Il sorriso si ferma quando vuole è l’ampia personale dal sapore retrospettivo di Gianluca Codeghini (1968) presentata negli spazi di Assab One lo scorso 29 gennaio e prorogata fino al 19 marzo 2022. A cura di Elio Grazioli, l’esposizione ripercorre l’intera produzione dell’artista, dagli anni Novanta ad oggi, in un gioco semiserio a tratti irriverente, a tratti amaro, che rende sopportabile e piacevole perfino il nonsenso, “fino al punto tale da lasciare il dubbio di aver giocato ad altro, o di non aver giocato affatto”. Le declinazioni che ogni opera in mostra veicola e assume, mediante interattività e multimedialità, hanno portato ad una serie di riflessioni condivise e accompagnate da Mafalda Galessi, Art Exhibitions Production Manager di Assab One, di cui è frutto l’intervista a quattro mani all’artista.
MG: In mostra troviamo l’opera “Breve storia senza ritorno”. Un’architettura astratta di cotton fioc che baciandosi tra loro ci nega concettualmente di pulirci le orecchie. L’architettura è parte integrante per la fruizione della musica, eppure nel contemporaneo, con l’avvento di dispositivi di riproduzione elettronica come il vinile, il CD, la radio, il mixer, i synth, i sequencer, i campionatori ecc. è la musica stessa che incomincia ad essere progettata per gli spazi. Il noise ha bisogno di uno spazio architettonico adeguato o, vagabondo e prepotente, accede nello spazio e lo invade, come protagonista, lo pervade ed altera? Quanto ha influito nella progettazione della mostra la conformazione architettonica di una galleria come Assab One, storica ex-tipografia, un luogo post-industriale?
È sempre un piacere attraversare gli spazi di Assab One. Al pomeriggio, verso le due, comincia ad entrare una luce che ammorbidisce tutto, avvolge e seduce per qualche ora, poi l’architettura, con le sue storie, si riappropria degli ultimi giochi d’ombra and so on… come ho scritto nell’intervento site specific Presenti assenti (2022), realizzato con inchiostro nero non fissato su una parete di piastrelle color rosa carne. Nella buia stanzetta alle sue spalle c’è la foto in bianco e nero del progetto Attualità della scena (1990), anche in questo caso ritorna un gioco di luci e ombre con gli scorci, i piani e le fenditure, una finta e una controfinta tra spazio e luce che si intersecano con la scritta “luce caravaggesca”. Mi trovo sempre a mio agio in questo tipo di spazi, magari difficili per certi lavori, però i miei hanno le spalle robuste… (un accenno di sorriso) Assab One è un posto che conosco bene, ma mai abbastanza, non puoi ignorarlo, o fare finta che sia altro, così anche questa volta da parte mia c’è stata un’interazione sia con l’architettura, sia con la splendida idea di spazio di Jan de Vylder e Inge Vinck, che ho trovato e mantenuto tale e quale. Con l’installazione sonora La musica industriale ci ha messo in cassa integrazione (1995/2022) abbiamo anche ricevuto un’ottima risposta critica da parte del pubblico con balletti improvvisati a ritmo afrojazz… (sorriso). Nel 1995 era proprio un live di musica industriale e già nello stesso anno durante la sua replica era tutt’altro, perché le cose cambiano e così anche i miei lavori… Tra l’altro trent’anni fa, nel 1992, inauguravo la mia prima personale in VIAFARINI che a quei tempi era molto industriale e fatiscente, non posso che spendere un plauso per quello che era e che è questo progetto per Milano.
