Questo articolo è frutto dell’operato degli studenti del Laboratorio di scrittura, iscritti al Master Post Laurea “Management della Cultura e dei Beni Artistici” di Rcs Academy”, tenuto tra dicembre 2021 e gennaio 2022 da Luca Zuccala, vicedirettore della nostra testata. La collaborazione tra ArtsLife e Rcs Academy ha dato la possibilità agli studenti partecipanti al Master, dopo le lezioni di introduzione, pianificazione e revisione dei contenuti proposti, di pubblicare il proprio elaborato sulla nostra piattaforma.
Echo Me / Here I am / Ecco Mi, la prima mostra personale in Italia di Katharien De Villiers, è in scena presso la Osart Gallery di Milano (Corso Plebisciti 12). La mostra, aperta al pubblico dal 17 dicembre 2021 al 26 febbraio 2022, è l’attestazione di una presenza forte, quella della giovane artista sudafricana classe 1991, e di un’eco che risuona da un emisfero all’altro.
“Where there is no place, I will create a place myself.” Con queste parole Katharien de Villiers introduce Echo Me / Here I am / Ecco Mi. Una mostra che, fin dal suo titolo, si presenta al pubblico come una presa di posizione nei confronti del mondo, l’eco di una voce che attraversa lo spazio e il tempo. Esistenza, spazio e tempo sono i tre concetti fondamentali che fanno da fil rouge tra le varie opere in mostra, una serie composta da undici installazioni a muro contrappuntate da testi autografi dell’artista.
Le installazioni si basano sul concetto di diorama, termine francese nato dall’unione tra le parole greche διά, “attraverso”, e ὅραμα, “veduta”. Con esso si indica sia la scenografia, in scala naturale o quasi, che attraverso l’uso di luci crea illusioni prospettiche, sia le ricostruzioni di ambienti naturali o di ambienti storici, allestite per esempio nei musei di storia naturale. Messo a punto negli anni Venti dell’Ottocento, adatto allo svago ma con una forte valenza educativa, il diorama mescolava elementi desunti dalla realtà a sculture o manichini, reperti storici a ricostruzioni in stile. Una pratica che è di per sé paradossale, poiché da una parte essa rappresenta un tentativo di interpretare la natura e la storia, mentre dall’altra rivela la complicata relazione tra natura, storia e individuo.
Le opere, vedute di una realtà stralunata, ironica e colorata, indagano questa complicata relazione e ci ricordano quanto sia soggettiva la nostra percezione della realtà, di ciò che coesiste con noi e di ciò che ci ha preceduti. Le nostre esperienze rimodellano la percezione dello spazio e del tempo e viceversa, dando adito ad interpretazioni del reale tanto indecifrabili quanto uniche. L’artista si domanda quale sia la nostra relazione con la storia e con le nostre radici, quale la rappresentazione che tendiamo a darne, sovrapponendo realtà e finzione, nuove e antiche narrazioni. La stampa camouflage che contraddistingue le opere vuole proprio comunicare la forza camaleontica della percezione personale: diversa a seconda del luogo, del contesto, del momento.
Le opere risaltano inoltre per la loro tridimensionalità e per la loro natura polimaterica, un tratto distintivo dei lavori di De Villiers, frutto dei suoi studi universitari in Belle Arti e Installazioni. Smalto per unghie e glitter, tessuti e vernici, giocattoli e altri oggetti pop creano inusuali giustapposizioni di realtà lontane tra loro, mettendo in relazione il presente con il passato, il tempo limitato dell’esistenza umana con il tempo ancestrale della natura. Attraverso la continua sovrapposizione di materiali, linguaggi e narrazioni, De Villiers coinvolge la mente e i sensi dello spettatore, spingendolo ad entrare in simbiosi con l’opera e a farne esperienza, nel senso più letterale del termine.
I soggetti rappresentati sono in parte estrapolati da fotografie scattate dall’artista stessa durante i suoi viaggi da un capo all’altro del mondo e in parte desunti da volumi di divulgazione scientifica ed enciclopedie. Ricorrono spesso, infatti, scene di uomini primitivi e di vita preistorica che, accostate ad immagini e oggetti tipici della contemporaneità, producono nell’osservatore un senso di straniamento. Tra le opere più rappresentative in questo senso, Enroute Through the Anthropocenee Misshapen Venus, Weapons and Tools, in cui la sovrapposizione di piani eccede i confini della tela e vede coesistere temporalità e narrazioni differenti, interrogando lo spettatore sul tempo e sulla percezione di esso. Sono proprio queste “digging timelines” — temporalità sovrapposte — ad aprire l’immaginazione umana ad un mondo intessuto di sogni e possibilità.