Per decenni il giornalista Jim DeRogatis ha indagato sulle accuse da abusi sessuali alla star del rhythm and blues Robert Sylvester Kelly. Ora ha vinto
“Davvero vuoi sapere cosa insegna questa storia?”. Quando Robert Sylvester Kelly, la star americana dell’rnb che ha venduto 80 milioni di dischi in tutto il mondo, è stato condannato a trent’anni per abusi sessuali e altri gravi reati, la prima cosa che ha detto Jim DeRogatis è che c’è voluto troppo tempo. Perché questa storia è cominciata nel 1991, e lui l’ha denunciata sul giornale la prima volta nel 2000. E ci ha buttato dentro una vita con queste ragazzine nere ridotte come schiave che nessuno voleva ascoltare, ha perso il lavoro ed è rimasto solo contro tutti. Ma ha continuato, a guardare le loro lacrime e a sentire la loro paura, e non ha mai mollato. Perché Jim viene da Jersey City, “e quelli del New Jersey non mollano mai”, dice lui.
In tutto questo tempo non ha mai trovato nessun altro che si fermasse a sentire quello che avevano da dire queste vittime con gli sguardi persi nel vuoto e negli orrori di ciò che raccontavano. Costrette a fare “cose che non si possono neanche immaginare”. C’era una stanza chiamata black room dove vivevano con R. Kelly in una casa di Atlanta, una stanza tutta nera, il pavimento, i mobili, il tappeto, le tende e le pareti. Anche il letto era nero, al centro: “e non importa quanto fosse umiliante quello che lui ti chiedeva di fare: dovevi farlo lo stesso”. Lui filmava anche queste violenze e uno di questi video 22 anni fa era arrivato a Jim DeRogatis che l’aveva consegnato alla polizia dopo averne fatto una copia per precauzione. Si vedeva il cantante che abusava di una minorenne e poi le urinava addosso.
R. Kelly fu assolto. E Jim denunciato per diffusione di materiale pedopornografico. Ha ragione lui, hanno perso tutti in questa storia, le vittime più di tutti. Ma hanno perso anche la Giustizia, il giornalismo, i politici, la polizia. L’America. Nessuno ha voluto crederci. Forse lui potrà anche aver comprato una sentenza, o qualche inquirente, ma il fatto è che nessuno riusciva a credere a quelle accuse. R. Kelly ha scritto canzoni bellissime come I believe I can fly e You are not alone per Michael Jackson. E lui cantava nelle chiese e la gente si commuoveva ad ascoltarlo. La prestigiosa rivista Billborad l’aveva definito “l’artista rnb di maggior successo nella storia”, Jay-Z e Lady Gaga avevano registrato brani di successo assieme a lui. Non poteva essere un pedofilo, molestatore seriale.
Robert Sylvester Kelly è nato l’8 gennaio 1967 a Chicago, Illinois, terzo di quattro fratelli. Sua madre era una cantante di fede battista. Il padre non l’ha mai conosciuto. A 8 anni aveva cominciato a cantare nel coro della chiesa, ma fino ai 14 anni, come ha raccontato nella sua autobiografia, aveva subito abusi sessuali da parte di una parente molto più grande di lui. Da giovane aveva seri problemi a causa della dislessia e non riusciva né a leggere né a scrivere. Era stata una maestra di musica, Lena McLin, a salvarlo, incoraggiandolo su questa strada. Nel 1992 mise insieme un gruppo rnb, andò subito molto bene e decise di sfruttare l’onda buona da solo. Un anno dopo era già in testa alle classifiche. Assieme al successo arrivavano anche le prime accuse di molestie. Ma nel frattempo, I Believe I can fly, una toccante canzone pop del 1996 influenzata dal gospel e composta per il film d’animazione Space Jam, “aveva trasformato il cantante di Chicago in una star negli Stati Uniti e nel mondo”, come scrive Giovanni Ansaldo: “Come poteva un predatore sessuale con un debole per le minorenni aver scritto un brano così delicato?”.
Il disco successivo vendette tredici milioni di copie in tutto il mondo. Proprio mentre Jim DeRogatis cominciava la sua battaglia realizzando con un collega un’inchiesta sul Chicago Sun-Times, pubblicata nel 2000, che denunciava per la prima volta le accuse sui rapporti sessuali di Kelly con ragazze minorenni. Due anni dopo portò alla polizia il video che avrebbe dovuto inchiodare il cantante. Il processo si tenne solo nel 2008, (“e già questo è strano”, dice Jim), e finì addirittura con una straordinaria assoluzione. R. Kelly uscì dal tribunale accolto dagli applausi e dalle urla isteriche di una schiumante folla di fans in festa. Le testimonianze e le accuse non si fermarono di fronte a quella sentenza, ma continuarono ancora più numerose, senza però che nessuno gli desse ascolto.
Tranne Jim. Anche se aveva perso il lavoro e adesso faceva l’insegnante, e anche se nessuno gli aveva mai dato retta e ripreso i suoi articoli, DeRogatis non aveva smesso di andare a parlare con queste vittime disperate. Non poteva infondere coraggio. Regalava loro solo la sua speranza. Nel 2017 il sito BuzzFeed News pubblicò un’altra inchiesta di Jim, in cui citava 48 testimonianze di donne di colore costrette a violenze umilianti “che non potete nemmeno immaginare” dalla star di I Believe I can fly. Andò che un tribunale ordinò il sequestro di tutto il suo lavoro. Aveva perso anche questa volta. Solo che i tempi stavano per cambiare. Adesso c’era #metoo. E a qualche giornale poteva anche venir in mente di andare a cercare delle storie di quel tipo. Fu il NY Times a segnalarlo: c’è questa cosa orribile di Chicago, e ci sono questi articoli di Jim DeRogatis. Soltanto allora cominciarono a parlarne tutti. E il tribunale riaprì finalmente il fascicolo. Oggi ce ne sono più di uno di processi, in Stati diversi. Kelly ha cambiato avvocato e ha assunto quello che riuscì a far annullare una condanna di violenza sessuale a Bill Cosby. Però, stavolta “credo che non respirerà mai più aria fresca”, dice Jim DeRogatis.
Questa volta è arrivata la Giustizia. Ma è vera giustizia, questa? È vera giustizia dopo tutto questo silenzio, dopo questi lunghi anni passati ad aspettare che qualcuno venisse ad ascoltare queste piccole ragazze di colore senza speranza? Bisognerebbe chiederlo alle sue vittime, ha detto Jim. “Stanno parlando da 30 anni e solo adesso hanno dato loro retta. Non so se questa condanna fa tornare indietro gli anni che hanno perso o se ripara davvero il dolore che hanno subito. Dovete chiederlo a loro. Io so che per tutto questo tempo sono state lasciate sole”. La verità, sbotta Jim, è che “ha fallito la Giustizia, che lo ha assolto nel 2008, hanno fallito le chiese nere che hanno preso i suoi soldi, ha fallito la polizia, con gli agenti che facevano le sue guardie del corpo, hanno fallito i politici e ha fallito il giornalismo, perché nessuno ha mai voluto parlare di questa storia, nessuno ha mai ripreso i miei articoli”. La verità è che ha fallito l’America. Ecco cosa racconta la storia di Robert Sylvester Kelly e di questo grosso, grasso cronista che non ha mai voluto ammainare la bandiera, l’ultima, lacera bandiera rimasta a sventolare contro la legge del più forte.