In arrivo la mostra “Dileggio di Papi e Cardinali nella Germania del ‘500. Medaglioni, medaglie e medagliette sarcastiche di cultura luterana” al Centro Svizzero di Milano. Dal 21 febbraio
L’alba del Cinquecento fu un’epoca buia, grondante di aspre lotte politiche e religiose. Nel Nord Europa divampavano sempre più accese le ribellioni contro la Chiesa di Roma, i suoi dogmi –spesso minati nella loro assolutezza da alti prelati indegni per comportamenti incuranti della morale – e la vendita delle indulgenze, utile soprattutto a rimpinguare le casse ecclesiastiche, nonché rea di sottrarre linfa vitale a quelle dei Margravi locali.
Senza dubbio nella Germania del Nord giocò la parte di protagonista, nella lotta contro Roma e i suoi sperperi, Martin Lutero, monaco tedesco che pubblicò nel 1517 le Novantacinque Tesi, con le quali si scagliava contro il mercimonio e, in particolare, contro lo scandalo delle indulgenze.
In Italia, d’altra parte, Girolamo Savonarola, frate domenicano implacabile fustigatore dei costumi, schierato sia contro la Chiesa sia contro il potere dei Medici a Firenze, deprecava la decadenza dei costumi sulle piazze del Nord e Centro Italia, annunciando scenari apocalittici se vizio e corruzione avessero continuato a dilagare. Scomunicato nel 1497, fu arso sul rogo come eretico l’anno seguente.
Un ruolo a sé fu quello svolto nei Paesi Bassi da Erasmo da Rotterdam, colto teologo, esponente dell’Umanesimo cristiano, che nell’Elogio della Follia (1511), opera di amplissima diffusione, tra il serio e il faceto accusava vescovi e cardinali di vivere fra dispendiosi agi e futili divertimenti e Papa Leone X di farsi guidare da interessi temporali.
Infine, tra Francia e Svizzera, Giovanni Calvino, riformatore del Cristianesimo protestante europeo al di fuori dell’area di influenza luterana, fu autore del trattato Institutio Christianae Religionis (1536-1559), una delle opere teoretiche più significative della Riforma.
In questo clima esacerbato, che vide il popolo istigato alla lotta – memorabile la ribellione dei contadini guidata da Thomas Münzer culminata in Turingia nella strage di Frankenhausen, nel 1525 – aleggiavano umori avversi e spiccate inclinazioni al motteggio sarcastico e alla denigrazione, spesso in chiave comico-grottesca, del potere religioso. Prova ne sono le medaglie con effigi di papi e cardinali – equiparati a diavoli e buffoni – fuse in bronzo o in ottone, talvolta anche in argento, eccezionalmente in metallo dorato e, per quanto riguarda le versioni più povere, – le cosiddette “placchette” di cui Lutero fu gran collezionista –, in piombo o zinco.
Chi fossero i committenti di tali oggetti è difficile a dirsi, ma senza dubbio non mancarono all’epoca i loro cultori. Dal prototipo a cera persa si moltiplicavano infatti – grazie all’uso di stampi di terra refrattaria – migliaia di esemplari, per rispondere alle tante richieste. E riapparsi da decenni sul mercato antiquario, non hanno mancato di incuriosire studiosi e collezionisti.
LA MOSTRA
Una raccolta particolarmente significativa di medaglie cinquecentesche “a due teste” giunge oggi al Centro Svizzero di Milano (via Palestro 2/4, dal 21 al 28 febbraio), grazie all’esposizione Dileggio di Papi e Cardinali nella Germania del ‘500. Medaglioni, medaglie e medagliette sarcastiche di cultura luterana, già presentata a Lugano nel novembre ‘21 nell’ambito di Wopart.
In mostra appaiono più di 150 esemplari selezionati nel tempo, grazie a minuziose e appassionate ricerche, dall’architetto Alessandro Ubertazzi, studioso d’arte e di storia, che firma, con Franco Buzzi e Paolo de Petris, il volume pubblicato per l’occasione.
