In salute e in malattia, come un vero e proprio matrimonio. Tanto che quando Matisse, nel 1941, subisce un’operazione a seguito di una diagnosi di cancro, è solo grazie a Lydia che riesce a proseguire il suo lavoro.
Un connubio spirituale che Matisse perpetua fino all’estremo istante. L’ultima opera realizzata, prima di morire all’età di 84 anni nel 1954, è proprio un ritratto di Lydia. Conscia di non essere la benvenuta al funerale, la ragazza lascia per sempre casa Matisse stringendo fra le mani il prezioso disegno. Un’opera che al suo interno racchiude idealmente l’intero lascito artistico di Matisse. Difatti Lydia, che da qui in poi vive la sua vita in solitudine, diviene una delle principali esperte del lavoro dell’artista, contribuendo all’organizzazione di mostre a lui dedicate e all’apertura di un museo nella sua terra natale a Le Cateau-Cambrésis.
Le circa 90 opere che Matisse le lascia in eredità, Lydia le dona al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo e al Museo Puskin di Mosca. Quasi a voler perpetrare fino al dramma il connubio con Matisse, Lydia attende di compiere 84 anni (gli stessi del pittore alla sua morte) prima di togliersi la vita. Una devozione totale, un amore platonico e artistico, una ragione di vita totalizzante e irrazionale. A testimoniarlo rimane l’unica richiesta che Lydia fa in punto di morte: “Per favore, mettete una maglietta di Henri Matisse accanto a me“.