Fabrizio Longo, alias Joykix, è nato a Milano. Scenografo e progettista di allestimenti, è attivista della scena underground milanese degli anni Ottanta e Novanta, performer e compositore di sonorità industriali. La sua ricerca creativa coinvolge continuamente linguaggi molteplici ed eterogenei, includendo, dal 2008, anche la fotografia, il video e l’installazione.
Rossella Moratto è curatrice, scrive per Flash Art e ATP Diary; insieme a Joykix, Luca Scarabelli, Cesare Baritoni e Claudia Canavesi dirige Surplace: spazio indipendente e stazione sperimentale volta alla promozione delle pratiche artistiche contemporanee attraverso una progettualità dialogica e in divenire.
Con loro abbiamo esplorato la pluralità di dimensioni, le contraddizioni apparenti e le possibilità della struttura modulare a griglia Volume XX, realizzata da Joykix e recentemente coinvolta nel progetto Corpo a corpo a corpo #2, mostra tenutasi in occasione di Walk-In Studio Festival 2021.
Partiamo dall’inizio, com’è nata la struttura a griglia?
Rossella Moratto: Joykix l’ha progettata e presentata a Soprasotto. Disequilibri della visione, una collettiva curata da Ermanno Cristini e Luca Scarabelli in un supermercato in dismissione a Sesto Calende, tenutasi nell’estate del 2016. Alcuni mesi dopo, in occasione di Studi Festival #3, Eva Reguzzoni e Gianluca Quaglia ci hanno proposto di presentare un progetto insieme. Era una sfida: i lavori degli artisti erano molto diversi così come le loro ricerche e la loro poetica: dovevamo trovare una modalità per far coesistere le opere e dare un’unità concreta a questa nostra voglia di collaborare, andando oltre il semplice allestimento a parete. Così Joykix ha avuto l’idea di utilizzare la sua struttura sia come opera sia come elemento allestitivo unificatore per gli altri lavori. Si trattava di una macchina scenica dalla doppia natura, allo stesso tempo opera e display, configurata anche in base alla dimensione dello spazio – una stanza nella casa-studio di Joykix – e alle necessità espositive degli artisti. Abbiamo intitolato la mostra In accumulo o in sospeso ma in equilibrio. La mostra era piaciuta e l’abbiamo riproposta una seconda volta alla Fondazione Bandera di Busto Arsizio nell’autunno del 2017, invitando oltre agli artisti presenti nella prima ‘edizione’ Giuseppe Buffoli, Francesco D’Angelo, Monica Mazzone, Massimiliano Viel. Anche in questa occasione l’opera-display si è adattata agli spazi e alle opere, seguendo lo stesso principio.
Joykix: È un sistema che si può teoricamente riprodurre all’infinito, ma che subisce delle limitazioni, cioè la negoziazione obbligata dello spazio: dipende sempre dal dove si trova e dalle esigenze degli artisti e delle artiste che devono esporre, che la modificano secondo le loro necessità. Di solito progetto la traccia base che lavora all’interno di un spazio specifico e si relaziona con esso: la configurazione orizzontale o verticale, così come l’articolazione generale che però dopo viene modificata dalle necessita di ognuno, ad esempio con con colori o tecnologie particolari: c’è una negoziazione continua delle esigenze, quando la struttura viene utilizzata in questo senso, come fosse un condominio! Alla fine ci abitano tutti; in Corpo a Corpo a Corpo #2 l’idea era che tutte le opere, estremamente eterogenee nei loro riferimenti al corpo – ai suoi organi e alle sue funzioni – venissero in qualche modo tenute insieme, ognuna mantenendo la sua autonomia.
RM: L’idea era che si creassero delle interferenze all’interno di questo scheletro – la griglia – che anche in quel caso era sia pezzo di corpo ma anche struttura: questa doppia valenza è sempre presente.
JKX: Come la corrispondenza tra endoscheletro ed esoscheletro.
RM: Si, sia l’uno che l’altro. Alla fine diventa quasi una protesi di questi lavori nello spazio, e nello stesso tempo li accoglie, li fa convivere come in un condominio ma non li struttura, anzi, si potrebbe dire che in parte si fa strutturare.