CA: Le opere indagano la presenza del pubblico-fruitore, si offrono come oggetti animati-parlanti (il rumore, “noise” è protagonista), quasi pensanti, con cui interagire ed entrare in connessione. Gli stimoli che si irradiano non si esauriscono nella serie di poster, video, interventi site-specific, quadri di piccolo formato, neon e ceramiche, ma si rincorrono e alimentano a loro volta, mutando forma a seconda del filtro che pone chi attraversa lo spazio (accompagna Babel di Andrea Mastrovito, installazione permanente realizzata nel 2019 per Assab One). “Il sorriso si ferma quando vuole” è un’ampia personale dal sapore retrospettivo, i lavori presentati vanno dagli anni Novanta ad oggi, tornando all’incipit della domanda, come questi oggetti raccolti attraverso il tempo e le varie fasi, artistiche e non, da te vissute indagano la tua di presenza?
Mi rifaccio a un punto ben preciso presente nella risposta precedente, riguardo la capacità di adattamento al cambiamento che ha un lavoro. È un gioco di equilibri tra il contenuto e la ricerca formale, la mia attenzione ricade sulla capacità di “convivere il presente” tra ciò che è contingente e nel contempo relativo. Quando lavoro, mi gioco il tempo senza perderci troppo tempo. Sembra solo un gioco di parole, come per la scritta “Un muto dice a un sordo c’è un cieco che ci osserva” (Entreé, varie versioni dal 1991 al 2022) proposta in differenti declinazioni, come se non ci fosse un modo per scriverla o fossero tutti plausibili incidenti di percorso, ci accorgiamo dopo che è proprio l’errore, il frammento, il brandello, la polvere, che ci fanno andare avanti, per una derealizzazione dell’opera. Mi chiedo se c’è ancora spazio per l’errore di sbaglio, come scritto nelle due ultime pagine del libretto E’ tutta una montatura (1991, libro d’artista con Mirko Zandonà), una raccolta di ritratti fotografici di trasposizione facciale, di concetti stereotipati associati alle avanguardie artistiche, come l’immagine di grande formato che mi ritrae con un occhio nero.
MG: Le tue opere vacillano tra il sovversivo sospeso (Platone d’esecuzione, La patologia del benessere, Flaw & order), il manifesto in potenza (Tutto ciò che inizia e finisce in punta di dita, Materia estranea, Loophole, Decisione errante, Presenti Assenti), la ripetitività sia tecnica, che spesso leghi in maniera quasi kosuthiana (Il muto, il sordo e il cieco, Underdestruction), sia sotto forma di loop (Porzione di manico asessuato) ed infine di gioco. Quest’ultimo è il filo conduttore: un gioco scanzonato ma discreto, ponderato e tratti pungente di parole (È tutta una montatura, Noi se) ed immagini/sculture sonore. A proposito di gioco: in più lavori ricompare il bimbo o l’infanzia come protagonista delle tue opere d’arte (Pezzetti e Bocconi, Underdestruction). Che ricordo hai della tua infanzia e del rapporto che avevi con il gioco, quando giocare era un’azione molto seria? Come questo ricordo/rapporto ha influito sulla tua ricerca artistica?
Sì, mi sono sentito dire di tutto, dal birichino al terrorista, dal sovversivo al reazionario, va bene così, vuol dire che c’è ancora qualcuno che fatica a collocarmi, e questo mi dà speranza. Certo che “sovversivo sospeso” è come una bomba inesplosa, una provocazione muta, sorda e cieca nel contempo. Il gioco, l’infanzia, i bambini che cercano di simulare del rumore bianco con la bocca, un suono che è anche un invito al silenzio o uno scherzo per stimolare l’amico a fare la pipì. Nella performance e video-installazione Piecemeal (2009), non è solo una presenza formale ma quello che chiamiamo un gesto in divenire: non innescano, sono cortocircuiti che sovvertono le aspettative… auguriamocelo. Molti degli elementi che elenchi, come la musica distorta, il rumore dispettoso e i loop paranoici con i dischi, risalgono proprio a quella fase pre-adolescenziale. Non sono tanto un ricordo che riaffiora, nemmeno un’ ossessione che mi assilla, sono piuttosto un mezzo di trasporto con cui innescare nuove traiettorie o porzioni di manico asessuato con cui produrre quel momentaneo piacere, che ti fa dire che il gioco è bello quando dura poco.