«Sono piccole opere d’oreficeria – spesso dotate di appiccagnolo per essere legate al collo – che, ruotate di 180°, rivelano l’una e l’altra testa: papa e diavolo, cardinale e buffone, antiteticamente contrapposte, come se l’una nascesse dall’altra. Con ogni probabilità erano indossate da uomini di rango, come segni, in particolare in Italia, di appartenenza a gruppi sociali d’analogo orientamento ideologico: religioso e politico» spiega Alessandro Ubertazzi, aggiungendo poi: «Due erano le tipologie del messaggio espresso attraverso la medaglia da parte del suo proprietario: l’aperta ammissione di essere al di fuori della Chiesa, quando nel disegno si poneva in alto il diavolo e sotto il papa, e, all’opposto, la prudenza nel rivelare il significato della medaglia stessa, quando si leggeva in prima posizione la testa del papa e, solo dopo aver ruotato il pendente, quella del diavolo».
E anche se nella collezione di Ubertazzi spiccano alcune medaglie celebrative, che assimilavano Carlo V d’Asburgo, Imperatore del Sacro Romano Impero, a Cristo Re – come nel caso dell’esemplare realizzato in Austria, in terra cattolica, a metà Cinquecento –, a esse si contrappongono altre che invece irridono alla concentrazione dei poteri temporali e spirituali nella figura imperiale, ancora identificabile nella persona di Carlo V.
INTRECCI DI STILE, DAL GOTICO AL BAROCCO
Ciò che rende le medaglie inaspettate è l’unicità del tema che accomuna i laboratori di metallurgia orafa – attivi in Germania, a Hannover, Berlino, Augsburg o Wittenberg (dove operava il noto medaglista Heinz Reinhart il Vecchio) come quelli aperti nelle Fiandre, a Bruxelles o Anversa –, in cui si producevano tali manufatti: la doppiezza di teste di papi e cardinali, diavoli e giullari, dove il copricapo dell’uno costituisce la base da cui si erge l’effige dell’altro, secondo un bifrontismo dai forti risvolti allegorici, è infatti scelta iconografica costante, che rispondeva ai dictat di una generalizzata uniformità rappresentativa. Inoltre, la raffigurazione appare sempre condita da ridondanze manieriste e barocche (già in cerca dell’effetto “meraviglioso”) e da un gusto arcimboldesco antelitteram, declinato secondo un gioco combinatorio in cui orecchie, occhi, labbra, nonché i copricapi dalle multiformi fogge, si prestano a letture erotiche, in una sorta di incessante trasmutazione esoterica di segno e senso.
Infine, in area centro-europea – e quindi nei luoghi che furono fucine delle medaglie di cultura luterana – non si poté di certo ignorare il diffondersi nei primi decenni del Cinquecento del linguaggio dei fogli leonardeschi, densi di figure deformi e plebee mostruosità, ma anche del realismo düreriano e il virtuosismo di incisori quali Hans Sebald e Barthel Beham.
Il tutto si legava, intorno alla metà del secolo, anche alle raffigurazioni popolaresche e beffarde della tradizione transalpina riconducibile alla cultura artistico-letteraria Rabisch (dal significato di arabeschi, ovvero bizzarrie), che dal repertorio fantastico e grottesco dei bestiari gotici attingeva ispirazione e forza e nel Lomazzo e in Giovanni Ambrogio Brambilla trovava i suoi interpreti pittorici più pungenti. Poiché nella tela, come nella medaglia, si materializzava il messaggio traslato, camuffando in simbolo la visionarietà di atti ribelli o di consuetudini pagane, per sfuggire alle trame dei tribunali controriformisti della Santa Inquisizione. Secondo finalità espressive non molto dissimili da quelle degli orafi luterani.