Questo articolo è frutto dell’operato degli studenti del Laboratorio di scrittura, iscritti al Master Post Laurea “Management dell’Arte e dei Beni Culturali”, tenuto tra novembre e dicembre 2022 da Luca Zuccala, direttore della nostra testata. La collaborazione tra ArtsLife e Rcs Academy ha dato la possibilità agli studenti partecipanti al Master, dopo le lezioni di introduzione, pianificazione e revisione dei contenuti proposti, di pubblicare il proprio elaborato sulla nostra piattaforma.
Negli spazi espositivi della galleria milanese Building e della suggestiva Basilica di San Celso è in corso una collettiva visitabile fino al 28 gennaio 2023, che vede esposte le opere di più di 20 artisti attivi tra gli anni ‘60 e oggi. Con le parole del curatore Giorgio Verzotti, il progetto si propone di indagare il “senso del sacro nell’arte contemporanea” in un percorso tra le opere dei protagonisti italiani del ‘900: da Lucio Fontana e Piero Manzoni a Michelangelo Pistoletto, da Gino De Dominicis e Maria Lai fino ad artisti ancora attivi come Ferruccio Ascari e Simone Pellegrini.
L’arte rappresenta da sempre un veicolo della sacralità, la modalità con cui l’uomo tenta di rendere visibile l’invisibile. Come si è declinato tale rapporto nell’arte contemporanea? Il sacro può essere indagato in modo “laico”? E infine, è possibile leggere l’opera d’arte come un dispositivo che come gli apparati liturgici sia in grado di “dominarlo” o “pensarlo”? Tali interrogativi vengono riproposti con forza nel percorso espositivo, che non ha l’intenzione di fornire alcuna risposta ma di attualizzare la riflessione arricchendola di originalissimi contributi.
Il termine “Numinoso” da cui la collettiva prende il titolo indica l’esperienza extra-razionale del divino e deriva dal concetto che il teologo Otto Rudolf espose nel suo saggio “Il Sacro” del 1917. Egli voleva distinguere gli aspetti razionali e morali della fede da quelli irrazionali e misteriosi: il numinoso è l’insieme di questi elementi, il senso di inquietudine e di straniamento che si prova di fronte al pensiero del divino, visto come un “totalmente Altro”, alieno e inconoscibile. Timore che secondo l’autore, nasconde in sé un’assoluta fascinazione, un’attrazione inspiegabile che dà luogo al “rapimento mistico”. Questo sentimento è presente in tutti gli uomini e li accomuna nel rapporto con il divino a prescindere dall’esperienza e dalla religione.
La sacralità del tema si respira dal primo momento in cui si varca la soglia del Building, dove ci si trova immersi in un’atmosfera di silenziosa austerità. È qui che il curatore fa dialogare tra loro gli artisti con opere che occupano lo spazio espositivo imponendo la propria personalità. I linguaggi e i materiali scelti per interpretare il tema sono i più disparati, si passa dalla pesante presenza della “BESTIA” (2004) di Bizhan Bassiri (Teheran 1954) alla vibrante istallazione site specific “Babel” di Ferruccio Ascari (Milano 1949), che sembra innalzarsi e al contempo crollare, mostrando la necessaria e insostenibile tensione umana verso il cielo. L’opera si insinua nell’architettura e “rompe” il soffitto fuoriuscendo nel cortile superiore, offrendo così la possibilità di una doppia prospettiva: quella umana, “terrena” della prima sala, e quella “divina” al primo piano del palazzo.
Si scorge così il tentativo della scalata umana che sembra venire deriso dal divino nella seconda sala, in cui si viene accolti da una fragorosa e incessante risata: si tratta dell’opera di Gino De Dominicis (Ancona 1947 – Roma 1998) “D’IO” (RISATA CONTINUA) un’installazione sonora del 1971 che inonda l’ambiente e insinua nel visitatore questo dubbio. La tensione tra umano e divino è presente anche in un’altra opera dell’artista: “D’IO” (INVITO), dello stesso anno, che con un gioco di parole lascia allo spettatore la riflessione sulla natura divina dell’uomo e umana di Dio, sulla morte e sull’immortalità, temi che si ritrovano in tutto il percorso espositivo.
Con Piero Manzoni è l’arte stessa a diventare sacra, la riflessione si sposta sullo statuto dell’arte e dell’artista che nella nostra società hanno assunto un’aurea divina, è in quest’ottica che la sua opera “UOVO SCULTURA” viene consumata nella famosissima performance “Consumazione dell’arte, dinamica del pubblico, divorare l’arte” del 21 luglio 1960, in cui l’opera divenuta oggetto di culto viene letteralmente mangiata, assorbita, metabolizzata dagli spettatori, in un rituale laico che sembra richiamare quello cristiano della comunione.