Come se questa sua plasticità fosse in qualche modo naturalmente vincolata a entrare in relazione con le opere che accoglie. Mi ha colpito molto questa contraddizione – in verità solo apparente – guardando la relazione tra la differenza dei lavori e la ripetizione di questa struttura. Leggendo il testo di Massimiliano Guareschi mi sono chiesto in che modo si risolveva questo ambivalente rapporto di incontro-scontro tra le opere e la struttura: è come se l’allestimento, la singola opera e l’insieme delle opere avessero bisogno l’uno dell’altra, e tuttavia ogni componente mantiene la propria autonomia, anche a livello visivo e concettuale. Com’è stato il processo di allestimento delle singole opere?
RM: C’è il vincolo dello spazio ospitante che dà un’ impronta, e poi c’è questo dialogo: tutto e nato e si sviluppa sempre come dispositivo di convivenza. L’idea è quella di ospitare e far convivere delle differenze che altrimenti sarebbero incongrue tra di loro: in Corpo a Corpo a Corpo #2 era favorita dalla scelta del tema comune.
Credo sia anche coerente con l’idea di fondo della mostra: il tema del Corpo senza Organi, quell’orizzonte di senso che accoglie ciò che non ancora racchiuso. In questo caso la pulizia razionale della struttura convive con un certo caos che la fa riformulare in ogni spazio. Fabrizio, c’è qualche rapporto tra questa dinamica e lo sguardo del fruitore? Insomma, la griglia è una struttura ordinata.
JKX: E ordinante!
Esatto! Incasella subito oggetti, concetti, e lo sguardo è vincolato nel seguire questo ordine. Il tuo display, tuttavia, scardina questa percezione di primo livello. Quando hai pensato a questa scelta hai immaginato queste evoluzioni o sono venute strada facendo?
JKX: All’inizio, in Soprasotto, la struttura era nata perché in quel supermercato occorreva ribaltare qualcosa di presente nel luogo e, ovviamente, c’era il controsoffitto! Costituito esattamente da moduli 60X60: una misura che, con tutti i multipli e sottomultipli, è legata all’ergonomia, allo standard dell’abitare, vedi IKEA. Si tratta dell’idea modernista del modulo replicabile, tra standardizzazione e democratizzazione: l’idea del supermercato era iniziata così, anche se fin da subito avevo inserito nella struttura delle sperimentazioni materiche, dei tentativi nuovi, che però in qualche modo l’abitavano: così mi venne l’idea di poter avere questo luogo di differenze, elementi eterogenei che in quanto tali magari non trovavano una loro collocazione, anche con un allestimento classico. In questo modo nella rigidità del modulo e della misura trovi una flessibilità che neanche ti immagini.
Potenzialmente infinita.
JKX: Esatto, a tutti i livelli! Anche se rimane ortogonale, sono le alterità che ospita che creano la frizione con questa rigidità.
Spazio di convivenza come spazio di frizioni.
JKX: Alla fine è una macchina: qualcosa di assimilabile anche al corpo, se lo guardi da un certo punto di vista. All’interno di un automobile si parla ancora di organi meccanici.
Ripensando a Corpo a Corpo a Corpo #2 mi viene in mente la tua altra opera presente in mostra: un calco della tua mano, realizzato in resina epossidica, che si aggrappa alla struttura e nello stesso tempo si proietta nel vuoto.
Ti faccio un’altra domanda, per rimanere sempre in questa contraddizione tra domestico e selvaggio, convivenza e interferenza: all’inizio avevo pensato questa polarità tra la struttura e le opere come un antagonismo frontale – evadere dalla struttura che è un meccanismo ordinante e distribuente – e tuttavia questa conversazione contraddice questa rigidità; alla fine c’è bisogno della struttura, di questo piano di convivenza affinché le opere mostrino le loro interferenze. Questa mano si sta aggrappando alla struttura perché ne ha bisogno o la sta scardinando?
JKX: Si sta aggrappando! Nello tsunami quotidiano di informazioni, immagini, regole, conflitti, nella velocissima fluidità delle trasformazioni che frammentano in continuazione tutto ciò che poco prima sembrava solido e unitario, quella mano cerca di aggrapparsi a una struttura che gli permetta di cercare di comprendere ciò che gli accade intorno. Di guardare in filigrana mantenendo dei riferimenti. Più che di un antagonismo frontale vedo una miriade di microprogettualità che cercano di sfuggire alla pervasività dello spettacolo.