CA: Dal testo critico -in forma di lettera- di Elio Grazioli, curatore della mostra, leggiamo “spettatori e collezionisti -i critici e i galleristi un po’ meno ma restano guardinghi per non contrariarli- si dicono ancora smarriti di fronte ad artisti che fanno cose diverse, non immediatamente riconoscibili, dicono, forse intendendo non riconducibili a un racconto lineare dell’arte”. La natura multiforme e multimediale dell’esposizione presuppone un accompagnamento, una spiegazione, la pregnanza ideologica, pur temperata dal “sorriso” -a tratti irriverente, a tratti amaro, che rende sopportabile e piacevole perfino il nonsenso- necessita di una partecipazione attiva sia fisica che mentale. Nel panorama artistico italiano di oggi com’è riconosciuta questa dinamicità di pensiero e declinazioni? Performatività e volontà di oltrepassare il limite (qualsiasi esso sia), pur sotto la copertura di gioco, attraverso la musica, la pittura, la scultura, la fotografia, dove si posizionano?
Il testo di Elio Grazioli è tanto ultrasottile quanto dirompente e punta il dito contro la paura e l’indifferenza. Mi ha preso in contropiede, mi è piaciuto molto sia per come ha affrontato i lavori, dal contenuto alla forma, sia per la lettera con cui ha scomodato il sempre gentile e disponibile MarCel. Sulla necessità di un accompagnamento per la mostra penso che sia totalmente personale, sono tanti e soggettivi i modi che uno dispone per poterla fruire. Ad Assab One sono molto ben organizzati, anche a fronteggiare le esigenze più particolari, e io personalmente mi sono reso disponibile quando c’è stata la richiesta ad accompagnare gruppi anche di cinquanta persone. Il panorama artistico in Italia è mutevole, complesso, stratificato e sono davvero tanti gli scenari in cui potersi muovere e raccontare le proprie idee. Molti degli artisti presenti, ma anche altri che conosco, sono espressione di questa complessità, e la vivono con vivacità di pensiero e d’azione, con una propensione a coinvolgere, organizzare e condividere. Sto parlando di Helga Franza, Ermanno Cristini, Dario Bellini, Giancarlo Norese, Federica Thiene, Bruno Muzzolini, Luca Scarabelli, Ferdinando Mazzitelli, Andrea Fogli, Gino Gianuizzi, Chiara Pergola… Perché è così, ci sono tanti modi per divertirci, c’è chi crede nella libertà di pensiero, nella cultura, nella pluralità, nell’interdipendenza e nella diversità, e chi ha altre esigenze.
MG: Seguendo l’allestimento, ho visto con quanta libertà l’artista dava spazio al canovaccio. Quello che si crea, guidato, ma anche assecondato, liberato e liberante. Nella varietà disciplinare, quella che Elio Grazioli chiama performatività tra gli ambiti artistici, crea l’occasione di perdersi e forse nemmeno ritrovarsi. E qui sta il gioco, di cui gli interessa l’inizio, l’apertura, ma mai la fine perché, ecco, ci si può fermare quando si vuole. Quanto il random è noise? Quanto l’aleatorio può essere disturbante?
Chi può dirlo? Entriamo ed usciamo dalla soglia e senza saperlo ci troviamo di mezzo questa domanda, ai margini di una questione neurologica complessa da discernere. Poi ci sono altre soglie, quella di attenzione, del dolore… la tua soglia di sopportazione non è la mia. Così il neon azzurro con la scritta Noi Se (2004), posizionato tra il cortile e il salone, lo puoi leggere sia per ribadire questa incertezza di senso, come frattura di un se dal noi, sia come spigolatura architettonica di un disturbo, brusio, rumore. Però, come dici tu, cominciamo a giocare e poi decideremo quando e se smettere, al punto tale da lasciare nella memoria il dubbio di aver giocato ad altro, o di non aver giocato affatto.
