La letteratura di viaggio al femminile è sempre caratterizzata da una sensibilità e attenzione ai dettagli che la rendono particolarmente interessante. Dalle viaggiatrici del Grand Tour, raccontate da Attilio Brilli per Il Mulino, al diario di viaggio nell’Afghanistan tribale di Annemarie Schwarzenbach riproposto da Il Saggiatore, alle avventure delle viaggiatrici inglesi e francesi nell’Italia fra Settecento e Ottocento
La letteratura di viaggio è ancora oggi fra i generi più affascinanti, capace di aprire insospettati orizzonti geografici e sociali, soprattutto quando legata ai resoconti di viaggio svoltisi nel passato, che testimoniano di civiltà e paesaggi che lo scorrere del tempo ha profondamente mutati. Il posto d’onore, all’interno di questa letteratura, è ovviamente occupato dai resoconti del Grand Tour, tuttavia, al grande pubblico sono quasi sempre noti soltanto i suoi protagonisti maschili, a cominciare da Goethe, Shelley e Keats. In realtà, non meno preziosi sono i diari di viaggio delle donne, ovviamente aristocratiche, che in quegli stessi anni viaggiarono in Italia. In un’Europa ancora profondamente patriarcale, il viaggio rappresentava, per una donna, la possibilità di un certo affrancamento, seppur provvisorio, dai mille lacci della vita quotidiana in patria, regolata dai suoi rituali, le sue ipocrisie, le sue costrizioni; probabilmente per questa ragione, sentendosi finalmente libere di scoprire almeno una parte del mondo esterno, le donne sono attentissime osservatrici di tutto ciò che le circonda, e ci hanno lasciato dettagliate e originali testimonianze sull’Italia dell’epoca.
Attilio Brilli e Simonetta Neri, esperti di letteratura di viaggio con all’attivo diverse pubblicazioni in materia, licenziano per i tipi de Il Mulino un interessante volume in sedici capitoli che sono altrettanti ritratti di illustri viaggiatrici del passato, che ne ricostruiscono la figura e le avventure di viaggio, lasciando emergere la loro personalità e il loro atteggiamento verso l’Italia. Da Anne-Marie du Boccage a Madame de Staël, da Anna Miller a Mary Shelley, il libro si sviluppa in forma di romanzo e assume di volta in volta caratteri storici, artistici, sociali, tutti rigorosamente sviluppati dal punto di vista femminile. Dal quale si apprende che curiosamente, mentre per Goethe e colleghi la contemplazione delle rovine greco-romane era foriera di considerazioni sulla grandezza dell’ideale classico, le viaggiatrici che visitarono il Colosseo o altri monumenti della Roma antica o della Magna Grecia, li associarono al senso del declino, della deperibilità e della morte; esemplarmente, Elisa von der Recke, scrisse che le Terme di Caracalla “danno l’idea di un’intera città caduta in rovina”. L’attenzione delle donne è catturata anche da altri dettagli, ad esempio il cosiddetto “cicisbeo”, che Catherine Wilmot ritiene utile dal punto di vista pratico, senza però lasciare giudizi di carattere morale.
Ma non tutti i viaggi erano di piacere, come dimostra la vicenda di Elisabeth Vigée Le Brun, già ritrattista ufficiale della regina di Francia Maria Antonietta, e costretta a lasciare il Paese dopo la Rivoluzione e il cambio di regime. Trovò appunto rifugio in Italia, dove continuò la sua carriera d’artista, e dedicò molto tempo a visitare le collezioni d’arte fiorentine, e che poi si trasferì a Roma, città che però riuscì a farle dimenticare la Francia e le persone care che aveva dovute lasciare.
Comunque, l’Italia non mancava di affascinare queste viaggiatrici, le cui complesse personalità tornano alla luce grazie appunto al volume di Brilli e Neri.
Di ben altri orizzonti, il viaggio di Annemarie Schwarzenbach (1908 – 1942) in Afghanistan compiuto fra il 1939 e il 1940, il cui diario è stato ripubblicato da Il Saggiatore. Paese che è oggi agli onori delle cronache per l’oscurantismo imposto dalla dittatura fondamentalista dei talebani, l’Afghanistan del giovane re Mohammed Zahir Shah era assai più tollerante nei costumi e aperto agli stranieri. Anche se rimaneva comunque una contrada remota, ed esplorarlo in auto seguendo le antiche vie carovaniere, attraversare città e deserti, oasi e torrenti in secca, godendo qua e là dell’ospitalità delle varie tribù nomadi, non fu certo un’impresa da poco, che la straordinaria, irrequieta Schwarzenbach compì con profondo spirito d’avventura, animata da una grande curiosità di conoscere il mondo, soprattutto quello agli antipopi della civilizzata Europa, che però in quel momento stava per essere dilaniata dalla guerra. E per lei, figlia ribelle di un industriale svizzero che simpatizzava per Hitler, l’Oriente rappresentava il luogo in cui sentirsi libera e padrona di se stessa, e dopo la Turchia, la Siria, l’Iraq e la Persia (viaggi ai quali intervallò episodi curiosi di una vita turbolenta), nel 1939 fu la volta dell’Afghanistan, le cui pianure e montagne, che descrive nella loro immensa bellezza, nei loro silenzi e nei loro colori, sembrano lontane anni luce dalla violenza dell’Europa, così come quell’umanità estremamente varia (fatta di turkmeni, uzbeki, Hazara, Pashtun) che incontra lungo il cammino, legata a un’economia agricola e pastorale di millenaria memoria.
Schwarzenbach si spinge a diretto contatto con la gente, e scopre una civiltà che, seppur in larga parte povera e legata ad antichissimi costumi patriarcali, è incamminata sulla via del progresso; le donne al momento sono quasi completamente sottomesse agli uomini, ma si intuisce che stanno per rivendicare (e ottenere) i loro diritti; proprio nel 1939 a Kabyl aprì la prima scuola femminile, con docenti donne, e con il tempo, l’Afghanistan dei primi anni Settanta avrebbe visto l’apice di questi progressi, prima del nefasto colpo di Stato che distrusse il Paese. Ma intanto, già all’epoca della Schwarzenbach, le donne, in particolare a Kabul,cominciano a interessarsi della moda europea, e gettano le basi per un futuro che immaginavano migliore.
Il diario del viaggio, compiuto con l’amica esploratrice Ella Maillart, rappresenta ancora oggi uno straordinario documento sull’Afghanistan del passato, per capire quella sua bellezza (paesaggistica ma soprattutto civile) che l’oscurantismo fondamentalista ha ormai quasi completamente distrutta. Una serie di fotografie d’epoca intercalate nel testo, scattate dall’autrice, impreziosiscono ulteriormente il racconto di una oggi irripetibile esperienza di vita.
Annemarie Schwarzenbach
Tutte le strade sono aperte. Viaggio in Afghanistan 1939-1940
Il Saggiatore
Attilio Brilli, Simonetta Neri
Le viaggiatrici del Grand Tour. Storie, amori, avventure
Il Mulino