Secondo me oggi siamo siamo esposti tanto di più alle ‘strutture’ di fuori, ed è molto difficile orientarsi.
JKX: Oggi c’è tanto, mentre quarant’anni fa era tutto molto più concentrato.
Parlando di estensione: come siete arrivati a voler lavorare all’idea del Corpo senza Organi?
RM: Il tema di lavorare sul concetto di Corpo senza Organi nasce dall’esigenza di approfondire la riflessione sul corpo che abbiamo iniziato con Corpo a corpo a corpo, mostra-evento di due giorni al centro sociale COX18 di Milano nel giugno 2021, nella finestra estiva tra il primo e il secondo lockdown. La pandemia ha riportato l’attenzione sul corpo che è stato sottratto, isolato, contaminato e medicalizzato, fino a farlo diventare quasi estraneo ma, allo stesso tempo, sempre più oggetto di desiderio e frontiera dell’immaginazione. Come molti altri, anche noi abbiamo sentito l’esigenza di interrogarci su questo tema, presentando una panoramica sul corpo nelle sue varie accezioni e declinazioni. Sfruttando l’occasione offertaci da COX18, molto sfidante perché in un contesto estraneo agli spazi canonici dell’arte contemporanea, Joykix ha ideato la struttura proprio come una macchina teatrale, con una forte valenza scenografica. L’ha allestita su un palco: una pedana che su un fronte terminava in un grande schermo e sull’altro si protendeva verso il pubblico. Un progetto pensato per interagire in modo dialettico con l’ambiente del centro sociale.
Qualche mese dopo, per Walk-in Studio 2021 a Studio Pepe 36 abbiamo pensato di riproporre il progetto non come una ‘appendice’ della mostra precedente ma dando un taglio diverso – il Corpo senza Organi – che ci sembrava potesse essere un approfondimento foriero di intuizioni più ampie. Una mostra organizzata sulla struttura-display anche in questo contesto e orizzonte concettuale era assolutamente coerente.
Sarebbe coerente anche con il tema in sé, una grande mostra senza organi! Secondo te quale necessità può avere una riflessione sul Corpo senza Organi – che per definizione evade da qualsiasi tipo di inquadratura – in relazione all’attuale pervasività tecnologica e al cosiddetto capitalismo della sorveglianza?
RM: Secondo me ha il valore di farci ripensare a un corpo che si può anche sottrarre a tutti i meccanismi che sembrano ingabbiarlo. Oggi il corpo è molto esposto, e questa esposizione lo condiziona (“Il medium è il messaggio”, diceva Mc Luhan): questi canali suggeriscono delle forme di rappresentazione che poi finiscono per strutturare un intero immaginario, anche qui una grande griglia metaforica. Alla fine la visione distopica del CsO ci può forse far riflettere su tanti meccanismi altri, anche di sottrazione. La nostra generazione, ad esempio, li ha vissuti: negli anni Ottanta e Novanta partecipare a quella che era una cultura Underground significata tirarsi fuori da quello che era il sistema, stare a lato; adesso mi sembra che questa dimensione del sottrarsi, dell’invisibilità, non sia più condivisa. Al contrario: si deve essere sempre più esposti. La visibilità ci espone e ci rende vulnerabili e può facilmente diventare un fattore omologante.
Quindi si potrebbe dire che il CsO innesca una strategia di invisibilità?
RM: Sì, e anche come, di rovescio, questa visibilità ci espone e ci rende vulnerabili, e come questa visibilità diventi facilmente un fattore omologante.
Nella mostra, invece, l’omologazione è fuori dai giochi.
RM: Sì perché, paradossalmente, la struttura dovrebbe essere un elemento omologante e invece favorisce la coabitazione del diverso, dà vita a un’idea di una costruzione nomadica, accoglie ciò che la contamina, si apre a direzioni divergenti e a nuove soluzioni.
Riuscireste a trovare una frase che riassuma questa particolare struttura?
RM \ JKX: Forse “endoscheletro-esoscheletro” potrebbe essere una definizione: endoscheletro quando è opera singola, esoscheletro quando entra in relazione ad altre opere.
Un’importante lezione di negoziazione, mi sembra perfetta!
Questo contenuto è stato realizzato da Piermario De Angelis per Forme Uniche.
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