MG: Noise, Words, War: tre concetti affini e che si permeano a vicenda. La parola di troppo (al limite) è rumore. Il rumore (al limite) è fastidio. Insomma, con troppo rumore e troppe parole soverchi, stordisci, fai la guerra. Questa poi produce altro rumore e altre parole intorno a sé. Un uroboro. “Into the Noise, the Words, the War” sono i tre eventi collaterali legati alla tua personale. La temporalità delle serate è arbitraria, intenzionale o radicata nel reale? Quanto è stata importante la coralità performativa degli artisti invitati a partecipare/collaborare?
Le serate sono state molto intense con una partecipazione di pubblico inaspettata. Un flusso continuo di interventi in diretta, differita, streaming, contributi, interazioni… giornate intense e difficili da coordinare e da seguire interamente. Sì, è un gran rumore, ho voluto che fosse sempre presente lungo tutto il percorso della mostra. Un sottofondo visivo, testuale, performativo e sonoro. Questi elementi non sono solo un brusio concettuale su cui adagiarci, li utilizzo anche per spezzare il ritmo, porre dei limiti, creare delle trincee e sezionare le aspettative… e torna il sorriso… (sorriso). Quando ci troviamo davanti alla catasta di materiali, usciti dal deposito di Assab One, con un drappo giallo che la sormonta, non c’è solo quello che vediamo, con una sedia posizionata come invito a percorrerla, ma c’è anche tutto quello che c’è stato prima e ci sarà dopo. Il lavoro si intitola La patologia del benessere (1996), un lavoro che ricorda una barricata, che nasconde molte insidie, che è pronto per un agguato… quando all’improvviso salterà fuori pronunciando la frase, a gran voce, mi viene da scolpire sui denti la patologia del benessere, un altro sorriso… (sorriso).
Hanno partecipato agli eventi:
INTO THE NOISE: 29 gennaio 2022
Stefano Brizzi, Michael + Aloysius Broughton, Cobra, Gianluca Codeghini, Alvin Curran, Alessio de Girolamo, Paul Devens, Carlo Fei, Gary Hill, Lavorazioni carni rosse, Federica Maglioni, Marco Mariani, Maurizio Mercuri, Armando Moneta, Pat Moonchy, Bruno Muzzolini, Untitled Noise, Luca Pancrazzi, Pest.at.grass, Private Pattering, David Van Tieghem.
INTO THE WORD: 19 febbraio 2022
Carlo Dell’Acqua, Dario Bellini, Alessandro Broggi, Leonardo Canella, Polly & Company, Alessandra Cava, La Centrale Edizioni, Marilina Ciaco & Felice Vino, La Ciecamateria Edizioni, Cobra, Cose Cosmiche, Ermanno Cristini, Alessandra Greco, Mariangela Guatteri, Andrea Inglese & Gianluca Codeghini, Paola Lenarduzzi, Maurizio Mercuri, Iacopo Ninni & Agnese Leo, Giancarlo Norese, Luca Pancrazzi, Paola Pietronave, Riss(e), Segnature, Antonio Syxty & Lenny, Italo Testa & Cesare Saldicco, Enzo Umbaca.
INTO THE WAR: 19 marzo 2022
Dario Bellini, Davide Bertocchi e Franck Krawczyk, Pietro Braione, Roberta Carrieri & Kuklamu, Jacopo Cirillo, Cobra, Gianluca Codeghini, Matteo Cremonesi, Malcolm e Harry Dens, Luca Forcolini, Elio Grazioli, Bizuayehu Shimels Tiringo.
Accesso agli eventi dalle 16.00 alle 19.00
ASSAB ONE
info@assab-one.org
Ex stabilimento GEA
via Privata Assab, 1 20132 Milano